Messa e inaugurazione della chiesa parrocchiale restaurata dopo i danni del terremoto

L’apostolo Paolo scrive alla comunità di Roma, dove stava per andare, mentre era in catene, condannato a morte. Si vanta nelle tribolazioni, “sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. E la speranza poi non delude”. La virtù è tale solo se provata! Queste parole possono apparire lontane per noi che piuttosto ci lamentiamo, anche quando non dovremmo, come per un atteggiamento istintivo e egocentrico per cui contiamo solo noi e quello che proviamo noi. Al contrario ci aiutano a capire quello che è successo da quei due giorni di maggio, di sette anni fa. Fu una “tribolazione” dolorosissima, non solo per le terribili conseguenze negli edifici e nelle strutture pubbliche di tutta la nostra zona, (ricordo le cresime di qualche anno fa e vorrei rendere omaggio al Cardinale Caffarra che allora tanto si prodigò per alleviare la sofferenza) ma anche per le ferite profonde, invisibili, come certe case che esteriormente sembrava non avessero avuto conseguenze e invece erano molto compromessi. Ci sono delle crepe interiori, che segnano i cuori e rendono fragili, paurosi, sensibilissimi a qualsiasi scossa, che spengono la speranza perché ci abbattono facilmente e dimostrare che nulla vale la pena. Oggi ci vantiamo anche noi nella tribolazione e smettiamo di lamentarci perché siamo più forti e consapevoli: conosciamo il male e la sua terribile forza di morte e distruzione, ma abbiamo visto anche la nostra energia di amore, la capacità lavorare assieme, di non arrendersi, di guardare con speranza, di risanare le ferite, ricostruire, restaurare con tanto lavoro, mente e cuore. Ecco, questo è il vanto nella tribolazione: rendere più bello di prima quello che è stato colpito.
Ripariamo quello che il male colpisce, senza rimandare, senza perdere tempo. Riparare è l’arte dell’amore, che ripara tutto e rende nuovo quello che viene segnato dalla debolezza. E’ un’arte che conosciamo poco, perché pensiamo che nulla dipende da noi (mentre negli stili di vita tutto è conseguenza di come noi viviamo), crediamo più facile sostituire; perché il consumismo ci fa credere che bello è ciò che nuovo e che possiamo comprarlo, alla ricerca di modelli perfetti, accattivanti, risolti. Così si producono gli scarti. Ripariamo sempre la nostra vita, la casa comune, le nostre comunità! Possiamo noi, tutti noi, riparare la casa della nostra vita comune. Il terremoto ci ha ricordato quanto sono importanti i luoghi della nostra vita comune, della comunità. L’individualismo ordinario indebolisce la casa comune; l’indifferenza la rende grigia tanto che non si riesce più vederne i tratti; il rancore non ce ne fa contemplare la bellezza; la paura ci allontana e fa cercare delle fortezze piuttosto che delle case. Ripariamo la comunione tra noi e con Dio chiedendo e dando perdono, offrendo sicurezza con il nostro amore fedele, stabile, su cui gli altri possano contare; portiamo amore dove c’è abbandono, dove ci sono macerie di rassegnazione. Non giudichiamo: amiamo. Ripariamo perché tutto ritrovi luce e bellezza, ad iniziare dalla fraternità costruendo relazioni vere, per solo amore, cercando sempre quello che unisce e non schierandosi su quello che divide. Ecco il frutto del restauro è la comunione con Dio e tra di noi. Dio è comunione. In italiano comunione indica sia il sacramento dell’eucarestia sia il legame che ci unisce. Non è così sempre l’amore quando è vero? Non è pensare l’altro come la mia metà e non più come un estraneo che ha poco a che fare con me? Oggi è festa della comunione di Dio, nostra con Lui e tra di noi. Questa casa rappresenta, rende visibile la nostra comunione e quella di Dio con noi. Siamo suoi e uniti tra noi, nonostante le divisioni. E’ la casa della comunità, dove impariamo ad amarci perché Lui ci ama ed è al centro di questa comunione tra noi. Qui impariamo a parlare la lingua di Dio, quella dell’amore che tutti comprendono, perché insieme all’unico Pare, dove siamo generati a figli e ci ricordiamo che non siamo unici e che non siamo di più noi stessi perché soli. E’ anche casa di comunione con Dio, tre persone un unico Dio. Solo l’amore può permettere questo. La Trinità non sono tre dei! Dio è uno, uno solo! Eppure sono tre persone, cioè tre espressioni della stessa identità, “essenza”. Noi che passiamo la vita a distinguerci, che pensiamo al nostro io da soli (quando incontriamo qualcuno diciamo troppo “Ciao, come sto?), che dobbiamo distinguerci ed essere grandi da soli, che ci preoccupiamo di dire mio, in una generazione come la nostra nella quale sembra così difficile vivere e pensarsi insieme, che si abitua a credersi sicura alzando muri, la Trinità parla di tre persone distinte e uguali tra loro, una diversa dall’altra eppure una cosa sola. Ci esercitiamo tanto a dire “mio”, ma siamo felici solo se sappiamo dire noi e perdiamo noi stessi! Certo, non è facile essere comunione, pensarsi l’uno per l’altro, difendere i motivi dello stare insieme, sapere dire che “quello che è mio è tuo”, come il Padre misericordioso della parabola. Sfuggiamo all’egoismo che ci rende prigionieri di noi stessi. Non abbiamo riscoperto quanto è importante questa comunione tra noi proprio quando tutto crollava? I primi cristiani avevano “un cuore solo ed un’anima sola”. Non è una magia, ma una scelta ed un dono dello Spirito di Dio. Impariamo a stare attenti al bene comune, a non ridurre tutto al piccolo interesse ma a cercare sempre il bene degli altri; a difendere sempre quello che ci unisce ed a non dare subito importanza a quello che divide, qualche volta davvero cose insignificanti; a non accettare tanta solitudine come normale ma a scandalizzarci, invece, per la facilità di tanti abbandoni. La Trinità, allora, è il nostro futuro ed iniziamo a viverla quando “siamo” in “comunione”, cioè abbiamo bisogno l’uno dell’altro, cerchiamo quello che unisce, non perdiamo niente e nessuno, vediamo nell’altro, soprattutto nei suoi fratelli più piccoli che sono i poveri, la stessa immagine di Dio che è nascosta in noi. E’ la gioia di essere suoi, di sentirci parte di una circolazione di amore che tutto dona e tutto riceve, di servire e quindi di essere serviti. Questa è la casa che Dio ci affida. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

16/06/2019
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