Messa per la famiglia salesiana in preparazione alla festa di san Giovanni Bosco

Abbiamo visto il Signore, la forza del suo amore, che libera dal male, solleva chi è malato, dona compagnia ai soli, misericordia ai feriti, pane agli affamati, acqua e vestiti agli assetati e ai nudi. Non possiamo più essere rassegnati, cioè sentenziare che tanto non cambia niente, che possiamo solo accontentarci di qualcosa e pensare solo a noi. E non lo abbiamo visto in eroi impossibili da uguagliare. Sono i miracoli di San Giovanni Bosco, del suo carisma che è trasmesso e che giunge fino a noi. Voi parlate la lingua “salesiana”, quella che ha iniziato a parlare San Giovanni e che è arrivata come una lingua, con le nostre aggiunte, che la rendono credibile e comunicativa oggi.

Oggi ha molto da dire confrontandosi con i problemi dei giovani. Ad esempio il problema del bullismo, che passa dalla strada alla rete e che da questa ritorna a sua volta sulla strada, in una sovrapposizione dove spesso non si riesce a distinguere, tra falso e vero. Dal cyberbullismo a quello delle bande, che due anni di incertezza del virus ha accentuato. Un mondo fragile dove vince solo l’io e che non sa occuparsi dei piccoli, alla ricerca di qualche soluzione tecnica che risolva, perché non ci riesce o è troppo faticoso.

Nella storia di San Giovanni Bosco l’oratorio di Valdocco è la risposta delle carceri torinesi, dove don Bosco si reca ogni sabato. Vediamo come le cronache descrivono questo suo apostolato. “Insieme stavano rinchiusi coloro che per la prima volta erano stati agguantati dalla giustizia ed i recidivi – si legge nelle memorie biografiche – questi facevano scuola agli altri di furti e di infamie; e colla prepotenza e col dileggio distruggevano il bene che il rimorso o la parola del sacerdote aveva incominciato a far nascere nel cuore dei senza Dio e dei perversi, ora trattenuti dalla paura e dal rispetto umano.  I più anziani, affatto spudorati, gloriandosi dei delitti commessi, e tante maggiori pretese accampavano di superiorità, quanto maggiori erano le condanne subite”. Se i giovani non hanno maestri, altri si sostituiscono e diventano idoli pericolosi e tirannici, vere dipendenze e schiavitù. La risposta è la paternità e la fraternità, il senso di Dio e quindi del lavoro. “Quella povera gente imbestialita dalle passioni non avrebbe sofferto ammonimenti e molto meno rimproveri; e per questo don Bosco dominava il proprio risentimento, rispondendo colla pacatezza e col sorriso anche quando le stesse sue gentilezze quelli contraccambiavano con villanie, improperi e talvolta minacce. Consigliandosi colla sua fine prudenza, e sapendo che per riuscire conviene essere discreto, si limitava sul principio a far brevi visite, parlava loro con affettuoso rispetto, dava ai più adulti l’appellativo di Signore, dimostrava per essi una grande compassione ed un vivo desiderio di alleggerire le loro pene, li esilarava con qualche facezia, e poiché l’amore viene dall’utile, distribuiva sovvenzioni e regali. E la sua pazienza inalterabile li colpiva e li ammansiva. E così la carità preparava i suoi trionfi. Molti di quei disgraziati non avevano forse mai sentita una sincera parola d’affetto e, quindi, non lo conoscevano”.

L’amorevolezza di Don Bosco non è un semplice atteggiamento ma ha un compito ben preciso, quello di preoccuparsi anche delle esigenze materiali dei giovani. L’amorevolezza diventa piano economico e attenzione sociale, per poi salire al morale e toccare il cielo con il religioso, mediante le più svariate attività assistenziali, culturali, professionali, educative. L’educatore è un animatore perché dà un’anima ai concetti educativi e li rende vivi trasformandoli in paternità, cuore e amicizia in una relazione sincera, capace anche di dire dei no. Si tratta di partire da quello che possono comprendere e poi aiutare a crescere. E in ognuno c’è un punto, una leva da cui sollevare quel mondo di condanna e solitudine. Don Bosco propone un modello inclusivo di reale integrazione tra i giovani: non strutture dedicate a differenti gruppi categorizzati rigidamente, ma parole nell’orecchio e proposte personali finalizzate ad avvicinare i giovani nell’amicizia e nel sostegno reciproco e al cammino di fede. La famiglia salesiana non avrebbe potuto sussistere, oltre che per la presenza dei salesiani consacrati e laici, se non ci fossero state anime così profondamente integrate e differenti nello stesso cortile. Questa è la missione a cui siete chiamati voi, famiglia salesiana: accompagnare i giovani a guardare in alto anche se sono sul fondo. Ricordando che, come diceva il vostro fondatore: “La santità consiste nello stare molto allegri”, per cui guardate sempre avanti ricordando che in ogni giovane c’è un punto accessibile al bene.

Bologna, Cattedrale
29/01/2022
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