Messa di Natale Curia

Messa per i dipendenti e volontari della Curia

Ritrovarsi intorno all’altare in questo casa che è il cuore della Diocesi che amiamo e che siamo chiamati a servire, è per me il centro e il fulcro della vita spirituale. Comprendiamo chi siamo e contempliamo assieme il “primogenito”, il fondamento della nostra fraternità. Cosa succede quando il Signore è ridotto a cornice di scelte che vedono al centro i nostri protagonismi, gli umori, le abitudini, i ruoli, la considerazione individuale?

“Signore Tu ci sei davvero necessario”, esclamava San Paolo VI. Se Gesù è ridotto a principio ispiratore e non è una presenza che orienta i nostri passi, tutto diventa più difficile, faticoso, immancabilmente cresce il nostro orgoglio tanto che la nostra umanità invece di essere una ricchezza che aiuta l’unico corpo diventa motivo di divisione. Sento la gioia di essere una comunità di persone che ascoltano e mettono in pratica individualmente e assieme la chiamata del Signore e che sono stati mandati per sola grazia a lavorare nella sua messe, noi ad aiutare così da vicino questa madre che genera Cristo tra gli uomini.

La Chiesa è un corpo complesso, delicatissimo e fortissimo, casta meretrix che aiutiamo con la nostra santità e per la quale anche cercare sempre di essere migliori. Stiamo vivendo una profonda trasformazione, che a volte disorienta, causa incertezza, può spingere ad entrare a fare parte dei sempre numerosi profeti di sventura. Qui possiamo abbracciare tutta la madre, e sentiamo la gioia e il dolce dovere di ricordare il poliedro delicatissimo delle differenti realtà che compongono la nostra bellissima Madre. Portiamo nel cuore le comunità, i suoi figli, i tanti santi della vita ordinaria, i testimoni silenziosi che con la loro vita riflettono la luce di Dio, che servono come San Giuseppe con tanta umiltà. Portiamo con noi anche quelli che non conosciamo, che sappiamo ancora troppo poco avvicinare, che ci sembrano lontani e che in realtà ci chiedono di essere più evangelici.

C’è tra noi una circolarità che richiede tanta comunione: tra i nostri uffici e le varie comunità, ma anche proprio per questo tra i nostri stessi uffici. La comunione non è mai acquisita una volta per sempre. La comunione ascolta come nessun altra condivisione, in quella osmosi profonda del pensarsi insieme. Entra nella complessità della difficile arte dell’incontro e della vita comune. Non facciamo mancare la personale creatività, così importante per crescere, per rispondere in maniera adeguata alle tante sfide. Non imponiamo, però, i nostri punti di vista come se fossero gli unici. Non pensiamo che l’ascolto e il confronto tra di noi e l’obbedienza al nostro cammino comune siano ostacoli alla nostra creatività! Ne sono la garanzia!

Scegliamo sempre l’unità, anche se a volte questo ci chiede di sacrificare qualche ragione individuale. Aiutiamo con la nostra riflessione originale e con il lavoro umile perché questo anno possiamo trovare nuovi modi di parlare a tutti gli adulti e di seminare largamente nei loro cuori la parola perché dia frutto. Nella fraternità e nell’amore alla Chiesa tutto è possibile! Ascoltiamo con intelligenza del cuore e della mente le necessità delle nostre comunità in un tempo così faticoso, dove cambiano tanti parametri abituali e la pandemia rivela le nostre fragilità ma che è un kairos da non perdere. Che tutti possano trovare qui e in ognuno di noi l’accoglienza e la premura di una madre. E di fronte alla povertà scegliamo gli strumenti più efficaci, coraggiosi, profetici per rendere concreta la misericordia di questa madre, coinvolgendo nella sua carità tutte le generazioni perché il bisogno è grande e tutti possono aiutare a moltiplicare il pane dell’amore e vivere il rapporto personale con il povero.

Non accontentiamoci di risposte limitate, perché l’umiltà di Maria è la chiamata alle cose grandi dello Spirito. L’avvento è tempo opportuno perché la gioia della sua presenza, l’attesa di un incontro di amore, ci cambi e abbatta i nostri muri interiori. Il Natale è una culla, cioè la possibilità donata alla donna e all’uomo che siamo di poter rinascere. Ci sarà Natale ma solo se i nostri cuori si aprono alla ricerca, al desiderio di incontrare Gesù, di lasciarci conquistare da un amore così grande, di avere figli, di fare crescere realtà intorno al Vangelo. Questo avvento ci insegna che siamo annunciatori e sentinelle, che abbiamo il dovere di essere visionari e servitori del futuro, tessere di un mosaico che inizia a comporsi proprio a partire da noi. Natale nella sua grandezza ci libera dalla sottile rassegnazione che ci rende mediocri o dal rischio di pensarci minoranza impaurita o orgogliosa.

Non rincorriamo una cristianità che è davvero finita, con i suoi paradigmi e il suo immaginario che dobbiamo aggiornare altrimenti ci avvelena con l’amarezza. Noi siamo un presepe che con povertà e semplicità vuole accogliere tutti, senza orgogli ma forti del Vangelo. Ci aiuta San Giuseppe. E’ il custode. Il nostro servizio, con i diversi ministeri tutti importanti e complementari, è proprio quello di proteggere, custodire. Giuseppe esercita pienamente il suo ruolo, in maniera diversa dal mondo. Decide, guida, difende ma è umile. Ascolta, non rimanda e coglie il momento opportuno perché obbediente alla Parola. L’umiltà per lui non significa sottrarsi dalla responsabilità e non pensa che esercitare il ruolo sia arroganza, perché tutto in lui è amore e servizio. E’ un padre, attento, capace di fare crescere perché non lega a sé ma al Padre dei cieli.

E’ davvero l’uomo dell’ascolto e anche l’uomo del lavoro. Nel documento con cui Papa Francesco indice l’anno di San Giuseppe lo descrive come Padre nella tenerezza che libera dalla tentazione che ci fa guardare con giudizio negativo la nostra fragilità. San Giuseppe è Padre nell’obbedienza, ben diversa da rassegnazione passiva. “Dio può far germogliare fiori tra le rocce”. Giuseppe è pieno di amore creativo. La felicità di Giuseppe non è nella logica del sacrificio di sé, ma del dono di sé. “Il mondo ha bisogno di padri, rifiuta i padroni, rifiuta cioè chi vuole usare il possesso dell’altro per riempire il proprio vuoto; rifiuta coloro che confondono autorità con autoritarismo, servizio con servilismo, confronto con oppressione, carità con assistenzialismo, forza con distruzione”.

Ecco la gioia del nostro servizio alla nostra madre, che tanto ci commuove perché porta con sé tante ferite, vuole farsi prossima a tanti, non risponde a chi la offende ma difende sempre l’unità. La nostra madre è piena, pur con la meschinità delle nostre persone, dello Spirito. E’ questa nostra madre che serviamo che continua a generare nel mondo la nostra salvezza, Cristo.

18/12/2020
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