Messa in suffragio di tutti i defunti

Eccoci, insieme a tutti i defunti, con questa folla di persone che sentiamo tutte legate a noi dall’appartenenza all’unica famiglia umana. Ci insegnano anche loro a dire: “Fratelli tutti”! Alcuni di loro ci hanno donato quello che siamo e abbiamo. La vita non inizia con noi e porci sul limite fisico della vita ci aiuta a vivere bene e ad interrogarci senza narcotici sul dopo di loro e il dopo di noi. Dove stanno? Dove andrò? Tutti i defunti ci ricordano la fine e il fine. La fine – piena di domande e angosce per tutti – è stata ancora più ingiusta quando è avvenuta nella solitudine, nell’isolamento che si aggiunge a quella distanza che la malattia sempre pone tra il malato e gli altri.

Peraltro è sempre così, perché è vero che quando si muore si muore soli, ma se intorno c’è la comunità la morte fa meno paura e capiamo quello che non finisce. Per questo non lasciamo mai nessuno solo nella sua morte che si vince accompagnandola, liberandola dalla sofferenza, non anticipandola! Chi ama non si rassegna alla fine e non può accettare la distanza. I discepoli amavano Gesù, ma la paura e l’amore per se stessi furono più forti e tutti scapparono dalla croce. Solo la Madre e il discepolo che Egli amava rimasero accanto a Lui, appunto perché amavano.

Non erano coraggiosi, intrepidi, eroi: amavano di più Gesù. Quando non siamo potuti stare accanto ai nostri cari abbiamo provato tanto dolore, amarezza; è cresciuto in noi un senso di essere come dei sopravvissuti; siamo stati travolti dalle infinite domande sulla fine e anche sul fine. Oggi, qui, accompagnati dal Signore, da sua Madre e da tutti i santi che con la loro luce ci aiutano a penetrare il buio che non ci fa vedere, viviamo il dono della comunione, legame che supera ogni isolamento e anche il nostro peccato, perché il Signore ama i suoi e non li abbandona mai, come i nostri cari hanno sentito. La definitività della fine sgomenta ancora di più noi illusi dalla presunzione egocentrica e un po’ onnipotente che ci fa credere che siamo noi a potere scegliere, che andrà tutto bene, che possiamo determinare a nostro piacimento o secondo la necessità.

Resta il problema sul fine della nostra vita, sul suo punto di arrivo che la spiega e motiva il nostro andare avanti. Gesù si commuove (non condanna e non scaglia verità contundenti, ma manda i suoi discepoli!) proprio nel vedere le folle come pecore stanche e sfinite perché non sanno dove camminare, perché non ascoltano più la voce protettiva e rassicurante del pastore. Quando tutto è fluido, possibile, quando le esperienze si succedono e si moltiplicano come infinite onde del mare per sentirci vivi, proviamo certamente l’adrenalina della navigazione che enfatizza ogni attimo presente ma finiamo sballottati, sfiniti, perché il desiderio di vita e di amore che abbiamo dentro chiede una risposta vera e non tanti frammenti spesso banali, tutti uguali e dei quali non comprendiamo il senso.

Il fine è capire perché e per chi vivo. Se vivo per me stesso finisco, la vita si chiude e non genera vita. Il fine, senza il quale tutto è vanità, trova risposta piena in quel mistero di amore che è Dio, spiraglio di luce che ci raggiunge e ci fa sentire infinitamente amati da Lui. Quando sentiamo il suo amore in modo personale – esperienza spirituale, umanissima, del cuore e della mente – si illumina la vita, tutto appare chiaro, anche le oscurità più grandi, e capiamo che siamo frutto dell’amore di un Padre che ci cerca con tutto se stesso, che non vuole la fine della vita e che la rende eterna. Anche Dio trova se stesso amando il prossimo, noi, perché la fine sia un inizio e perché niente ci può separare dall’amore. Solo noi stessi.

Oggi rivolgiamo un delicato e personale atto di amore verso i nostri defunti, ricordandoli tutti al Signore. Impariamo ad avere un cuore largo qui, per amare tutti anche nella vita. Essi stanno insieme. Staremo insieme. Non possiamo iniziare a farlo fin da adesso? La vita che non finisce inizia quando siamo uniti nell’amore e non restiamo prigionieri della paura che paralizza il cuore, riempie di rabbia, odio, ci rende indifferenti invece di aiutarci, competitivi invece di essere solidali, silenziosi invece di comunicare tra noi, autosufficienti invece di avere solidarietà, distanti e isolati invece di essere vicini e fraterni. La vita eterna inizia con Gesù che ci cerca e ci prende con sé. Dio non chiede qualcosa che non possiamo vivere e non chiede quello che Lui non ha vissuto. Ci ama sempre per primo e non smette di farlo perché ci ama. Il suo amore ci fa trovare il nostro io, quello per cui siamo stati fatti e conserva tutto quello che abbiamo vissuto, perfino i capelli del nostro capo. Risorgerà tutta la vita, niente andrà perduto, tutto troverà compimento, anche quello che noi non ricordiamo o non sappiamo valutare.

Noi non abbiamo ricevuto uno spirito da schiavi, ma da liberi! Dio non è una dipendenza, è libertà, perché altrimenti smentirebbe se stesso, perché l’amore è libertà dall’idolatria più temibile, quella dell’io. La promessa di Dio è che siamo suoi nell’amore e non una proprietà. Ama, non possiede! Ama e chiede solo amore. Non siamo schiavi che devono eseguire un ordine, programmati da un’intelligenza che si sostituisce alla nostra per non scegliere e decidere, ma siamo figli, figli ed eredi, con la piena dignità. Se siamo padroni di noi stessi perdiamo l’eredità, perché cercheremo di possedere e l’amore non si possiede! Dio è amore, non un elargitore di premi, una grande lotteria per qualche fortunato, un giudice che amministra una legge.

“La creazione è stata sottoposta alla caducità, non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta”. Dio non ci libera dalla caducità ma ci rende liberi di amare e di capire quello che non finisce e risponde all’attesa, al desiderio di tutta la vita. Il suo amore, così diverso dai tanti surrogati facili e rapidi che lo confondono, lo possiamo già vivere e donare e lo vedremo pieno quando finisce questo nostro già e saremo immersi nel non ancora. Se abbiamo condiviso qualcosa, la resurrezione comprenderà tutto ciò che ci siamo donati l’uno all’altro. La persona è e sarà intera, con tutta la sua vita perché niente va perduto, e vedrà con chiarezza, senza velo, se stessa, senza nessuna interpretazione perché l’amore è molto più di una analisi che ti lascia sempre solo. Un solo raggio della sua luce dissipa le tenebre più fitte. E questo raggio è affidato anche alla nostra santità, cioè amore. Dare da mangiare, spezzare il pane, dare tempo, visite, attenzione, vincere le cause della fame e fare sedere a tavola con noi sono quei raggi di amore che non finiranno e in realtà illuminano questa e l’altra vita. Per un cristiano non esiste più uno straniero! È Gesù, è il mio fratello più piccolo al quale non fare mancare un raggio di amore.

Con San Paolo VI ci affidiamo a Colui che è via, verità e vita, pregando così: “Tu ci sei necessario o vincitore della morte, per liberarci dalla disperazione e dalla negazione e per avere certezza che non tradisce in eterno. Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio con noi, per imparare l’amore vero e per camminare nella gioia e nella forza della tua carità la nostra via faticosa, fino all’incontro finale con te amato, con te atteso, con te benedetto nei secoli. Amen”.

 

Bologna, chiesa di San Girolamo alla Certosa
02/11/2021
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