Messa di Pentecoste

Gesù è asceso al cielo per indicarci la nostra vera casa. E’ scomparso alla vista perché tutti possano vederlo e chi lo cerca trovarlo. E’ lontano ma non assente. I discepoli avevano cercato lo spazio del regno, la vittoria di Gesù, i risultati, i frutti evidenti e immediati delle loro attese. Cercano lo spazio e non hanno fiducia nel tempo! Non spetta a voi conoscere quando! Gesù ci libera dallo spazio delle false sicurezze e delle ricompense e ci indica il tempo di Dio, la pazienza e la fiducia dell’agricoltore, che sa riconoscere il futuro nell’oggi, che prepara quello che resta, che semina oggi quello che forse non vedrà ma che sa ci sarà malgrado lui, che va oltre lui. I discepoli non erano rimasti a guardare il cielo, perché la speranza non la troviamo in un altro mondo, nelle buone intenzioni, nelle idee astratte, scappando in un mondo impersonale, come quello popolato da tanti incontri finti, prodotti da apparecchi e programmi sofisticati che si possono accendere e spegnere a comando o in quei tanti vini dolci delle felicità a buon mercato, che moltiplicano le occasioni di piacere, ma non danno la gioia, anzi la tolgono. Gesù lo incontriamo aprendo gli occhi sul nostro mondo, guardando la vita così com’è con gli occhi della misericordia, quelli che vedono perché amati e pieni di amore. I discepoli erano rimasti proprio in città perché Gesù aveva loro detto che lì sarebbero stati rivestiti di potenza dall’alto. Spesso cerchiamo forza in noi stessi, nelle cose che facciamo, nell’affermazione del nostro io. Invece la potenza viene inaspettata, nel vento che libera dalla nebbia, nel fuoco che brucia la paura e scalda il freddo. I discepoli pensavano di fuggire dalla città perché la sentivano una minaccia. Da essa si difendevano chiudendo le porte. Avevano paura. Lo Spirito ci apre alla realtà, ci libera dai filtri che crediamo ci difendano mentre spesso ci rendono solo più indifferenti e fragili. E’ facile chiudere le porte; è facile dire di no, mettere limiti. Lo facciamo istintivamente: è la pigrizia delle abitudini, la presunzione dell’orgoglio, la stolta sicurezza dei nostri giudizi. Le porte soprattutto si chiudono con la rassegnazione, per cui niente vale la pena, tutto sembra già vissuto, i limiti definitivi, a volte amaramente, altre con presunzione. La rassegnazione è come la tiepidezza, il contrario dello spirito: lo spegne con il “si è sempre fatto così”, o più facilmente “non lo abbiamo mai fatto”, “non siamo sicuri”, con il sottile “tanto a che serve?”, con il facile “non è possibile”. La rassegnazione giustifica i discepoli della sconfitta, che si difendono con la mediocrità (ma l’amore non è mai mediocre, perché rende sempre grandi), uomini che hanno perso l’audacia dei primi tempi, del primo amore, l’ambizione di cambiare il mondo, lo sdegno per l’ingiustizia e per la sofferenza, la passione di liberare i cuori e di seminare speranza e amore, il desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra (EG 183). Quando il cenacolo è chiuso i discepoli finiscono per immaginare un mondo che non esiste, non sanno vedere niente di bello, immaginano nemici che non ci sono, si compiacciono di se stessi senza fare nulla; giudicano o sognano di diventare come tutti. E non ci si impiega davvero niente! Nicodemo, interprete raffinato del proprio io, amaramente rassegnato ad una vita invecchiata, non crede possibile diventi nuovo. La Pentecoste è la risposta a Nicodemo, triste e consapevole realista. Oggi si realizza per gli uomini la Pasqua e nasce e rinasce l’uomo vecchio, segnato dalla sua storia, dal suo limite, dal peccato. Oggi le porte chiuse della rassegnazione sono aperte! E’ il battesimo nello spirito. Non diventiamo quello che non siamo, come ama la nostra generazione che cerca operazioni estetiche, l’ipocrisia delle apparenze. Non affermiamo tristemente il nostro io, senza gli altri! E’ lo Spirito che ci rende tutti diversi eppure insieme, noi stessi ma con altri. Lo Spirito rende forte il debole, saggio l’ignorante, audace il pauroso, generoso il timido. Il confine non è più il nostro piccolo universo o un prudente e misurato allargamento di questo ma è la città e la terra tutta. Tutti sono degni dell’amore; tutti hanno nascosto il tesoro di Dio. A Pentecoste vi erano tutti i popoli, come a rappresentare il mondo intero, le lingue infinite che finalmente non isolano, non si contrappongono, non giustificano il chiudersi, non causano la diffidenza o peggio la violenza. Tutto è amato dallo Spirito. Non ci mette più paura la babele della città, la confusione minacciosa del mondo, perché parliamo la lingua per cui l’altro capisce ed è capito. E’ la lingua della misericordia, quella dello Spirito, quella di Dio.
Due frutti dello Spirito. L’unità e la gioia. I discepoli a Pentecoste sono uniti. Sono convincenti proprio perché pieni non di se stessi ma dell’amore. Parlano il dialetto, ma tutti li capiscono. Uniti uniscono, raggiungono i più lontani, che sono i poveri. Il nostro mondo ha diffidenza dell’unità e la scambia per uniformità, tanto che la divisione e l’individualismo sembrano l’unica via per la realizzazione dell’individuo. Triste l’uomo che per essere se stesso si divide o si deve isolare! Una comunità ridotta a sfera o a condominio non cambia nulla e nessuno, non convince e non crea nulla di nuovo. Cerchiamo sempre la via dell’unità, anche quando sembra inutile o è faticosa. La nostra unità è la comunione, pensarsi assieme, praticare l’amicizia. Non facciamo mancare il nostro personale dono isolandoci, con la tiepidezza, con la presunzione dell’adulto, con l’amara solitudine dei vecchi. Ognuno è una missione, ha la sua. Lo capiamo solo donandoci e costruendo la comunità, amandola, difendendola, rendendola bella con la nostra amicizia e servizio, piegando il nostro io ad essa e non viceversa. A Pentecoste avevano un cuore solo e un’anima sola, come una grande orchestra dove ogni strumento e ogni voce sono diversi ma tutti necessari per l’armonia della musica. Lo spirito libera da quell’individualismo così insidioso, origine di ogni Babele. E ne vediamo i frutti in un mondo così violento, rapace. L’unità non è una somma e nemmeno un evento o un’organizzazione, ma il paziente e delicato lavoro dello Spirito. Questo ci rende credibili, ci sostiene, ci completa.
La gioia è frutto dello Spirito. Va incontro, compie il primo passo, l’entusiasta, chi sente un amore grande in sé! Il cristiano non è un prudente e sicuro dispensatore di verità, ma un innamorato che comunica amore. I discepoli non parlano come un libro stampato; non sono ripetitori stanchi o moralisti di una legge lontana dalla vita, non fanno una lezione. Gli uomini non persuasi non persuadono. Pietro non ha forse belle parole ma ha una forza profonda. Non ha più paura di sbagliare! Dal suo grembo, come da chi crede, sgorgano fiumi di acqua viva che tolgono la sete. E’ pieno di gioia! Senza entusiasmo tutto diventa difficile o inutile. La tristezza ci rende sterili, spenti osservatori, scontenti e critici degli altri. La gioia di Pentecoste è il tanto amore che sentiamo nel cuore, che ci unisce tra di noi, che rende bella e attraente la vita, che resta come spiraglio di luce nelle avversità, perché sappiamo quanto siamo infinitamente amati.  Seminiamo tanto amore anche quando ci sembra di non aver ottenuto nulla con i nostri sforzi. L’amore non va mai perduto. Lo Spirito opera come vuole e quando vuole. Ne ha sempre bisogno la città, ogni uomo. Come a Gerusalemme. Noi sappiamo soltanto che il dono di noi stessi è necessario. Seminiamo con la sicurezza che non andrà perduta nessuna delle opere svolte con amore, nessuna generosa fatica o dolorosa pazienza. Tutto ciò circola attraverso il mondo come una forza perché lo Spirito trasforma e rende piena la vita. Tutto è nostro nell’amore. Uniti e gioiosi. Così si trasforma la città e sappiamo vedere il cielo nella terra, indicarlo e donarlo a tanti che lo cercano, svelando il cielo nascosto in ognuno. Veni Sancte Spiritus! – Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore!». Amen.

15/05/2016
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