messa del giovedì santo

Bologna, Cattedrale

Con questa azione liturgica commossa e suggestiva – che rievoca, anzi riattualizza l’ultima cena del Signore – noi entriamo nel sacro Triduo, cioè nel cuore stesso dell’anno cristiano.

La Chiesa ce lo ripropone ancora una volta, perché cresca in noi la consapevolezza del grande dono d’amore, di cui siamo stati misericordiosamente gratificati, e soprattutto perché diventiamo sempre più capaci, nella nostra vita di ogni giorno, di rispondere a questo incredibile amore con un po’ del nostro amore.

Ricordiamo e riviviamo in questi giorni la realtà della Pasqua, vale a dire del “passaggio” in mezzo a noi del “nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo” (cfr. Tt 2,13), che è venuto a liberarci dal male e a farci pienamente tornare all’amicizia col Padre e alla ricchezza della sua grazia. Possiamo dire che sia venuto a “prenderci”, ma non coi modi oppressivi e violenti dei conquistatori mondani, bensì con l’attrattiva di un incomparabile affetto; un affetto che lo ha condotto a donarsi tutto per noi. E’ venuto a unirci arcanamente a sé e a riaprirci la strada verso la felicità di quel Regno, “che solo amore e luce ha per confine” (Paradiso XXVIII, 54).

Gesù “passa” da questo mondo al Padre (cfr. Gv 13,1); e il Padre ci pone tutti nelle sue mani piagate di Redentore crocifisso e ci chiama a immetterci anche noi in questa “Pasqua”, cioè in questo passaggio dalla miseria e dalle tristezze della terra alla letizia della vita risorta.

E’ la stessa parola di Cristo a garantirci di questo e a rasserenarci: “Tutto ciò che Padre mi dà, viene a me” E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nessuno di quanti mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno” (cfr. Gv 6,37.39).

Stasera dal Figlio di Dio, che si accinge a immolarsi per noi, riceviamo il suo “corpo dato” e il “sangue sparso”: è la reale partecipazione al sacrificio di alleanza, che ci fa entrare in un patto irrevocabile e in una connessione definitiva con il Re dell’universo. Così noi, figli di Adamo, che dopo il peccato eravamo un gregge disperso e intristito, siamo diventati un popolo redento, compaginato, posto al sicuro da ogni insidia del Maligno, titolari di un destino di gioia.

Questo regalo, eccedente ogni misura e ogni nostra possibile previsione – che ci è stato approntato con la sofferenza, la morte, la risurrezione del Signore – si compendia tutto nell’eucaristia; e nell’eucaristia esso quotidianamente ci si offre come principio e causa continua del nostro rinnovamento e del nostro progresso spirituale.

Nell’eucaristia l’evento grande e trascendente della redenzione umana si fa realtà consueta e accessibile, e si proporziona alla nostra esiguità. Diventa addirittura il nutrimento, che giorno dopo giorno ci sostenta nel cammino impervio e defatigante dell’esistenza: colui, di cui nel mondo invisibile ed eterno si saziano le creature celesti, diventa nostro viatico nel pellegrinaggio terreno (“ecce panis angelorum, factus cibus viatorum”).

Ma che cos’è questa “redenzione”, che il sacro Triduo ci fa ancora una volta contemplare e rivivere?

Il più penoso dramma dell’uomo è la sua incapacità di sollevarsi dalla sua miseria e di difendersi dal male con le sole sue forze. A volte crede di poterlo fare, e si proclama artefice insindacabile della propria sorte e unico protagonista della sua storia. Ma è un’illusione: dai suoi immancabili guai esistenziali non gli è dato di scampare da solo.

L’uomo ha bisogno di verità – cioè di risposte “vere” agli interrogativi che contano – ma tale verità non è alla portata della sua conoscenza. Neppure la verità su se stesso, sulla sua origine e su ciò che l’attende, gli è possibile intravedere: troppo spesso egli si percepisce come un enigma insolubile.

L’uomo ha bisogno di interiore energia e di speranza; ma troppo spesso si sente svigorito davanti alle difficoltà del suo vivere e prossimo a sfiduciarsi. Non gli riesce neppure di essere quello che vorrebbe e dovrebbe; si vede interiormente prigioniero delle sue debolezze; si riconosce esteriormente impotente di fronte ai molti pericoli e alle varie ostilità che l’incalzano.

Ebbene, l’annuncio di redenzione è appunto questo: è la notizia che qualcuno dall’alto è venuto, ha patito con noi, si è immolato per noi, ha legato le nostre fortune alle sue. Così ogni nostra invalidità viene oltrepassata ed è vinta. La Verità ha parlato con voce umana, e le nostre tenebre sono state dissolte; con volto e cuore d’uomo è venuto l’Amore, e noi siamo rinati.

Questa Verità, questo Amore, questa divina risposta a ogni nostro anèlito si chiama Gesù di Nazaret, l’Unigenito del Padre che facendosi figlio di Maria è divenuto nostro fratello. In questi giorni noi ripercorreremo stupiti e adoranti la sua vicenda: una vicenda di umiliazione, di dolore, di morte, di risurrezione e di gloria; una vicenda che ci ha riscattati e ci ha restituito la forza, il coraggio, la gioia di vivere.

L’Autore di questo riscatto, il Redentore che sulla croce è morto per noi ed è ritornato alla vita, non si è allontanato da noi, sottraendosi alla nostra compagnia. Al contrario, è presente in mezzo a noi, è vicino a ciascuno di noi, più vicino del più caro dei nostri amici.

Anima e colma con la sua presenza il silenzio delle nostre chiese, presiede le nostre assemblee oranti e nella comunione eucaristica diventa una cosa sola con noi.

Se non ci è concesso ammirarlo con gli occhi della carne, possiamo guardarlo e godere della sua bellezza con gli occhi del cuore: gli occhi resi più acuti e penetranti dalla vivacità della nostra fede e dall’ardore della nostra carità. Ed è la grazia più opportuna da implorare in questa sera del Giovedì Santo.

12/04/2001
condividi su