Messa dell’Epifania all’Istituto Rizzoli

Abbiamo bisogno di luce, di tanta luce. Per svegliarci, perché è vero che a volte siamo proprio dei sonnambuli, cioè capiamo e non capiamo, passiamo attraverso i problemi senza renderci conto per davvero di quello che succede o credendo non ci riguardino, che possiamo non far nulla, che abbiamo sempre tempo. Abbiamo bisogno di luce perché c’è un buio grande, perché “la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli”. La vita mette paura. La vita? Come la vita mette paura, la vita che chiede vita e trova se stessa solo quando trasmette vita? La vita può mettere paura? Sì, perché la vita la pensiamo per noi stessi e la paura è più forte, tanto che vogliamo conservare quello che abbiamo e non spenderlo per qualcun altro. La vita è nostra se la regaliamo ad altri e siamo contenti quando lo facciamo. Invece ci sentiamo fragili e pensiamo di star meglio piegando la vita per noi.

Questo è un luogo dove c’è molta vita e molta forza vera, non quella delle armi, dell’offesa, dell’odio, della forza che toglie la vita e ne fa vivere poca perché tutto diventa un nemico quando non sappiamo voler bene o sappiamo solo difenderci e andare contro. Le armi – quelle fisiche e quelle dell’odio, delle mani, della lingua, dei tasti – condizionano le nostre relazioni, dimostrano che l’unica preoccupazione è difendersi e aggredire e così non riconosciamo il prossimo. In questo luogo di sofferenza vediamo la forza di amare, di guarire e di aiutare a realizzare questa volontà. Capiamo come questa forza di amare sia decisiva per tutti noi. Siamo tutti fragili.

Quanta fragilità è nascosta nei cuori delle persone! La malattia non viene da fuori, non è un tradimento della vita, perché sappiamo che la vita è fragile e fortissima, ma anche che nella vita ci sono sempre pure il dolore, il limite, la malattia. Qui non scappiamo dalla fragilità, credendoci forti e cercando le prove di esserlo, ma qui capiamo bene come siamo sulla stessa barca e verifichiamo che possiamo aiutarci, sostenerci, consolarci, magari sorriderci, e già solo questo rende tutto diverso. Ed è bello e umano. Qui capiamo la vera grandezza e bellezza della vita, perché sappiamo – certo con tanta fatica! – gustarla nelle cose piccole, quelle a cui non diamo importanza ma nelle quali vediamo riflesso l’intero mistero della vita, che altrimenti non sappiamo vedere e capire e che cerchiamo consumandola bulimicamente, a più non posso. Questo è un luogo dove cerchiamo e sperimentiamo la guarigione per alcuni, ma anche la cura per tutti. Qui siamo accompagnati sempre, si cerca di fare il possibile perché la persona stia bene anche se non può guarire.

Questo, come gli ospedali, le case di cura, è un luogo da dove il mondo scappa pensando sia un altro mondo, mentre è parte del nostro. Fragili lo siamo per davvero, fragili lo siamo dentro: è la dimensione normale della vita. Forse lo siamo ancora di più perché pensavamo di non esserlo, perché cerchiamo la forza in quella forza che ci inganna e poi ci lascia umiliati. Forse, banalmente, siamo più soli. Il vero problema è dove cerchiamo la forza e cosa significa stare bene. Le esibizioni penose delle persone, l’egocentrismo per cui ho sempre diritto io, le bellezze finte per attrarre o per sentirsi sicuri, credere che amare significhi possedere, garantire e garantirsi la prestazione vincente che porta al disprezzo pratico per chi è debole e, quindi, la fuga dalla propria debolezza, la violenza come frutto del culto di sé e dell’incapacità di amare, il dominio che diventa denigrazione e odio, la competizione invece della condivisione: tutto ciò porta a cercare una forza che ci fa male, illude, deforma e rende insostenibile, fallimentare, la nostra debolezza. Non la riconosciamo mai nell’altro, per cui non troviamo il motivo per cui volergli bene, per aiutarlo, per capirlo ed essergli prossimo.

Oggi ci aiuta Dio, l’Onnipotente, il grande, il forte, la pienezza della vita e di tutto. Dio si fa vedere. Non è scontato, perché solo per amore, per grazia. Solo. Non dobbiamo dimenticare il timore di Dio, cioè il senso delle proporzioni tra le nostre persone che sono “un nulla”, per cui perché deve prendersi cura proprio di noi?  Lo capiamo quando siamo fragili e cerchiamo aiuto. A volte lo rivendichiamo con rabbia: perché non mi aiuta? Perché non fa quello che dico io? Oggi ci accorgiamo – non smettiamo di capirlo e ogni volta commuove ed è stupefacente – che Dio fa molto di più! Ci ama, e ci ama come può amare Dio e, in realtà, l’uomo: fino alla fine, facendosi vicino, standoci vicino, curandoci e guarendoci se può, ma non lasciandoci mai soli. Come si mostra Dio? Debole, fragile, bambino, senza nessun segno esteriore se non la vita stessa, oggetto della cattiveria di Erode, come sarà oggetto dell’odio delle persone che pure ama fino alla fine. Dio sceglie di essere fragile, debole, e ci insegna a non scappare dalla nostra debolezza e fragilità ma ad amarle e capirle nel prossimo. Dio si espone al male e ci mostra la sua e la nostra vera forza: vincere le paure, che ci sono e ci accompagnano, con un amore più grande del nostro. Siamo amati e amiamo.

La paura si vince con l’amore, amando di più la vita che possiamo regalare a qualcuno che, amato, si sente parte di noi. È perdendo la vita che la conserviamo! Dio non si nasconde, non usa un discorso e se ne resta lontano. È una persona, è Gesù, la nostra verità, e questo ci libera dall’incertezza, dal relativismo al nostro io, ma anche dal farne un principio ispiratore che sostanzialmente ci lasci tranquilli. Lui è il capo, il pastore del mio popolo, che chiede il cuore, l’amore. Non rendiamo cristiano un aggettivo che finisce per coprire altre cose, ma amiamo Cristo e amiamo il prossimo come Lui ci insegna, nel modo più umano e divino perché veramente umano. Il vangelo è conoscere il suo amore e rispondere a questo con il nostro. Se Dio lo cerchiamo nelle cose grandi, nella soluzione dei problemi, nella risposta convincente e definitiva o nell’avere una vita tranquilla, restiamo delusi. E così pensiamo: non c’è nessuna manifestazione di Dio a Betlemme! Siamo delusi, vogliamo vedere come Tommaso. Troviamo solo un bambino, e basta.

A volte pensiamo: è difficile avere fede? Da dove debbo iniziare? Da qui, da questo bambino, dal farlo nascere nel cuore, dal sentire teneramente il suo amore, iniziando a riflettere la sua luce amando, essendo buoni, disarmando mani, testa e cuore dall’orgoglio e dalla violenza. Così si illumina il mondo intorno. I Magi videro ed essi stessi sono diventati stelle che brillano nel cielo della storia e ci indicano la strada, astri che orientano nel buio della notte. Possiamo esserlo ognuno di noi. Non cercano più. Hanno trovato, è la luce, la portano nel cuore e la mostrano agli altri. Non se la fanno spegnere da Erode, che li vuole legare a sé, alla convenienza, per farne dei servi. Sono liberi, liberi di amare tutti. Essi portano via quello che cercavano e per il quale perdere tutto. La luce dell’amore. Sono felici perché hanno questo e non perché hanno preso ricchezze. Le hanno regalate e hanno trovato la cosa più preziosa di tutte, quella invisibile ma essenziale. Doniamo quello che abbiamo di più prezioso – il nostro cuore, l’oro; la nostra preghiera, l’incenso; la nostra capacità di voler bene, la mirra – e tante Epifanie riempiranno di luce e di gioia la vita degli uomini, dilateranno il loro ed il nostro cuore.

Bologna, chiesa di San Michele in Bosco
06/01/2024
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