Messa con ordinazione Diaconi

Omelia Messa ordinazione diaconi permanenti

Forse il Signore non si rende conto di chi siamo! Non conosce i nostri limiti? S’illude di noi? Ci chiede l’impossibile per selezionarci? Molte volte pensiamo che sia umanamente impossibile amare i nemici e ci sorprendiamo quasi che questo avvenga. Infatti il nemico si odia, si colpisce per primo, si tiene a distanza, si cerca di distruggerlo, come pensava Giona che rimprovera Dio di intenerirsi e di volere salvare Ninive! Pensiamo che se trattiamo bene il nemico siamo più vulnerabili noi, ci esponiamo. E poi, chi non risponde al male con il male, all’occhio con l’occhio viene giudicato poco capace di farsi rispettare, perde importanza, appare debole! È proprio così che il mondo diventa terribile, davvero cieco, un inferno di paure per tutti, di confronti, di male che produce male, che poi nessuno riesce a fermare come avviene per le armi, che non bastano mai e condizionano le scelte e i rapporti tra le persone e le nazioni (armi peraltro comprate anche togliendo risorse agli ospedali e alle scuole).

Ci abituiamo facilmente ad un linguaggio di guerra, a trattare l’altro come nemico, a cercare il nemico perché finiamo per non sapere vivere in pace con noi stessi e nemmeno con gli altri. Usiamo parole di odio, di vendetta, di offesa, dimenticando che queste seminano e portano frutti al di là delle nostre stesse intenzioni. Il male impone la sua logica, che appare ragionevole, inevitabile, addirittura “giusta”, tanto da innescare una reazione a catena che solo l’amore può sconfiggere. Amare il nemico vuol dire che non facciamo diventare nessuno nemico, perché il nostro unico nemico è il male, che ha il potere di farci perdere l’anima e il corpo. San Francesco, imitando Gesù come siamo chiamati tutti a fare, chiamava fratello il lupo e sorella anche la morte.

Così il lupo cambiava e la morte non metteva più paura! Il cristiano combatte il male dentro di sé e in coloro nei quali è cresciuto tanto da diventare nemici, perché il nemico è il male, non la persona, che è sempre un fratello che ha bisogno di amore. Certo, a volte combattere il male è difficile e richiede tanto amore e tanta fede: ma l’amore è più forte del male. Spesso il “nemico”, come accadde con il lupo di Gubbio, in realtà non aspetta altro che un fratello lo liberi, gli dia fiducia, combattendo il peccato che rovina lui e gli altri. Quando non si ama, poi, basta pochissimo perché qualcuno diventi nemico: un’irritazione, una scalfittura, un’incomprensione, un torto, uno sguardo, una parola.

Gesù ci affida il suo amore, che tutto crede, tutto spera, tutto sopporta! Tutto! Gesù non ci dice di fare il possibile, di sopportare più che possiamo, di sforzarci, di accontentarci di non fare il male. Dobbiamo guardare tutti e tutto con l’amore di una madre che non tratterà mai da nemico suo figlio che fa del male e cercherà sempre di farlo cambiare perché è suo figlio. Se siamo liberi dall’odio e dall’inimicizia nessuno sarà nemico. L’inimicizia, invece, ci rende come Caino: il fratello diventa un concorrente, restiamo soli e fuggitivi anche da noi stessi.

Siamo forti dell’amore di Gesù e possiamo sconfiggere il male per essere veramente uomini. Infatti, chi è forte? Chi è umano? Davide non uccide Saul, anche se la sua morte gli avrebbe dato sicurezza e avrebbe dimostrato a sé e agli altri il suo potere. Solo così siamo veramente uomini, figli del Padre che è misericordioso verso tutti.

Dobbiamo però intenderci bene su cosa significa amare, perché altrimenti non significa più niente! Non è certo una scelta debole, passiva, poco umana! Amare non è da ingenui, da utopisti fuori dal tempo e dalla storia, perché senz’amore si muore e per amore si dona la vita. Crediamo troppo poco nella forza dell’amore. Amare richiede fermezza e tenerezza, tutta l’intelligenza, il cuore, la forza. Quando qualcuno ti toglie il mantello, ricordati che il problema non sono le cose, ma il prossimo e solo con l’insistenza lo disarmi. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. Farlo vi aiuta a capire che cosa ci stiamo a fare a questo mondo. Amare significa in concreto non giudicare, cioè condannare e mettere un’etichetta da cui difficilmente ci liberiamo.

Amare significa legame più forte dei problemi, per cui se maledice io benedico; se non capisce nulla lo amo lo stesso, anzi di più; se ha bisogno di aiuto gli presto quello che serve. Facciamo noi il primo passo verso gli altri, mettendo sotto le scarpe il nostro orgoglio, perché i nemici smettono di esserlo quando andiamo verso di loro con cuore disarmato e pieno di amore. Ricordiamoci che come giudichiamo saremo giudicati. Se l’altro è il suo peccato, sarà così anche per noi. Se non diamo fiducia, chi ce la darà? Se non prestiamo gratuitamente, perché gli altri dovrebbero farlo a noi? Date e vi sarà dato: niente sarà perduto, ritroveremo tutto, perché l’amore è davvero nostro quando lo regaliamo.

L’amore che possiede, che coltiva le riserve e i limiti, che non è “esagerato”, non è amore. Il male ci vuole rendere uguali a lui, violenti, pieni di odio. Per questo, come scriveva Etty Hillesum nella tempesta del nazismo che l’avrebbe uccisa, “l’unica possibilità è distruggere in se stesso ciò per cui si ritiene di dover distruggere gli altri”. È vero, è l’unica soluzione possibile.

Gesù ama fino alla fine, non odia, perdona. Ecco cosa è la Chiesa: una famiglia generata dall’amore di Dio e che cerca di metterlo in pratica. È peccatrice, non perfetta! Questo ci scandalizza? Ci deve scandalizzare se è senza Cristo, senza il suo perdono, se è piena di sé e vive per sé. Questa Madre è una famiglia che cerca di vivere amando in un mondo violento, dove comanda il forte, volgare, calcolatore, moralista e ipocrita, che non sa piangere e costruisce muri invece di ponti, che spinge a guardarsi sempre allo specchio invece di amare il prossimo, iniziando dai poveri. Questa nostra Madre Chiesa è amore in un mondo che è paralizzato, che non sa amare, che si accontenta di un amore sciapo, vuoto e pericolosamente ambiguo, senza legami, povero di sentimenti perché fatto solo di emozioni e apparenze. Amare i nemici, invece, è chiarissimo: è un amore debole e fortissimo, senza nemici perché amore, dono che riceviamo da Cristo e che ci è affidato perché il mondo non diventi cieco con l’occhio per occhio.

Ecco, questo è l’amore chiesto a voi cari fratelli che oggi siete ordinati diaconi! Sia i permanenti sia colui che continuerà verso il presbiterato: sarete sempre diaconi. Fra Giacomo, tra l’altro, è un servo di Maria, cioè figlio di una famiglia che di fondatori ne ha sette, ricordando che siamo sempre comunione e questa genera i cristiani. Il diaconato unisce Vangelo e carità, servizio all’altare e servizio ai poveri, mense di accoglienza e protezione che dobbiamo apparecchiare ovunque, specialmente sui marciapiedi, nei luoghi di abbandono e di sofferenza, negli ospedali, negli hospice, nelle pieghe di chi non è padrone di sé, ovunque incontriamo sofferenza e solitudine. C’è troppa gente che ha nostalgia di Dio e non ha qualcuno che si fermi a tavola con loro per spezzare il pane della Parola di Cristo, del suo Corpo, della solidarietà.

La preghiera, allora, nutra sempre il vostro cuore: non disprezzatela, altrimenti la vita si inaridisce, il fare diventa agitazione e il cuore si svuota di amore vero e tutto diventa difficile e pesante. E poi, se amate quelli che vi amano che merito ne avete? Non basta! Servite con tutto voi stessi la comunione. Il vostro eccomi alla chiamata del Signore è solo vostro, ma è anche accompagnato, sostenuto, condiviso con vostra moglie, con la vostra famiglia e con tutta la famiglia delle vostre comunità.

Non accontentatevi di misure modeste: l’amore non è mai modesto e l’amore di Cristo ci riempie, ci dona forza e perdono. Può essere con poveri mezzi, umili come siamo ognuno di noi, ma non è mai modesto, come quei due spiccioli che valgono più di tutto perché quella vedova ci aveva messo il cuore, tutto quello che aveva per vivere. Amate e servite questa madre con libertà, senza interesse che non sia la sua misericordia e la sua unità. Ne ha un grande bisogno oggi perché vuole raggiungere tutti i suoi figli perché conoscano la verità che è la misericordia di Gesù. Lo aspetta il mondo, minacciato dalle tante pandemie, attraversato da tanta inimicizia.

Quest’anno sono trent’anni dalla morte di Turoldo. Cantava così e io faccio mie le sue parole come benedizione per voi: “Restituiscimi all’infanzia, Signore, fa’ che ritorni fanciullo, al sapore vero delle cose, al gusto del pane e dell’acqua. Signore, salvami dall’indifferenza, da questa anonimia di uomo adulto. È il male di cui soffriamo senza averne coscienza. Signore, salvami dal colore grigio dell’uomo adulto e fa’ che tutto il popolo sia liberato dalla senilità dello spirito. Salvami dall’abitudine delle cose sacre e fammi godere il miracolo della luce e quello dell’acqua viva che sgorga dalle pietre; il miracolo delle primavere come quando, fanciullo, mi sorprendevo nei campi uguale a un calice colmo di gioia per il dialogo amoroso con le piante e i monti e gli uccelli”. Amen.

Cattedrale di Bologna
20/02/2022
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