Omelia per don Umberto Terenzi (Roma)

È una gioia grande ricordare don Umberto in questa casa, la sua casa, con la sua famiglia, nel Santuario dell’amore divino che incontra la nostra umanità. È casa di accoglienza premurosa, materna, che fa sentire tutti a casa e ci ricorda che non si ha Dio per padre se non si ha la Chiesa come madre. Maria, colei che genera e continua a generare l’amore di Dio nella nostra povera vita, ci ricorda che siamo figli, ci fa sentire figli accolti da una madre che ci suggerisce sempre – come avvenne per Giovanni – di prenderla con noi nella casa del nostro cuore. Qui ci sentiamo accolti e partendo da qui portiamo questo amore che diventa umano con noi, con la nostra attenzione verso il prossimo, con le opere di misericordia verso i fratelli più piccoli di Gesù. Sarà sempre anche un amore di Dio. Oggi è la memoria del nome di Gesù. Don Umberto ci indica il nome che aiuta a vivere e a morire. Tutta la sua vita è stata spesa per far conoscere il nome della nostra salvezza, attraverso Maria. È il nome che Gesù ci affida, tanto che osiamo – e non dimentichiamo mai il timore di Dio, dono dello Spirito – pronunciare nel suo nome tante scelte della nostra vita.

Come dice l’apostolo, continuiamo anche a vedere “quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!”, anticipo del fatto che “saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è”. Giovanni Battista ci sveglia dal sonno dell’amore per noi stessi, dell’abitudine, della rassegnazione, mostrandoci oggi nell’eucarestia, nella parola, nel prossimo, “l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!”. Quel nome diventa corpo. Non è una verità astratta, lontana dalla vita, non è un’etica – come diceva Papa Benedetto XVI – è un avvenimento, è un nome che significa una presenza, una storia, la concretezza della vita. Nome che si unisce e unisce ad altri nomi, di discepoli, di uomini, donne che trovano se stessi perché chiamati per nome con l’irripetibile concretezza, in quel miracolo che è ogni persona. Il nome che è sopra ogni altro nome dà forza alle nostre parole. La nostra vita è grande quando parliamo, viviamo nel suo nome che non si vergogna di essere affidato a noi, e noi con timore, come l’apostolo, possiamo dire “nel suo nome”. È la libertà dal nostro orgoglio. Fare tutto nel suo nome ci libera dal senso di proprietà, da quell’io che deve sempre possedere e affermarsi per essere se stesso. Il nome di Gesù è il noi che ci unisce al di là delle divisioni, che fa di noi un cuore solo e un’anima sola, che rende piene le nostre povere parole. E il suo nome ci rende forti e liberi davanti ai tanti nomi degli idoli di questo mondo e rende pieno e bello il nostro nome, perché ci ama. La Madonna ci porta sempre a Gesù e rende concreto il suo divino amore. San Francesco tutte le volte che leggeva il Vangelo si leccava le labbra, per assaporare la dolcezza mistica del Salvatore.

Questa casa custodisce i segreti di tanti, quella “inestinguibile aspirazione nostalgica verso l’infinito”. Qui tanta sofferenza ha trovato consolazione. “Solo il Dio che si è reso finito, per lacerare la nostra finitezza e condurla nell’ampiezza della sua infinità, è in grado di venire incontro alle domande del nostro essere”. E qui c’è tanto amore, con l’intensità, la semplicità, la tenerezza di una madre. Questa è l’intuizione di don Umberto. La città ha bisogno di santuari del Divino Amore e le nostre comunità, le nostre persone, devono riflettere questo nel buio della città. La grazia è una dimensione che libera dall’idea gnostica e pelagiana ma che richiede tanta fiducia e tanto amore, il pieno coinvolgimento nostro perché è tutt’altro che fatalismo.

Scrisse don Umberto: “Sono due secoli che la nostra Madre non si stanca di far grazie a tutte le ore, ma – tranne qualche breve sprazzo di luce – il suo piccolo e povero Santuario del Divino Amore è ostinatamente lasciato nelle tenebre dell’abbandono e della dimenticanza. La tua voce si fa sentire, come quella di un pianto angoscioso e straziante, simile a quella delle madri degli innocenti sacrificati dall’ira di Erode. O Madre di amore, quella voce chiedeva pietà, misericordia: tra le voci infinite dei fedeli che a te chiedevano pietà, misericordia, più forte si sente la tua che a loro, per te, implorava pietà e misericordia: pel tuo Santuario, pel tempio del tuo divino spirito di amore, vuole quella voce risurrezione, vita nuova, aspetto più grandioso e degno. [IV.] Ma più che altro è la voce del tuo cuore che si fa sentire: voce di madre che vuole dei figli, delle figlie, numerosi, perché l’amino, perché la facciano conoscere, amare da altri figli, voce di Madre che non vuol esser più sola nell’abbandono secolare; voce di madre piangente sulle miserie dei figli che non vuol vedere soffrire lontani da lei: li vuole vicini al suo colle d’amore, i più miseri, i più poveri, i più abbandonati, i più disperati, perché sappiano che lei non li abbandonerà mai, come il mondo, ma che qui saranno i suoi preferiti perché più con loro che con altri avrà modo di dispensar quell’amore di cui si sente troppo piena”.

La città si unì intimamente al Divino Amore durante la seconda guerra mondiale. Nella notte terribile avrebbe condotto al Santuario decine di migliaia di madri, spose, sorelle, in ansia per la sorte dei propri congiunti partiti per la guerra, pronte ad implorare per loro la protezione della Vergine. Nel 1944, quando le truppe alleate stavano per lanciare l’attacco decisivo su Roma occupata dai tedeschi, davanti all’immagine della Madonna del Divino Amore, il 4 giugno di quell’anno, i romani invocarono la salvezza di Roma, promettendo a Maria di correggere la propria condotta morale, di costruire il nuovo Santuario del Divino Amore e di realizzare un’opera di carità a Castel di Leva. In quello stesso giorno, dopo poco più di un’ora dalla lettura del voto, l’esercito tedesco abbandonò Roma senza opporre resistenza, mentre le forze alleate entravano per Porta San Giovanni e Porta Maggiore, accolte dal popolo romano con manifestazioni di esultanza. Accoglienza, cura, cultura affidate all’amore delle Figlie della Madonna del Divino Amore e degli Oblati figli della Madonna del Divino Amore.

Dalla preghiera doveva nascere una cultura capace di far conoscere il Divino Amore e renderlo cultura, pensiero, visione della vita, attraverso il giornale mensile “Parrocchia”, la rivista di cultura Mariana “La Madonna” e il “Collegamento Mariano Nazionale” tra i vari Santuari d’Italia. Apre una scuola materna, accoglie delle orfanelle, distribuisce il pane della Provvidenza a tutto l’agro romano. Lo aiutano i suoi padri spirituali: il servo di Dio don Pirro Scavizzi, S. Giovanni Calabria, S. Pio da Pietrelcina e soprattutto S. Luigi Orione, considerato il ‘profeta’ dell’Opera. Voleva un “prete prete”, ossia un prete senza aggettivi, al punto da scrivere: “Il prete o è o non è, e quando è ha da esser prete”. E lui era proprio un prete romano, come ricordava don Giuseppe De Luca che si gloriava di questo aggettivo. Don Umberto fu ordinato sacerdote il 31 marzo 1923 e celebrò la prima Messa il 1° aprile dello stesso anno nella chiesa parrocchiale di S. Eustachio, quella di don Pirro. Terenzi non scrisse un vero e proprio testamento spirituale. Siete voi il suo testamento. La sua penultima omelia, però, tenuta durante la Messa di fine anno 1973, fu pubblicata per la prima volta poco dopo i suoi funerali in un opuscolo anonimo e senza data, intitolato “Testamento del p. don Umberto Terenzi ai figli ed alle figlie” a proclamazione della nostra felicità, dell’essere appunto figli e seguaci della Madre di Dio. E non della “Madre di Dio qualunque”, ma della Madre di Dio sotto l’aspetto del Divino Amore, dello Spirito Santo. [3.] Questa è la nostra professione di fede: la vita con la Madonna!

E noi ci crediamo e ci gloriamo di esserci sentiti ispirati a seguirla. Vogliamo seguitarla per tutta la vita, poco o molto lunga che sia, con la nostra volontà e professione; non ce ne vogliamo più andare, almeno finché siamo in terra; e quando staremo in cielo ancora di più la nostra vita deve essere attaccata umanamente, fortemente, divinamente alla vita soprannaturale, alla vita con la Madonna, che ci ha rapito il cuore. L’ abbiamo preferita a qualunque altra vita, e non potremmo paragonarla a nessun’altra, perché la vita con la Madonna è la più semplice e facile, ma anche la più desiderabile. Chi comprende la nostra vocazione di figli della Madonna del Divino Amore non desidera altra vocazione; chi comprende lo stare con lo Spirito Santo, stare con Maria, vivere in Lei e per Lei, non può desiderare altro; e se desidera qualcosa, è di penetrare sempre meglio in questo Spirito, conoscerla e farla amare. Conoscerla e farla amare, consacrarsi al suo amore, alle sue opere, costi quel che costi, e portarla dovunque. Ecco il nostro ideale, che se lasciamo agire lo Spirito Santo che è anche in noi come nella Madonna, se lo adoperiamo come va adoperato, farà cose grandi anche con noi che non sappiamo far niente: lo Spirito Santo agirà a forza di miracoli. Ringraziamo per la sua testimonianza, per la sua tenacia, per una casa larga e aperta sul mondo, per questa fonte di amore misericordioso che ha consolato, perdonato, aiutato tanti.

Con San Giovanni Paolo II ripetiamo le parole che rivolse a Maria proprio da questo Santuario: “Salve, o Madre, Regina del mondo. Tu sei la Madre del bell’Amore, Tu sei la Madre di Gesù, fonte di ogni grazia, il profumo di ogni virtù, lo specchio di ogni purezza. Tu sei gioia nel pianto, vittoria nella battaglia, speranza nella morte. Quale dolce sapore il tuo nome nella nostra bocca, quale soave armonia nelle nostre orecchie, quale ebbrezza nel nostro cuore! Tu sei la felicità dei sofferenti, la corona dei martiri, la bellezza delle vergini. Ti supplichiamo, guidaci dopo questo esilio al possesso del tuo Figlio, Gesù. Amen.

Santuario del Divino Amore, Roma
03/01/2024
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