Messa della V Domenica di Quaresima per la festa di san Giuseppe

“Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova”. La Quaresima ci fa attendere e preparare questi giorni. Non vengono giorni nuovi se non si cercano. Non c’è strada nel deserto se non la prepariamo. Non incontriamo la luce della resurrezione se non seguiamo Gesù nella sua scelta di donare la vita, amando, curando, ascoltando, guarendo e affrontando il male. Quaresima è lotta per vivere, non penitenza per ottenere i meriti necessari o disciplina della quale, in fondo, non ne comprendiamo la necessità, deformati dal benessere per cui stiamo bene se abbiamo di più, non di meno, e dal grande inganno per cui questo non ci basta mai e non ci fa cercare.

La Quaresima prepara la Pasqua, ci permette in giorni di tanto deserto di affrontarlo, di non disperarci, di cercare con tutto noi stessi, nel buio terribile del Venerdì Santo, la luce della Pasqua, necessaria, attesa, pienezza di vita vera, non di quella da prestazione con conseguente scarto, da consumo che moltiplica le emozioni e perde i sentimenti. Gesù è l’alleanza e con lui il popolo di quelli che lo seguono. È un’alleanza, dice il profeta, che è scritta nei cuori. Come si scrivono nei cuori parole che restano, che non li feriscono, che non li induriscono? Si scrive nei cuori solo con le parole dell’amore, parole che cancellano quelle del male, che pure scrive nei cuori, tanto che li riempie di parole di odio, povere di vita, voraci, invadenti, che vogliono occupare tutto lo spazio, come quando il cuore vuole possedere, avere, non essere.

Gesù parla di sé come un seme. Vediamo in questo il fiore che contiene. È nel seme più piccolo che possiamo contemplare l’albero più grande. Gesù è il chicco di grano venuto dal cielo, mandato da Dio per mostrarci il suo volto e capirne la gloria. Sì, è solo nel donare la vita che capiamo la vita, che è un seme, la vita di Gesù che dà frutto di vita eterna. Altrimenti, semplicemente, resta solo. E da soli la vita finisce, diventa inutile, si possiede e resta com’è. Giuseppe è l’uomo che difende questo seme di Dio, accolto da Maria che lui accoglie. È uomo della Parola, tanto che non ne vengono riportate. In un tempo di polarizzazione, quando parliamo di quello che non sappiamo, e ci sentiamo in diritto dovere di moltiplicarle, in un tempo in cui relativizziamo tutto al nostro io pensando di trovarlo e nutrirlo, l’essenzialità di Giuseppe che ascolta e vive, che sogna e paga il prezzo della sua scelta, che non si accontenta di essere giusto ma ama quello che non è suo e che proprio così lo diventa, è una lezione per noi tutti. Giuseppe sa “prendere con sé”, cioè sa prendersi davvero cura delle persone affidategli.

Giuseppe non discute, non perde tempo a dire la sua per essere sicuro, per far pesare le sue scelte, solo per orgoglio. Mette in pratica. È la lezione contro il nostro pressapochismo, per il dichiarazionismo che lascia sempre ad altri la scelta o che ha sempre bisogno di qualcosa che manca per iniziare, che non si umilia nel fare ma preferisce spiegarlo agli altri. Giuseppe prende con sé Maria, prese con sé il bambino e la madre e divenne straniero, emigrante. Partì subito. Nella notte, cioè nel pericolo per fuggire dal pericolo. Non torna indietro, non recrimina, non aspetta: sceglie. È davvero custode. Giuseppe non ha avuto un amore mediocre, calcolato, fino a un certo punto. E che amore è? Non torna indietro, adducendo che ha bisogno di tempo per sé, lamentandosi che sono troppi gli impegni. Per chi ama, sacrificarsi per l’amato è facile. È impossibile, invece, per chi ama finché gli conviene oppure ama di più se stesso. Noi siamo adottati, e noi tutti possiamo essere custodi di Gesù, prenderlo con sé. E non solo giusti, ma pieni di amore, padri veri, custodi forti di un seme che sappiamo darà frutto perché promessa di Dio, e Dio mantiene le promesse. Ma noi dobbiamo fidarci! Avrà avuto dubbi Giuseppe? Pensiamo di sì. La fatica del perdere la propria vita ce la comunica il Vangelo nell’Orto degli Ulivi. Ma la sua serena forza è quella di persona obbediente, piena di amore, è il custode nostro e invita noi a fare lo stesso. In questo tempo difficile sentiamo la grazia di un protettore così ma anche la responsabilità di esserlo, per amare e difendere la sua casa e le nostre case.

Paolo VI ci aiuta a pregare così: “S. Giuseppe, Patrono della Chiesa, Tu che accanto al Verbo incarnato lavorasti ogni giorno per guadagnare il pane, traendo da Lui la forza di vivere e faticare. Tu che hai provato l’ansia del domani, l’amarezza della povertà, la precarietà del lavoro. Tu che irradi oggi l’esempio della tua figura, umile davanti agli uomini, ma grandissima davanti a Dio. Guarda alla immensa famiglia che Ti è affidata. Benedici la Chiesa, sospingendola sempre più sulle vie della fedeltà evangelica; proteggi i lavoratori nella loro dura esistenza quotidiana, difendendoli dallo scoraggiamento, dalla rivolta negatrice, come dalle tentazioni dell’edonismo; prega per i poveri, che continuano in terra la povertà di Cristo, suscitando per essi le continue provvidenze dei loro fratelli più dotati; e custodisci la pace nel mondo, quella pace che sola può garantire lo sviluppo dei popoli e il pieno compimento delle umane speranze: per il bene dell’umanità, per la missione della Chiesa, per la gloria della Trinità Santissima. Amen”.

Chiesa parrocchiale di San Giuseppe Sposo
17/03/2024
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