Messa per i giovani in cammino per il pellegrinaggio verso Roma

Solo camminando scopriamo chi siamo. A piedi, perché così si incrociano gli occhi delle persone. A piedi c’è tempo per il silenzio e per la parola. In realtà tutta la nostra vita è un cammino e scopriamo e scopriremo sempre la dolce presenza di quel pellegrino che non si stancherà mai di spezzare, se invitato, il pane per noi. E’ stato faticoso? Dobbiamo dire di sì. La vita vera è non arrendersi alle prime difficoltà o credere che tutto debba andare sempre bene! E’ stato un cammino ricco, perché una cosa è vedere da lontano, altra fermarsi e riconoscere quella persona che altrimenti resta un’immagine, un destinatario, un profilo e non un incontro. Il cammino ci fa crescere nell’arte dell’incontro, per conoscere e costruire relazioni. Camminare per alcuni è faticosissimo. I pochi, in fondo, chilometri che abbiamo percorso, ci hanno fatto capire la tragedia di chi vorrebbe e non ce la fa a camminare o i cui passi sono diventati troppo pesanti e nessuno li sorregge. Capiamo meglio chi deve attraversare le enormi distanze di un deserto, senza punti di riferimento, senza sicurezze, senza stelle in cielo e spesso con un mondo ostile, terribile, disumano, da cui difendersi. Gesù stesso si è messo in cammino, per certi versi nasce per strada, diventa emigrante e profugo, percorre le strade andando per ogni città e villaggi, muore per strada, all’aperto. Sotto gli occhi di tutti, riprende la sera di quello stesso giorno a camminare con i due di Emmaus. “Dove abiti”, gli chiediamo anche noi e dobbiamo andare e vedere. Ecco, Gesù ci invita a non restare fermi, a seguirlo per comprendere che anche Lui è per strada, che non ci guarda dall’alto, sovranamente distaccato, ma è al nostro fianco, sulla stessa strada, con gli stessi pericoli e senza difese come noi. Anzi, Lui è la strada possibile per tutti, che porta incontro agli altri e che unisce la terra e il cielo. Non capiamo chi siamo guardandoci sempre allo specchio, studiandoci senza imparare mai, passando la vita a interpretarsi, ma solo camminando e incontrando. In questi giorni ci siamo conosciuti tra noi e abbiamo conosciuto persone, uomini e donne concreti, situazioni, non immagini. Abbiamo anche rivissuto il ricordo di persone – che erano concrete anche loro come sempre i morti – che ci hanno aiutato a conoscere le nostre radici ed a scegliere il futuro. A Montesole, santuario del dolore e della pace, della sofferenza e della riconciliazione, ci siamo fermati a onorare centinaia di persone uccise dall’odio, dal razzismo che apparivano impossibili eppure che hanno reso la vita di un italiano insignificante e hanno rivelato come l’uomo è lupo degli altri uomini ed anche di se stesso. E’ una sofferenza che dura fino ad oggi, perché la guerra non finisce il giorno della pace, ma tutta la vita. Incontrare la memoria di alcuni testimoni del Vangelo, come don Giovanni Fornasini, ci ha aiutato a capire la scelta del cristiano: restare, amare sino alla fine, non piegarsi alla persuasiva logica del “salva te stesso”, cioè del “pensa per te”. “Debbo andare”, rispose don Giovanni ai suoi familiari, preoccupati per quello che gli sarebbe potuto accadere. Per i cristiani non c’è “prima io”, ma “prima noi”; non c’è divisione tra alcuni e altri perché tutti sono il mio prossimo e tutti vengono prima dell’indifferenza, della tiepidezza del non amore, dell’ingiustizia palese per cui una vita vale e un’altra no. Non a caso Papa Francesco non ci vuole a discutere tra di noi al chiuso, fosse un bar o una scuola, una sacrestia o la nostra stanza o tutto racchiuso nel cellulare, ma a confrontarci con la vita vera, ad ascoltare le domande delle persone come quando si è per strada! E’ facile giudicare tutti e tutto quando si è davanti uno schermo o sul famoso divano. Altro è confrontarsi con i problemi concreti. Gesù non entra nei palazzi, ma, vulnerabile anche in questo, si espone a chiunque incontrava sul cammino!
Gesù chiede di seminare amore ovunque e con larghezza (cioè senza le misure avare del calcolo o della diffidenza), perché il mondo ne ha bisogno e perché solo così noi possiamo trovarlo per noi. “Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia”, suggerisce l’Apostolo. Non si ama per dovere o perché costretti. La nostra è vocazione, cioè essere quello che siamo, seguire quello per cui siamo stati creati! Seminare vuol dire regalare tempo, attenzione, disponibilità al prossimo, cioè a tutti, senza selezionare, come fece il samaritano con quel poveretto che era stato abbandonato in mezzo alla strada di cui non sapeva nulla perché poteva essere come ognuno. Sapeva solo che era stato spogliato di tutto, anche della dignità, perdendo metà della vita. Il samaritano non è complice dei ladri. Chi non fa nulla è uguale, alla fine, ai banditi, perché così quel poveretto avrebbe perduto anche l’altra metà della sua vita. E’ una gioia strappare dalla morte un uomo! E’ una gioia vera, perché significa che siamo più forti di tutti quei banditi e di quel grande bandito che è il male. E’ la gioia di trovare il mio caro e di esserlo per lui.
In questa ultima tappa incontriamo Maria e San Lorenzo. Maria non era grande. Era una povera ragazza, di un borgo semi sconosciuto, dal quale “non poteva venire niente di buono!”. E’ stata innalzata perché era umile. Ha avuto fiducia e ha detto sì. Non ha chiesto istruzioni per l’uso, non ha preteso sicurezze, garanzie, ruoli, successi, guadagni. Libera, libera per davvero, come deve essere sempre l’amore e come sono le cose vere! Quanti calcoli negli uomini e donne di successo, in quelli che si credono o sono giudicati “grandi”, personaggi costruiti, segnati dalla convenienza personale, spesso solo economica! Maria non è andata a farsi bella di quello che le era successo, a fare vedere quanto era importante. Si è messa in cammino per visitare Elisabetta di cui le aveva parlato l’Angelo, mettendo anche in questo in pratica la Parola di Dio. Esse si incoraggiano a vicenda, si entusiasmano comunicandosi la gioia di credere all’adempimento della Parola, alla promessa che c’è per ognuno di noi. Oggi Maria ci viene incontro, su questo monte, per incoraggiarci a dire di sì, a sentire la gioia della speranza che abbiamo in noi, a fare crescere il Vangelo e la nostra decisione di essere uomini che lo prendono sul serio e non hanno paura di volere bene. Vuoi prenderlo con te, farlo crescere nella terra buona del tuo cuore perché possa dare frutto?
         E poi c’è San Lorenzo. Anche lui è giovane, diacono. Amava Gesù e i poveri! E li serviva, perché amare è anzitutto servire, non imporsi, prendere, possedere, ma aiutare, donare, fare stare bene. Nel bullismo c’è il desiderio di essere forte, qualcuno perché mi impongo, umilio. Certo, forse il bullo cerca solo qualcuno che lo ami per davvero e lo liberi da tante immagini finte che lo dominano e si sono impadroniti di lui e della sua energia. San Lorenzo indicando i poveri diceva: “Ecco, questi sono i tesori della Chiesa”. Rispose così al prefetto dell’imperatore Valeriano che gli chiedeva di consegnare i suoi tesori in cambio della vita. I suoi tesori erano gli ammalati, gli emarginati che egli assisteva ogni giorno. Un tesoro che nessuno ha potuto togliere dal suo cuore. Lorenzo non dice: “sono troppo piccolo” per poi fare il grande; non dice “aspetto” perché l’amore è oggi. Così trovò una vita bella, piena, “cento volte tanto”. Questa è la vita di chi dona. Perché “se il chicco di grano muore produce molto frutto”. Noi vogliamo conservare tutto per la paura che viene dallo scoprirci deboli, di non avere per noi. Questa notte il cielo sarà inondato di un pianto di stelle. In ognuno c’è un desiderio, letteralmente proprio domanda di stelle. La abbiamo scritta nel nostro cuore. La vita tutta è un desiderio, cerchiamo luce, il cielo. Sant’Agostino, che ha vissuto tanto il desiderio, che pensava trovarlo nelle passioni e lo ha trovato dove non pensava, in quella bellezza così antica e così nuova che sempre tardi amiamo”. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Eri con me, e non ero con te”.
         Allora, come sempre avviene il cammino si chiude e si apre. Non abbiamo paura di perdere la nostra vita volendo bene. Dobbiamo avere paura di conservarla per noi, di averne tanta e non saperne cosa fare perché non doniamo agli altri. Il poco che ognuno di noi ha ed è, si moltiplica se lo regaliamo, se ci mettiamo a servizio, come avvenne per i cinque pani e i due pesci! Ecco la gioia di questo cammino. Maria non ha avuto paura. O meglio l’ha vinta fidandosi. Così il Vangelo diventa carne, storia di uomini che imparano a volersi bene. Che il Signore ci doni di essere suoi e di esserlo assieme. Sì, proprio come abbiamo camminato in questi giorni. Una comunità, gente che si vuole bene per davvero, perché al centro c’è Gesù; amici che non chiudono la porta a nessuno, che vogliono cambiare il mondo inquinato da tanta violenza e aggressività con un amore forte e disarmato, gratuito e per tutti, che sa dare valore a tutto perché tutto è bello se amato. Una comunità che è nostra madre, come Maria. E’ bello appartenergli ed è bello aiutarla.

10/08/2018
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