Messa nell’anniversario della morte di mons. Luigi Giussani

È sempre singolare questa coincidenza (cioè Provvidenza) che unisce il giorno della nascita al cielo di don Giussani alla memoria liturgica della Cattedra di San Pietro. Pietro presiede la comunione, ricordando la inequivocabile indicazione di Gesù per cui il più grande è colui che serve. È il servo dei servi. L’immagine per me più eloquente e commovente a riguardo è quella di Giussani che cerca come può di mettersi in ginocchio per mostrare la sua venerazione a San Giovanni Paolo II, successore di Pietro, durante la Pentecoste del 1997, in Piazza San Pietro.

La comunione ha sempre bisogno di una paternità, alla quale obbedire, senza però fare mancare la libertà dell’intelligenza e della fede. La paternità, infatti, non possiede, anzi aiuta ad essere se stessi nella circolazione di amore che unisce le nostre persone e le coinvolge tutte. La comunione non può essere un riferimento evanescente per evitare allergie a cristiani ridotti a monadi, troppo individualisti e disabituati a pensarsi assieme. La Chiesa è comunione e ognuno ne è espressione e protagonista. Sappiamo come le divisioni non sono mai neutrali e senza conseguenze. Lo capiamo in queste ore così drammatiche per l’Ucraina e per tutti, che rendono manifesti i frutti dei semi del male, le conseguenze di tante ignavie che li hanno fatti crescere, la necessità di una forza di amore che unisca e insegni ad amare per riconoscere nel nemico il proprio fratello.

Questa sera ringraziamo per il dono di sentirsi parte di questa comunione, di custodirla, di farla crescere, di esserle fedeli. Difendiamo sempre la comunione, ancora di più nelle difficoltà, perché è legame santo che rende la nostra amicizia umana piena di significato.

Gesù ci interroga: “La gente chi dice che io sia?”. I cristiani si sono sempre confrontati con tanta confusione intorno a loro. Questo non scandalizza Gesù e nemmeno noi, chiamati a dire alla gente chi è il figlio dell’uomo e a dirlo con una vita bella, attraente. Gesù chiede anche a noi: “Chi sono io per te?”. Ed è sempre una domanda personale, ma che ci unisce agli altri. Don Giussani ha aiutato tanti a rispondere, facendoci sentire la carica affettiva della domanda, perché è quella di un innamorato che cerca il nostro amore, non di un distaccato maestro che interroga per verificare la lezione. Giussani ha aiutato a sentire la domanda personalmente, a non sfuggirla nascondendosi, rispondendo in maniera anonima o fredda, ma da padre qual era ha insegnato a cercarla in noi, cioè a trovare il seme piantato nella terra del nostro giardino, a coltivarlo e a rendere ragione della propria fede.

Oggi iniziamo l’anno del centenario della sua nascita, ringraziando per l’umanità e la libertà della sua fede, per la passione e l’intelligenza con cui ha cercato le domande delle persone, quelle profonde, che non sopportano filtri, precomprensioni, contrapposizioni. Ha saputo trovare, e non era affatto scontato, la domanda spirituale nei cuori delle persone, innamorato dell’umano perché innamorato di Cristo, interessato all’esperienza e non a laboratori pieni di intelligenti interpretazioni ma poveri di vita. Chi sono io per te? Chi è per te? La risposta non è una formula univoca, omologante. Quando si dice che quelli di CL sono tutti uguali si intuisce una cosa bella, perché tra fratelli ci rassomigliamo ed è bello rassomigliarsi perché siamo fratelli. In realtà è poco vero, perché la fraternità è piena di itinerari tutti originali, che qualche volta facciamo fatica a comporre insieme, perché la comunione è molto di più della democrazia ed è nella vita vera, non in quella da salotto o da sacrestia. Che miseria interpretare le differenze “politicamente” e non come ricchezza o come monito a rafforzare ancora di più quello che unisce!

Giussani ci propone ancora oggi la radicalità dell’inizio, del cambiare personalmente, la scelta di non ridurre Cristo a un prodotto per l’intimismo e il benessere individuale o ad una motivazione lontana per coprire scelte individuali che poco hanno a che fare con Lui. Ringraziamo per i tanti doni ricevuti attraverso il suo carisma, per le novità che ha portato e continua a portare alla nostra vita e a quella di tanti nel mondo e nella Chiesa, per fare parte di un popolo come questo che abbraccia il mondo e che non ha smesso di avere voglia di cambiarlo. Consapevoli di questo dono ci rendiamo conto di ciò a cui la Chiesa ci chiama in questo frangente della nostra storia.

Diceva Giussani: “Per Te è tutta la mia preferenza d’uomo, tutta la preferenza dell’animo mio, tutta la preferenza del mio cuore. Tu sei l’estrema preferenza della vita, l’eccellenza suprema delle cose. Io non lo so, non so come, non so come dirlo e non so come sia, ma nonostante tutto quello che ho fatto, nonostante quello che posso fare ancora, io Ti amo”. La preferenza, perché in Cristo abbiamo trovato tutto quello che cercavamo e di cui abbiamo bisogno. Siamo anche preferiti, amati e proprio per questo fratelli pieni di umiltà e gratitudine. L’amore è più forte delle inevitabili prove anche nei rapporti personali, delle fatiche umane. La vostra è una comunione non a scadenza, ma accompagna molti di voi dagli anni più giovanili, superando le difficoltà e rendendole, come certe rughe nei visi delle persone, bellissime perché segno di una vita vera.

Giussani ha amato una Chiesa forte ma non compiaciuta di sé, forte solo perché liberamente piena dell’amore di Cristo, in «movimento» perché dentro la storia e per incontrare la tanta nostalgia di Dio nascosta nel cuore delle persone. Disse che non aveva voluto indicare una strada, ma la strada per la soluzione del dramma esistenziale dell’uomo. La strada è Cristo, che più percorriamo più si apre davanti a noi. Così diceva di sé: “Non solo non ho mai inteso «fondare» niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l’urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo”. Oggi forse è ancora più vero! Non poteva accettare – e se ne accorse quando le chiese erano ancora piene di ragazzi – lo scollamento tra la fede e la vita, tra la passione, il desiderio di felicità, la voglia di capire, di costruire, di amare dei giovani e la fede. Un Dio che non venga scoperto come compagno di cammino, con cui poter vivere tutto, prima o poi diventa un Dio astratto, ostile, inutile, diceva. L’incontro con Gesù e la compagnia dei fratelli e delle sorelle proteggono dal rischio di un cristianesimo ridotto a ideologia, che non ascolta e non sa parlare, ma dona la sicurezza di stare dalla parte giusta.

È molto più facile di quanto si pensi ritrovarsi in un atteggiamento ideologico, cercare il programma e non la strada, la lettera e non lo spirito, la forma e non la sostanza, la scorza e non il midollo. Basta smettere di incontrare Gesù e di capire nei tanti incontri lungo le strade la sua domanda dolce e diretta “Chi sono io per te?”. Ecco la bellezza del vostro carisma, del quale ognuno ha sempre avuto la responsabilità. Non è certo una novità, anzi è sempre stata la responsabilità che ha mosso le vostre scelte personali e che oggi vi chiede di nuovo umiltà e passione per ritrovare l’essenziale, per rimettersi in gioco, per amare l’unità che Carrón – che ringraziamo di cuore per il suo generoso servizio – e adesso Prosperi rappresentano.

“Non accontentatevi delle cose piccole. Dio le vuole grandi. Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo”, diceva Santa Caterina da Siena. Questo, per la Chiesa e per il mondo, e anche per la vostra fraternità, è un momento propizio in cui a ciascuno è chiesta la responsabilità del carisma e se questo accadrà veramente ognuno, dove è chiamato, potrà portare quel fuoco, quell’entusiasmo per Cristo con cui Giussani ha aiutato a conoscere l’amore di Gesù. Ci sono delle svolte nella vita che sembrano difficili da superare. Eppure nell’obbedienza a Cristo e alla madre Chiesa gli ostacoli saranno motivo per vivere l’amore dell’inizio e per un nuovo inizio, ben diverso dall’adolescenziale ricominciare. Solo così non si perde il passato.

Il glicine cresce superando gli ostacoli che incontra, modellandosi su di essi e avvolgendoli, senza arrestarsi, e rivela una forza straordinaria tanto che le curve, le svolte nella vita permettono di fare fiorire la stessa pianta. Che sia così per quel seme che è cresciuto dal carisma di don Giussani e che vuole dare ancora tanti frutti. La Chiesa e il mondo hanno bisogno di voi, insieme e singolarmente, del vostro accento unico.

“Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo”.

Bologna, Cattedrale
22/02/2022
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