La Patrona insegna a pensarci come un solo corpo e unisce i corpi, diversi, tra loro. Non siamo isole. Quanto poco sappiamo pensarci insieme! Insieme, infatti, vuol dire in funzione degli altri e non viceversa. Solo così troviamo la nostra funzione sia come persone sia come corpo, parte di un organismo più grande. Tutti i corpi sono importanti, tutti hanno la loro funzione che comprendono riconoscendosi parte di un insieme più grande. Spesso siamo ossessionati dal prendere, dal consumare, e così poco dal donare, pensando così di stare bene. Lo siamo, invece, quando il corpo sta bene, quando tutto funziona, non solo quello che mi riguarda, o che possiedo, o che mi conviene! Quando tutti stiamo bene è la pace, che purtroppo vediamo tragicamente messa in discussione dal seme della violenza, dai frutti del male che diventano guerra, una macchina di morte così difficile da sconfiggere e che rende tutti nemici, assassini e vittime allo stesso tempo. Come l’amore ci aiuta a cercare di essere migliori, così il male fa esattamente il contrario e ci fa diventare tutti lupi. Per questo cerchiamo di sconfiggere il male con l’amore, come insegna Gesù, il Figlio di Dio, che possiamo capire solo nell’amore.
Vorrei con voi ricordare un uomo grande, Francesco Pirini, sopravvissuto alla strage di Marzabotto. Un uomo che era riuscito a fare pace con il trauma della violenza. Aveva 17 anni quando aveva già perso il papà in un bombardamento degli Alleati. Era rifugiato a Cerpiano. Il 29 settembre 1944, di primo mattino, la madre lo mandò a raccogliere l’erba per i conigli, prima dell’arrivo della pioggia; al ritorno, vedendo le case bruciare in fondo alla valle rimase nascosto nel bosco e dovette assistere alla strage. Radunate dentro alla chiesetta tutte le persone, i soldati tedeschi lanciarono bombe a mano all’interno. Inizialmente Francesco diceva di non poter perdonare i tedeschi per quanto vissuto dalla sua famiglia. Walter Reder venne preso e consegnato alle autorità italiane. Dopo aver fatto 30 anni si disse pentito e chiese di essere liberato. Il Comune di Marzabotto decise di fare un referendum fra i superstiti e in quell’occasione Francesco disse che, se fosse stato veramente pentito, avrebbe dovuto stare in silenzio a scontare la pena che gli avevano inflitto. Antonietta Benni, la suora che era stata anche violentata, e lo zio Filippo, a cui avevano ucciso anche la moglie e sei figli, lo perdonarono. Qualche giorno dopo, quando incontrò Antonietta lei gli disse: «Vergognati Francesco, un cristiano che non perdona». Quella frase l’ha sempre sentita come un peso. Raccontò poi: «Ecco il perdono non è facile ma arriva e guarisce il cuore». Indipendentemente dalla scelta dell’assassino. Questa è la sua grandezza: il perdono non è retributivo, come l’amore. «Mi dicono che hanno fatto delle ricerche e hanno scoperto chi comandava il gruppo di SS che ha ucciso la mia famiglia e gli altri a Cerpiano. È un sottoufficiale delle SS, il suo nome è Albert Meyer. Ha 80 anni e vive in carrozzella in seguito ad una ferita di guerra. Fu lui a buttare la bomba a mano dentro la chiesina. Con i sui commilitoni si vantò dicendo che lanciava una bomba per fare soffrire di più coloro che erano rinchiusi. Quando lo intervistano i giornalisti, molti anni dopo, dice che non aveva rimorsi e che, gli venisse comandato, rifarebbe tutto quanto. Al tempo dell’intervista Meyer viveva in Germania. Quando mi intervistarono i giornalisti era a Cerpiano e indicai a loro i nomi di tutti i tredici miei familiari uccisi. Al termine, mi chiedono: “Francesco, se ti trovassi di fronte ad Albert Meyer che cosa gli diresti?” Io volevo riparare quello che avevo detto l’altra volta, durante l’assemblea pubblica, e risposi loro: “Penso che lo perdonerei”. I giornalisti sono rimasti di sasso perché non si aspettavano questa risposta. E insistono: “Ti ripeto la domanda: se tu ti trovassi di fronte a Meyer che cosa faresti?”. “Ti ripeto che lo perdonerei. Fino alla fine della vita non dimenticherò ciò che è accaduto ma ora sono pronto a perdonare”. Sono felice di averlo fatto. Questo mi ha portato ad un rapporto di amicizia con molti tedeschi che salgono a Montesole e chiedono spesso che sia io ad accompagnarli. Nell’immediato dopoguerra non l’avrei fatto. Sono passati molti e molti anni. Poi, piano piano, un po’ di saggezza in testa ti viene. Nel frattempo, avevo iniziato a fare l’accompagnatore volontari guidando centinaia di scolaresche sui luoghi della strage. Cosa vado a fare con loro? Ad instillare l’odio? Andiamo! No, no, se così fosse stato potevo stare a casa. Anche ai tedeschi racconto le stesse cose. Però alla fine mi dico: “Abbiamo fatto l’Europa cerchiamo anche di fare il popolo europeo”. E poi per quanto mi riguarda voglio dare un contributo per costruire un mondo migliore. Bisogna pure che qualcuno inizi e io ho capito che dovevo fare la mia parte».
Ecco, tutto è proprio qui: fare la nostra parte per costruire un mondo migliore. Solo il perdono rende diversi dagli uccisori perché libera da quell’odio che ci tiene incatenati al passato. Adesso che non c’è più, sento queste sue parole una grande motivazione per il nostro servizio, per costruire l’Europa senza frontiere, un popolo e non tante nazioni che si combattono. Dobbiamo contrastare il male con l’impegno, il servizio al corpo che è il nostro Paese e anche tutta la casa comune, quell’unico popolo di Dio che il Signore Gesù è venuto a mostrarci indicando nell’altro, chiunque egli sia e finanche il nemico, il nostro prossimo. Dobbiamo pensarci in funzione degli altri. Questo è il relativismo cristiano, esattamente il contrario di quello del mondo che relativizza tutto a sé, tanto che è importante solo quello che conta per se stessi e per il proprio ruolo. Ma a che serve il ruolo se poi non conosciamo e non amiamo il corpo? A che serve un pezzo senza il resto? Il ruolo di ogni pezzo è importante proprio solo pensandosi assieme, in relazione con il resto. Lo capiamo quando siamo costretti a misurarci con le necessità del corpo, nell’emergenza, quando scopriamo come siamo fragili. Ma non lo siamo sempre, in realtà?
Voi sapete bene nei vostri diversi servizi e compiti, tutti importanti, che per affrontare le emergenze bisogna essere attenti, cercare di anticipare i problemi. La preparazione è una dei segreti della vostra appartenenza al corpo e alla difesa delle persone. Significa conoscere ciò che dobbiamo combattere, imprevedibile, disumano. Ma quando si tratta di salvare qualcuno, di aiutare il funzionamento sulla terra, di garantire sicurezza dal cielo, e dai pericoli che possono arrivare da lì, lo fate per tutti, non sapete chi sarà difeso dal vostro servizio. È chiunque, perché ogni persona è il nostro prossimo, senza etichette e senza esclusioni. «Poteva essere mia figlia», disse un vigile del fuoco quando riuscì a stringere a sé una piccola bambina sepolta sotto il terremoto. Non sapeva nulla su chi fosse, ma era come sua figlia. Ecco il servizio, il perdere la propria vita che chiede Gesù.
Ritrovarci insieme oggi è anche un’occasione per ripensare ai tanti che non ci sono più, di cui sentiamo a livello personale la mancanza. Con i colleghi spesso passiamo tanto tempo, con loro sentiamo un legame anche se qualche volta non sappiamo esprimerlo. Facciamolo, aiutiamoci, portiamo tanta umanità intorno a noi. Dove sono oggi? Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà. La loro speranza è piena di immortalità. Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti! Gesù nasce per sconfiggere il male, il male più grande, l’ultimo, quello che toglie il respiro e condiziona in realtà tutta la vita. La Resurrezione ci aiuta a sopportare ogni cosa. Se moriamo con Lui, vivremo anche con Lui; se con Lui perseveriamo, con Lui anche regneremo. Il segreto è solo un segreto di amore, quello di Gesù che prese la sua croce per primo, non perché amava la sofferenza, anzi. Il vero benessere non è scappare dalla croce ma sconfiggerla, prenderla, aiutare a prenderla e a portarla per amore. Salvare la propria vita significa tenerla per sé. Natale è nascere affrontando fin da subito il male. Non lo evita, anzi lo affronta. In Oriente lo raffigurano deposto nel sepolcro: vuol dire che c’è vita, la bellezza straordinaria, unica, delicatissima della nostra vita, fiore del campo che dobbiamo proteggere, difendere, aiutare. Ecco il senso e la bellezza del vostro servizio. Per questo non vogliamo perdere o rovinare noi stessi, il nostro cuore, la nostra capacità di amare. In questo Natale di guerra, consapevoli del dono della pace, aiutiamo Dio e suo Figlio Gesù ad amare e ad essere forti, con l’unica forza vera, davvero umana e che ci rende umani, che sconfigge il male e ci redime, che è l’amore.
