Funerali di mons. Napoleone Nanni

Ho scelto di proclamare i testi di questa ultima domenica perché oggi si apre a Napoleone la domenica che non conosce il tramonto, l’ottavo giorno, quello senza fine, il compimento dei nostri giorni. Il Vangelo spiega a noi chi è Dio e che vuol dire che è amore, ben diverso da una zuccherosa e fastidiosa melassa di buoni sentimenti e anche da una verità usata per fare esattamente il contrario di quello che Gesù afferma, cioè giudicare con ossessione pensando così di combattere il male quando la verità è la misericordia. Lui ama il peccatore e combatte il male, mentre i farisei pensano di essere a posto combattendo il peccatore e ignorando il male, anzi, nascondendolo sotto il bianco dei sepolcri e delle belle vesti. Gesù è l’ultimo Adamo, il datore di vita, il secondo uomo che viene dal cielo che ci ricorda che siamo celesti e non solo terreni, che il problema degli uomini non è la terra che deve “essere lieve”, ma il cielo che ci sia aperto!

Don Napoleone è morto il giorno successivo a quello del suo compleanno: nasce di nuovo alla vita, viene alla luce e va alla luce. Ha visto la luce, vede la luce, la pienezza di quella che noi vediamo sulla terra e che lui ha saputo riflettere. Gesù chiede e promette un amore pieno. Può essere altrimenti l’amore? Un amore verso tutti, perché Dio fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. “Date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio”. Oggi riceve sul grembo la misura pigiata, scossa, traboccante che ci ha dato con tutta la sua vita e riceve la comunione piena nel grande Poggetto che è la comunione dei santi. Si è pensato pienamente con la sua comunità, fino alla fine, tanto da volere riposare per sempre qui, pastore con il suo gregge. Dare tutto, con essenzialità, rigore e tanto cuore. Lo fece fin dall’inizio: abbatté il frutteto (presumo anche rinunciando alla rendita conseguente) per creare il campo da gioco per i ragazzi. La vera rendita sono i giovani, non i mezzi! Mostrava in tutto la sua liberalità e soprattutto un’idea di Chiesa, non esibita, non da laboratori di pastorale, ma concreta, normale, quotidiana.

Questa è la Chiesa: una casa, aperta a tutti, specie i giovani, che trovano spazio e fiducia per loro. Era la sua vita. “Quando cantai messa ci fu suggerito di chiedere una grazia, io chiesi di portare Cristo tra i giovani. È una grazia che ho ottenuto”. Chi semina raccoglie. Dall’oratorio, infatti, tanti frutti, come don Andrea Astori e don Luciano Bortolazzi, ma in realtà come ognuno di voi, perché le vocazioni non sono solo quelle del ministero presbiterale, ma dei testimoni del Vangelo con la loro vita, dove siamo, santi della porta accanto o che si incontrano lungo le tante strade da Gerusalemme a Gerico.

Un cristianesimo forte e vicino a tutti, sereno ed esigente, pieno di entusiasmo, allergico alle grandi dichiarazioni, ricco di umanità, senza paure e senza reverenze. Un mondo da accogliere mostrando attenzione nelle preoccupazioni concrete della vita, come le vacanze. Alla colonia Miramare, lui, Lupo grigio, era imbattibile nella vicinanza ai ragazzi. La sua è stata una storia di luoghi piccoli, di comunità piccole, vissute sempre con il cuore largo del cristiano, in fraternità con il presbiterio e in un’identificazione con la comunità degli uomini.

E poi che cosa è piccolo? Tutto diventa grande se pieno di Dio. E dove sta il centro? Dove sta Gesù quel luogo diventa centrale. Era nato a Luminasio di Marzabotto, poi a Pragatto di Crespellano, parroco a Tavernola dove adesso, mi diceva ieri il Sindaco di Riola, non risiede stabilmente più nessuno, infine Poggetto, ultimo parroco residente ma di una comunità che è rimasta viva proprio perché comunità e perché ha saputo seminare.

Una storia lunga, segnata dalla sofferenza della sua generazione, che non ne ha incattivito l’animo, ma ne ha accresciuto la fierezza. Il suo calice – frutto di un saccheggio compiuto dai tedeschi in Toscana – fu comprato dal papà proprio dai nazisti. Un testimone della sua vicinanza alla sofferenza fu don Salmi, che inserì don Napoleone nelle case per ferie dell’ONARMO, dove divenne amore per la montagna. Salmi dice che lui aveva reso Tavernola, sperduta parrocchia, un faro di luce. Noi a Tavernola ci saremmo interrogati sull’utilità, avremmo calcolato le convenienze, la sostenibilità. Nessuna difficoltà lo bloccava. “Per me è il prete ideale”, commentò Salmi!

Ha attuato il Concilio, forse con qualche fatica, ma sempre facendo prevalere il bene della comunità e l’amore della Chiesa. Fosse sempre così! Ad esempio fu uno dei primi a riunire il Consiglio Pastorale, poi sempre convocato. Ebbe cura per la bellezza della celebrazione liturgica. Coinvolgeva nella corresponsabilità, naturalmente richiesta a tutti, con fiducia. Un padre. Qualcuno ha detto “un signore”, sempre accogliente. In realtà ogni cristiano, se vive l’amore chiesto da Gesù, è un ”Signore”. Amava la comunità tanto che al vescovo Stagni, che doveva venire ad amministrare le Cresime, impose di incontrarla e di dedicare interamente quella serata al contatto umano e al dialogo (ecco il significato dell’assemblea e poi della cena popolare perché con gente che “talora il vescovo lo ha visto solo a longe in solenne fugace pompa”). Aveva dei punti di riferimento fermissimi: Pier-Giorgio Frassati, Don Bosco e poi stava tanto tempo in preghiera. Fra le cose a cui teneva molto c’era la Compagnia del Santissimo Sacramento che ampliò con l’inserimento anche delle donne. Ogni attività in parrocchia doveva avere un “responsabile” laico a cui tutti si dovevano riferire.

Pensando a lui capisco come Gesù non chiede sacrificio, ma amore e come è solo questo che ci fa sacrificare volentieri. Gesù non chiede una pazienza impossibile o sovraumana, ma amore tutto umano. Il nostro. Napoleone non aveva più spazi privati perché tutta la canonica (studio e cucina compresi) era a disposizione dei ragazzi e dei loro educatori. Non tenne nulla per sé. L’automobile, una “cinquecento familiare decappottabile” che serve negli anni ’60-‘72 per caricare ogni domenica i bambini del catechismo che abitano in periferia, anche dodici se sono piccoli. Tutto era pensato per gli altri. La caccia al tesoro in giro per tutto il territorio della parrocchia e la fantastica “Cavallina” l’ultima domenica di gennaio per la festa di S. Giovanni Bosco, gioco di società insegnato al Don da un soldato tedesco durante l’occupazione e con “tessere” in cartoncino riciclato che prima era una scatola di biscotti proveniente dalla Germania.

Sapeva vedere oltre, rendere visibile l’invisibile, fino a correre il rischio di sembrare ingenuo. La Chiesa era la casa della fraternità: tante volte invitava a rimanere a cena insieme in parrocchia dopo un incontro o dopo l’oratorio domenicale. “Casa di tutti”, tanto che diversi avevano la chiave per entrare. Ecco cosa vogliamo sia la Chiesa: una casa dove tutti abbiamo la chiave, ma che non diventa una sede anonima, e sempre aperta al mondo, non fortino per scappare da questo! “Non ha permesso che noi ragazzi ci barricassimo al suo interno. Tutt’altro: ci spingeva in giro per la Diocesi”.

Lo spiega nel suo testamento, di una vita pensata per lasciare agli altri. Che ci facciamo altrimenti? Riguardo ai funerali: “Senza pomposità e senza fiori, caso mai al Santissimo”. Lasciava tutto alla Parrocchia del Poggetto, “quello che avanzerà”. “Mi sorrida per l’ultima volta il mio vescovo nella cui obbedienza ho cercato di lavorare questo suo principato di Poggetto fino al tramonto della mia giornata terrena. Il fattore tempo: non sciupatelo. Io non l’avrò più. Da saggi credenti usatelo, impiegatelo nella ricerca e nel servizio di Dio, con lo studio della Parola rivelata (leggete, leggete!), frequentate con metodo e assiduità la vostra carismatica parrocchia, così quando arriverà anche per voi quest’ultima ora terrena potrete fare come ha fatto il pastore che vi sta innanzi immobile tra quattro asce: basta un fiammifero acceso dalla manina giocosa di un bambino per bruciare sul prato verde finalmente silenzioso di quella che fu casa nostra in mezzo alle inutili cianfrusaglie e senza rimpianti tutto un passato di terrene illusioni. A me ora, a voi domani sta di fronte la famosa, tanto predicata e attesa Gerusalemme Celeste. Infatti l’abbiamo sognata e desiderata tanto, nelle nostre assemblee liturgiche, catechistiche, nelle nostre feste e processioni, nelle nostre memorabili gite e pellegrinaggi, incontri comunitari e agapi fraterne, all’Oratorio, in mansarda, in chiesa, al palpitante e piccolo camposanto…ricordate?… È giunto il momento ed è questo, di dirci tutti: arrivederci lassù!”.

Quando venni, volli che al termine della celebrazione fosse lui a dare la benedizione. Lo fece, serenamente, naturalmente, aggiungendo parole alla formula. Ecco, caro Napoleone, benedici dal cielo e donaci tante vocazioni per essere noi benedizione per il prossimo.

Poggetto, chiesa parrocchiale
21/02/2022
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