Messa di congedo per Don Athos Righi

Bologna, Cattedrale

La parola proclamata è sempre donata dalla Provvidenza che in realtà ci accompagna sempre come ha scandito questi giorni dolorosi e pieni di emozione, di intima consolazione spirituale, di intensa comunione e di tante domande. Domenica scorsa ci è stato regalato il Vangelo dell’Annunciazione, che ha tanto definito la vita, cioè la vocazione, di Athos.

Come Anna presentiamo con riconoscenza al Signore il nostro fratello Athos e anche noi lasciamo che il Signore lo richieda “per tutti i giorni della sua vita” perché sia amato eternamente. La vita di chi ascolta e mette in pratica la Parola di Dio è benedetta da Dio, come esclama Elisabetta con gioia vedendo Maria. Benedice la benedetta.

La vita del credente è sempre una benedizione perché piena dello Spirito di Dio, suscita il bene, anche da lontano, lo comunica e diventa lui stesso benedizione del prossimo. Magnificat. E’ il canto che sorge dal cuore amato che loda l’Altro per quello che è, perché “è”, non per un dono specifico ma perché è la sua presenza.

Magnificat è la conclusione di un incontro e della corsa che questo provoca e che fa attraversare le montagne. Magnificat è oggi la conclusione della corsa di Athos che tante montagne ha superato per andare incontro, per cercare il fratello, la sorella, per servire l’unità dei fratelli e del cuore della persona.

E per lui l’Annunciazione avvenne, come raccontò lui stesso, quando avevo 17 anni. “Ad un certo punto Don Giulio mi ha detto:” Hai un bisogno di un direttore spirituale”, perché gli avevo manifestato una certa voglia di andare a Camaldoli che avevo conosciuto.

Però lui disse “ma a Camaldoli pregano in latino”. Io allora facevo il semplice cuoco e il latino lo rigettavo perché mi sembrava una cosa da preti. Comunque don Giulio mi fece incontrare don Giuseppe: quella persona corrispondeva alla sete spirituale che era già in me.

Quella comunità emanava il profumo di un saldissimo legame spirituale.  Non conoscevo ancora San Benedetto, ma quello che vedevano i miei occhi era davvero una famiglia sovrannaturale che nasce e si rigenera ogni giorno nella divina Liturgia Da questo dono inatteso ne è derivato il desiderio di essere in consonanza con le indicazioni di don Giuseppe per poter gustare la bellezza di essere figlio”.

Oggi, al termine della sua vita, che avremmo desiderato e pensato più lunga, Athos canta il Magnificat e ci aiuta a cantarlo, vincendo il groppo in gola, insieme a lui e a quella comunione di santi, insieme con la sua Piccola Famiglia dell’Annunziata, con i martiri di Montesole, con i tanti che ha incontrato e per i quali è stato un riflesso pieno di umanità dello Spirito di Dio.

Oggi siamo aiutati a contemplare la presenza nell’assenza, noi spesso così poco spirituali che pensiamo ancora vero – con tanto residuo di incredulità e diffidenza – solo quello che vediamo e tocchiamo. E penso per me che la consapevolezza della presenza nell’assenza è la risposta alle tante inquiete domande che mi pone questo ennesimo strappo della nostra comunione fisica.

Salutando don Mario Cocchi pensavo che mi chiedeva di non indugiare per profittare dell’undicesima ora, per scegliere di seminare con audacia e fiducia il seme del vangelo, per donare a tutti “l’unum necessarium” e per aggrapparmi io a questo. Oggi penso che il dono di Athos è proprio la presenza di Dio nell’assenza, contemplarlo nella storia degli uomini e nel cuore delle persone, svelare il mistero di amore che cercano, che possiedono senza comprenderne il nome e senza amarne il volto. Perché è beato colui che ama l’altro «quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui». La comunione è questo amore.

Ci aiuta così tanto Athos, padre per tanti e di storie diversissime (l’amore vero non è mai monocorde ma sa parlare con tutti), padre perché figlio e sempre con tanta mitissima fraternità, rigoroso verso di sé e comprensivo verso gli altri, che amava la sua e nostra madre senza ossequi servili da sacrestia, con schiettezza e illuminazione. Profondamente padre, con l’autorevolezza di una vita credibile, senza inganni, interamente e serenamente donata. Come un padre portava con sé le sofferenze per i suoi figli, le faceva sue soprattutto quando non sentiva realizzata la persona che ascoltava.

E portava tutti con sé non solo quando le aveva davanti, ma forse molto di più dopo, quando era solo, nella preghiera, nella macerazione profonda dell’amore. Il suo era un amore libero ed esigente allo stesso tempo, amabile e diretto, senza menzogna, che non voleva perdere nulla dell’interlocutore e sapeva difendere anche i piccolissimi fili di amicizia che uniscono, quelli della rete gettata nel mare che non si rompe perché di amore.

Un padre sempre disponibile che rendeva dolce e leggero il giogo, un padre che preferiva l’attesa umile e paziente, come quello della parabola, per accogliere l’altro che rientrava in sé.  Un padre che soffriva per i suoi tanti figli perché li voleva contenti e per lui la gioia era solo seguire il Signore. Un padre che non si è mai sottratto dall’essere fratello mite, che aveva il dono del conforto e sapeva infondere pace, perché umile, e aveva ottenuto, come recita la consacrazione, “la purificazione e la semplificazione della mente, la piena libertà da se stesso, la dilatazione del cuore per la pienezza della carità verso il prossimo e per l’adorazione pura del Dio vivente”.

Maria canta il Magnificat perché Dio ha guardato l’umiltà della sua serva e lei è rimasta umile perché solo così si è leggeri per potersi fare innalzare da Dio e dall’amore dei fratelli. L’orgoglio schiaccia sulla terra, provoca la sordità interiore, imbruttisce il nostro volto e incattivisce il cuore, lo involgarisce con tante vie tortuose che diventano labirinti inestricabili per l’amore. La Parola si compie nella storia e ci mostra i superbi dispersi nei pensieri del loro cuore e i potenti rovesciati dai loro troni, e sa vedere e volere gli affamati ricolmati di beni e i ricchi rimandati a mani vuote perché le riempiano finalmente di amore.

La chiesa è sempre un’alleanza di umili e di poveri, di Anawin che diventano piccoli perché combattono contro l’orgoglio e si fanno prossimo dei piccoli fratelli di Gesù. Maria parla di sé perché parla di Dio, perché amata da Dio e per questo ama e mette tutta se stessa al servizio del prossimo. Può dire “il mio spirito” perché piena del suo! Può dire “mi chiameranno beata” perché ha creduto nell’adempimento della parola. Tutto è nostro nell’amore e la storia può cambiare con la potenza di Dio.

Magnificat anima mea per don Athos. Oggi lui canta ex abundantia cordis la lode del Signore, ci aiuta a farlo, ci aiuterà a farlo liberandoci da incertezze, piccinerie e vittimismi, sentendo la sua benedizione e scegliendo di essere noi benedizione per gli altri. Lo affidiamo alla misericordia del Padre che è nei cieli, per l’intercessione della Beata Vergine Madre di Dio, di San Pietro, del Buon Ladrone.

Faccio mie le parole di Paolo, Mariam e di tutta la Piccola Famiglia: “Ti chiediamo di insegnarci dal monte Nebo la perseveranza nel cammino faticoso nel deserto, la cura di ogni compagno di strada, lo sguardo verso gli orizzonti grandi, la tensione verso la Terra promessa, l’amore che spera, con certezza irremovibile, nelle promesse di Dio”.

In pace. Amen. Magnificat.

22/12/2020
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