Omelia alla messa esequiale per don Eugenio Marzadori

Parrocchia di S. Procolo in Bologna

Ci accompagna in questo inaspettato e doloroso ultimo saluto a don Eugenio – davvero siamo fatti per vivere e ci sembra così impossibile che le persone amate non ci siano più, che i luoghi abitati diventino vuoti della loro presenza, che non ci sia la continuazione di un dialogo che la morte vuole interrompere – la Parola di Dio del giorno. È sempre la lampada per i nostri passi, che illumina i nostri giorni, orienta il nostro cammino, lo sostiene, lo corregge, trasmette la sua forza perché sempre Parola di amore. In questa settimana dopo Pasqua leggiamo gli Atti degli Apostoli che continuano con i nostri Atti, quelli della nostra storia, così umana che facciamo fatica a riconoscere in essa la presenza del Signore. L’insegnamento degli apostoli ci dona forza e ci aiuta ad essere testimoni oggi di Gesù. Di fronte alle intimidazioni del mondo Pietro ricorda che “bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini”. È la nostra libertà, è quella di scegliere un amore che non possiede e non è posseduto. Chi obbedisce a Dio, poi, obbedisce all’amore per la persona e non all’idolatria di qualcuno. “Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce”. “Siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono”: questa è la nostra fede ed anche la nostra umile esperienza umana, che sperimentiamo in questi tempi così duri.

La pandemia intimidisce, mette in carcere la nostra speranza, vuole imprigionare la nostra fede, spegnerla, rendere vano il nostro amare e infine vuole cancellare la vita stessa in maniera subdola, come è sempre il male. È stato così per il nostro Eugenio. Sembrava andasse tutto bene, tanto che erano iniziate alcune sedute di riabilitazione. I suoi personali Atti sono i tanti capitoli della sua vita, che vediamo in questa bellissima casa di san Procolo, dove tutto parla di lui e che ha servito per buona parte del suo ministero sacerdotale. Atti sono anche quelli della sua fine, che ho letto nel racconto di don Santo e don Paolo, cappellani dell’Ospedale e che lo hanno visitato nel reparto Covid dove era ricoverato. «Mi colpì la fede e il raccoglimento con i quali ricevette i sacramenti. Era proprio evidente che li desiderava e ne era molto contento, infatti sorrideva. Finito di pregare, con tutta la poca voce che aveva mi disse: “Anche un’Ave Maria per favore!”, con la stessa voce supplichevole con la quale i pazienti di solito mi chiedono di dar loro un po’ d’acqua. Si vedeva che quella preghiera era per lui necessaria ma non aveva le forze per recitarla e chiedeva a me di aiutarlo. Sì, siamo tutti convinti che la Madonna, porta coeli, alla quale si è rivolto con quella preghiera, lo stesse attendendo il giorno in cui è spirato, perché non c’è preghiera alla Vergine, come dice San Bernardo, che non venga esaudita». «Il sorriso semplice e grato, poi la preghiera cosciente e ferma; poi il raccoglimento devoto, con le mani giunte. Desidero lo stesso amore per il Signore che ho visto in lui». «C’è una preghiera della liturgia bizantina che dice: “Concedici Signore una fine cristiana, pacifica, senza vergogna”; non conoscevo don Eugenio prima di incontrarlo in ospedale, ma andandolo a trovare mi sono subito tornate alla memoria quelle parole. In particolare mi colpisce sempre quel “senza vergogna”; mi sembra che semplicemente, approfittando della malattia, l’uomo vecchio contro cui abbiamo combattuto tutta la vita tenti di scappare fuori.

Di don Eugenio mi han detto spesso che era un po’ disorientato. L’ho trovato sempre sul pezzo. Non solo cosciente, rispondente a tono (anche domenica sera, pur in stato soporoso, mi ha riconosciuto), non solo affabilissimo e sorridente, ma soprattutto incentrato sull’essenziale. Colpivano sempre la profondità e la lentezza della preghiera e la dignità con cui pronunciava le parole e si comunicava. E poi l’essenzialità. Alla fine di una visita gli chiedo quale fosse la sua parrocchia. Risponde: “Procolo!”, con orgoglio, ma un orgoglio bello, pieno di affetto. Domenica lo vado a trovare e gli parlo per l’ultima volta. Quasi dorme. Preghiamo; almeno, lui prova a segnarsi e a scandire le parole. Non articola bene le parole, ma prova a emettere un suono. Alla fine tace, poi prova a dire qualcosa, non capisco, ripete, con le ultime forze scandisce: “Avanti!”». Ecco, come Pietro anche don Eugenio ha professato la sua fede in Gesù ed era pieno dello Spirito Santo, cioè dell’amore, perché ha obbedito fino alla fine a Dio.

L’antifona al Vangelo, chiave di lettura dello stesso, ci ricorda la nostra felicità: “Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno”. È sempre la nostra condizione ed è la beatitudine che don Eugenio ha vissuto, credendo, affidandosi, amando, abbandonandosi all’amore di Gesù. “Chi crede nel Figlio ha la vita eterna”, abbiamo ascoltato nel lungo dialogo tra Gesù e Nicodemo, tra Gesù ed ognuno di noi che sperimentiamo come quel capo dei giudei il peso del nostro uomo vecchio, la fatica ad essere nuovi, l’impossibilità a sperare che nasca una vita dove ci sembra ci sia solo la morte. L’amore è quel vento dello Spirito che giunge in maniera inaspettata, più forte delle nostre resistenze, delle porte del cuore chiuse, amore che trasforma e rigenera, che ci resuscita a uomini nuovi. È anche l’amore che consola nella prova, che fa sentire amati e protetti pure in una terapia intensiva e che solleva tra le braccia di Dio l’anima di chi ci lascia in attesa che tutto si ricomponga nella pienezza della vita.

Oggi, pensando a don Eugenio, avrei voluto leggere il brano del Vangelo che racconta la trasfigurazione, quella bellezza che stordisce i tre apostoli. La vita eterna inizia nella bellezza. Ecco cosa sentiamo del dono di tutta la vita di don Eugenio. Tanta bellezza. “Tardi ti ho amato, o bellezza tanto antica e sempre nuova, tardi ti ho amato”, è sempre vero per ognuno di noi amarezza non legata a non richiesta perfezione morale, ma ad un amore scoperto che si desidera sempre più nostro. Il Cardinale Biffi commentava che l’arte è sempre «cristiana», non c’è bisogno di quello che i francesi chiamano le surnaturel plaqué (la doratura soprannaturale), perché intrinsecamente l’arte può davvero aprirci al senso della religione.

Quanto è vero che la bellezza nelle varie arti esprime il travaglio, la ricerca, la sofferenza, la grandezza, l’inquietudine che c’è nell’uomo. Dovunque c’è la manifestazione dell’uomo, dobbiamo accostarci con grande rispetto e amore. Biffi citava San Tommaso per il quale «Dio è pulcrifico» e arrivava a dire che la bellezza «viene dallo Spirito Santo, e quindi conduce anche a Cristo a prescindere dalla consapevolezza dell’artista. L’artista, anche se è ateo dal punto di vista suo personale, anche se è dubbioso (che forse è la posizione più comune), in realtà si pone in connessione con Cristo proprio attraverso il suo servizio all’arte». Sì, la bellezza è sempre riflesso dell’autore della bellezza. La bellezza la contempliamo in questa casa che don Eugenio ha curato, dove l’antico trova nuova dignità come dovuto alla sua sposa, la Chiesa. La contemplo in tante parti dell’arcivescovado o a S. Clelia Barbieri nella sistemazione che tanto aiuta alla preghiera e alla meditazione. Bellezza era il modo per aiutare la devozione durante la settimana della Madonna di S. Luca. L’aveva imparata giovane, artista del legno con cui sapeva realizzare cose belle.

Ma bellezza è anche la Santa Liturgia, che curava con grande attenzione a cominciare dai ministranti per il servizio all’altare, unendo sempre la cura alla celebrazione, mai leziosa, con la convivialità. La bellezza è quella nella preghiera, perché chi prega trova luce, si trasfigura, emana luce. Come per Eugenio. E lui aveva spiritualità quasi contemplativa come dimostra anche il suo ingresso nel terz’ordine domenicano. Bellezza è il suo impegno, la dedizione, la cura che profondeva nei compiti che gli erano stati affidati, come la cattedrale e l’arcivescovado, la chiesa delle Budrie e il palazzo Davia Bargellini. Bellezza è la disponibilità ad un aiuto costante e sincero ad ogni bisognoso di conforto, tanto che i collaboratori ricordano come non congedava mai senza prima visitare insieme il Santissimo Sacramento o almeno recitare l’Ave Maria. La Beata Vergine era spesso da lui invocata con fiducia, in quest’ultimo tempo di pandemia in particolare quale regina della vita. Tutte le domeniche al termine della Messa cantava il Salve Regina in latino e lui era felice, radioso, dirigendosi in sacrestia con i suoi ministranti che guidava e viziava anche un po’ con qualche cioccolatino che spuntava da sotto la tonaca. Ecco, la bellezza era nel tratto, pieno di garbo, di antica cortesia.

Oggi raggiunge la luce piena che noi possiamo solo contemplare e raffigurare con la nostra vita e con l’amore. Che i tuoi occhi possano contemplare pienamente la bellezza che hai cercato e donato e si aprano alla visione che supera tutte le bellezze terrene. E prega per noi e per la tua Chiesa, perché sia specchio nel quale si possa riconoscere la presenza di Dio, riflesso attraente e luminoso della sua bellezza.

+ Matteo Zuppi

15/04/2021
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