Omelia Messa in vista della Pasqua per il personale Arcidiocesi

Ci lasciamo guidare dalla Parola di Dio. Non la cerchiamo per giustificare le nostre scelte, interrogandola solo dopo che abbiamo deciso, cercando o esigendo da essa una conferma. È lei la nostra scelta! Quando non ci confrontiamo con la Parola le abitudini finiscono per diventare come tanti filtri che la rendono un riferimento lontano, un principio ispiratore, e facilmente diventiamo noi tiepidi e i nostri tratti umani impermeabili alle sue richieste. Solo la Parola ci salva nei nostri tradimenti, gallo che ci rende consapevoli di un amore sorprendentemente più grande del nostro peccato.

Ascoltando la Parola insieme e da soli, chiusi nella stanza del nostro cuore – tempo non previsto da nessun mansionario ma indispensabile per comprendere la casa che serviamo e amiamo – non smettiamo di comprendere la nostra chiamata e siamo raggiunti da quel vento di amore che ci rende nuovi. Nuovi non perché viviamo esperienze continuamente nuove secondo una modalità bulimica del consumismo spirituale e materiale, ma nuovi perché con un amore che rende anche l’ordinario, inevitabilmente ripetitivo, appassionante scoperta dell’amore di Dio presente nella nostra povera vita. L’amore di Dio è sempre nuovo e rende nuovo quello che è inevitabilmente vecchio, come Nicodemo.

La Parola parla nelle varie stagioni della nostra vita aiutandoci ad una comprensione sempre più interiore. Per trovare l’acqua non serve scavare tante buche in superficie, magari lamentandosi per lo sforzo, ma con pazienza andare in profondità di noi stessi e del nostro tempo.

In questo momento così difficile gli chiediamo di essere uniti, di amare e difendere questa unità, così fragile per il nostro peccato, sempre dinamica, che ha bisogno di ognuno, senza le misure e le ricompense che qualche volta ci immiseriscono e non ci fanno godere dell’unico denaro offerto a lavoratori presi tutti a giornata.

Ringraziamo il Signore per essere suoi. Ci ha chiamato perché siamo riflesso della presenza di Dio. Questo ha fatto emergere il meglio di noi, quanto di così personale Dio ha posto nella nostra umanità. Essere suoi per crescere verso quel progetto unico e irripetibile che Dio ha voluto per ciascuno di noi, come afferma la Gaudete et exsultate: «Voglia il Cielo che tu possa riconoscere qual è quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita. Lasciati trasformare, lasciati rinnovare dallo Spirito, affinché ciò sia possibile, e così la tua preziosa missione non andrà perduta» (GE 24).

In questa celebrazione, che ci raduna tutti anche chi è assente, sentiamo l’importanza del nostro dono. È diverso dal nostro protagonismo! Questo ha bisogno di affermarsi, il dono solo di raggiungere l’amato. Il protagonismo deve distinguersi dagli altri, il dono cerca il destinatario e non ha senso senza questo. Il protagonismo diventa sospettoso, teme i confronti, deve sempre affermarsi. Il dono è contento già solo di perdere il suo contenuto, non ha bisogno di riconoscimenti perché il vero riconoscimento è nell’essere stesso. Il protagonismo deve dimostrare quello che è, da solo e non si sazia mai. Il dono si sazia solo quando è con l’altro perché si pensa con lui. Il protagonismo si prende responsabilità per dimostrare le sue capacità. Il dono spende tutte le sue capacità per l’amato, per aiutarlo. In questa notte così tragica del mondo, illuminata solo dalla presenza di Gesù, in queste pandemie che tanto ci sfidano e ci ricordano qual è la vera sfida e chi è il vero nemico, Lui ci libera anche dai nostri giudizi, dalle nostre piccole guerre di orgogli e difese, che certo ci prendono molto perché nostre, ma che scompaiono davanti ai problemi veri, per aiutarci a restare con lo sguardo in alto, perché Lui viene incontro quando “accadranno tutte queste cose”. Siamo suoi e siamo testimoni del suo amore e della sua scelta, circondati da tanti testimoni che hanno resistito fino al sangue, testimonianza di amore, e con il sacrificio che è possibile solo per amore. Penso ai tanti santi delle nostre comunità, ai martiri che danno tutto quello che possono, non il superfluo o finché conviene.

Capiamo anche il valore e la bellezza, sempre uniti alla nostra umanità contraddittoria, di questa famiglia che amiamo e che curiamo con il nostro servizio e dove “fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome”, il nostro nome per cui siamo qui. Certo, pure noi possiamo dire anche con un onesto sconforto – simile alla consapevole tristezza di Nicodemo – “Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze”, quando ci confrontiamo con le difficoltà e la distanza dai desideri, da quello che noi possiamo misurare. Ma è Gesù che ci rende luce, come abbiamo ascoltato, e che chiede il nostro dono perché il sale del suo amore rende salata la terra.

Qui vediamo la nostra casa, sentiamo, anche nel senso stretto di tutti i sensi, la storia della nostra Chiesa e qui possiamo contemplare e aiutare il nostro camminare assieme, per niente scontato né il cammino né il farlo insieme. I doni si cercano tra loro, si completano, si aiutano. I protagonismi sono sempre di difficile composizione e qualche volta si ignorano, pensando che insieme sia inutile o addirittura competitivo. Il dono sono le nostre vere e inesauribili capacità, perché rinnovate dall’amore. Il protagonista facilmente diventa ripetitivo. Qui capiamo la nostra storia comune e capiamo come, senza protagonismo, possiamo aiutare la nostra storia nella storia degli uomini. La Curia è come il cuore della madre, luogo della comunione che vive in tutte le nostre comunità e che qui sono riunite, cerca quello che unisce, a volte faticosamente.

Il male esiste, è potente, e ne vediamo in maniera sconcertante i frutti. La nostra società l’ha cancellato insieme a Dio. Il male è diventato quello che fa male a me, in un’idea di benessere individuale come unico criterio. E basta. Il male è il signore del male, lo vediamo in tutta la sua potenza manifestarsi nella guerra. Oggi capiamo meglio come solo il dono, quello che contempliamo pieno nella croce di Gesù, rivela la forza che sfida il male. Aiutiamo Gesù turbato di fronte al male che lo circonda. Noi siamo sempre Pietro, che non si rende conto, e Giuda, che non crede più all’amore, inquinato dal calcolo e dalla vittoria che pensava nel denaro e nel potere. Aiutiamo questa nostra madre che vuole essere povera e gratuita, che ci vuole portare tutti con sé, compreso il nostro fratello Giuda del quale resta sempre madre. La sua forza è gloria di solo amore donato. Per questo la Chiesa non sarà mai un gruppo di autoaiuto, perché siamo chiamati ad aiutare tutti e così aiutarci. Serviamo una madre che è affidata a noi e con tutto noi stessi, con quel dono che sei e che siamo.

La sfida è essere disarmati, ma non impotenti, non irrilevanti, non medicalizzati alla ricerca di un benessere che non troviamo e finiamo per togliere agli altri. Combattiamo la vera tentazione del mondo che è cercare la gloria senza passare dalla croce, che è il dono, l’amore, il pensarsi per qualcuno.

Come ha pregato Papa Francesco chiediamo anche per noi il dono della pace. «Tu, stella del mare, non lasciarci naufragare nella tempesta della guerra. Tu, arca della nuova alleanza, ispira progetti e vie di riconciliazione. Tu, “terra del Cielo”, riporta la concordia di Dio nel mondo. Estingui l’odio, placa la vendetta, insegnaci il perdono. Liberaci dalla guerra, preserva il mondo dalla minaccia nucleare. Regina della famiglia umana, mostra ai popoli la via della fraternità. Regina della pace, ottieni al mondo la pace».

 

Bologna, cripta della Cattedrale
12/04/2022
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