Omelia nella Messa episcopale del Giorno di Pasqua

Il Signore non si stanca di venire a cercarci. Non vuole che vinca la tristezza, l’essere sconsolati, feriti nell’anima e, come spesso avviene, che siamo pieni di paure, pessimisti e aggressivi. Solo le donne lo vanno a cercare: l’amore arriva sempre prima e dobbiamo seguirlo e ascoltarlo! Non smettiamo mai di amare, anche quando sembra inutile: non è mai inutile e ci porta a vedere la luce della vita che cambia. Ci vuole tempo perché la vita risorga, perché il seme dia frutto, ma ci vuole sempre l’insistenza dell’amore! Come fa Gesù con noi! L’amore non è mai inutile e l’utile non lo misuriamo noi e non lo vediamo mai subito: qualche volta i frutti non li vediamo, ma non vuol dire che non ci sono! Sono altre – quante! – le cose inutili e quelle le vediamo benissimo!  

Gesù va a cercare questi due discepoli, detti di Emmaus per il villaggio dove erano diretti. Da lì erano partiti per seguire Gesù. Si erano appassionati ad un maestro così diverso dagli altri, che parlava con autorità perché toccava il cuore con tutta la sua vita, non con le apparenze; che non umiliava, che non faceva lezioni ma metteva lui per primo in pratica quello che chiedeva agli altri; che non giudicava ma salvava;che stava con i piccoli che non contavano niente invece di circondarsi dei grandi, di usarli e farsi usare da loro; che ascoltava tutti e se qualcuno gli chiedeva qualcosa non lo allontanava, non lo faceva mettere in fila, non lo guardava con supponenza facendo pesare la sua importanza ma cambiava il suo programma, perché il suo programma era proprio cercare il prossimo e amarlo. Gesù era un maestro che entrava nelle case dei peccatori senza problemi e prudenze, e lo faceva sapendo che i giusti avrebbero mormorato e pensato male di lui dicendo che così confondeva la verità, che non rispettava la legge, che l’identità giusta (la loro!) era messa in discussione e che così poi avrebbero vinto gli odiati romani, usando il nazionalismo per nascondere i propri interessi e potere.

Ecco, i due erano stati attratti dal sogno di una vita diversa, dal sogno di imparare a voler bene invece di esercitarsi nell’arte della guerra, da una famiglia nuova, non perfetta ma dove c’erano un maestro e tanti fratelli e sorelle che si amavano tra loro, e dove essere amici e volersi bene per davvero, non per qualche interesse ma per Dio. Insomma, un maestro che rendeva possibile e gioioso quello che era diventato un fardello insostenibile e un giogo pesante. Ecco: era finito tutto. Avevano avuto ragione i capi della sinagoga, Erode e Pilato, che da nemici erano diventati amici, la folla che non capiva e gli gridava facci vedere chi sei, se sei per davvero qualcuno come dici di essere, fai il re invece di essere un poveretto che crede di fare grandi cose!”. Tanto era fallito che erano scappati anche i suoi e lo avevano lasciato solo! E poi, ucciso in quel modo umiliante, infamante, impietoso, davanti agli occhi di tutti, lui che diceva di non dire nemmeno pazzo al fratello, e che aveva fatto riporre la spada nel fodero dicendo che chi ferisce di spada perisce di spada. Chi fa la guerra non vince mai: perdecomunque, perché perirà anche lui della spada con cui ha ucciso il fratello.

La speranza non c’è più. Era unutopia che aveva affascinato in una stagione esaltante, quando sembrava che tutto dovesse realizzarsi da un momento all’altro, anzi sembrava realizzata. Adesso non c’era più nulla. Una delusione enorme. Non restava che pensare a sé. Non c’era più niente di pubblico, finito il “noi” restava solo il mio privato, la mia piccola felicità individuale, restava solo l’”io”! Bisognavasalvare se stessi, altro che pensare agli altri! Beati i ricchi, non i poveri! Beato chi ride, non chi piange! E vanno ad Emmaus. È l’attrazione istintiva di ritornare al passato sicuro, di chiudersi, di cercare un luogo piccolo, difeso, per vincere le paure, dove stare solo o con quelli che conosco già. Io e basta, altrimenti perdo tutto. È la tentazione di fronte al caos del mondo, alla violenza che arriva terribile e spegne i sogni. Ci chiudiamo nella sicurezza del possesso, illudendoci così di essere protetti, di poterci preoccupare solo di quello che ci riguarda, di ciò che è “mio”, che serve a me. Poco conta che le cose importanti le decidano a Gerusalemme! Forse avranno pensato che dovevano prendere finalmente del tempo per sé, come se stare con Gesù non fosse un avvenimento personale!

Forse pensavano di cercare qualcuno che non fosse un maestro, ma dicesse le cose perché avevano bisogno di qualcuno, ma che non fosse esigente come Gesù, che non chiedesse nulla, anzi rassicurasse non parlando più del prossimo e dei poveri, dei fratelli più piccoli. No, occuparsi degli altri, come chiedeva Gesù, guarire la propria ferita curando quella del prossimo non è possibile e si finisce male. Davanti alla violenza c’è solo da scappare e salvare sestessi! Sono come una Chiesa del declino, che discute di Gesù ma non come una presenza viva, piena di amore, entusiasta, gratuita. Per loro la vita è il piccolo villaggio e Gesù è solo un’idea distante che non deve scomodare più.

Sono tristi, ma sembrano non avere scelta, perché in realtà sono tardi di cuore. Hanno il cuore indurito! Discutono di Gesù ma non lo sanno riconoscere in mezzo a loro, proprio sul loro cammino. Era impossibile riconoscerlo perché troppo presi da sé e non avevano preso sul serio la parola. Da lì dobbiamo sempre ripartire! Forse discutevano, appassionati ai confronti come quando i discepoli si mettono a discutere tra loro su chi fosse il più grande, mentre quel poveretto di Gesù parlava della sua sofferenza! Forse cercavano di addossarsi responsabilità. Si sentono giustificati a cercare un limite chiaro, a mettere un confine. Discutono come si ama discutere senza scegliere mai per davvero, perdendo tempo, rimandando, polarizzandosi, per non prendersi responsabilità. E, poi, credono che per essere se stessi debbano rompere legami troppo stretti e dolorosi con gli altri, con i fratelli che stavano a Gerusalemme.

Noi siamo i discepoli di Emmaus. Anche noi speravamo che ci fosse la pace, che la speranza si affermasse, che le ragioni così evidenti di amore, di umana pietà, di non vedere i piccoli piangere, di proteggere la vita, vincessero. Il loro cuore si era indurito, pieno di delusioni e di tristezza, come Tommaso che non vuole più saperne di sperare e non crede più a niente. In realtà hanno con sé il dubbio che forse c’era qualcosa di bello. Le donne erano andate di mattina presto, avevano raccontato cheera vivo e anche che alcuni erano andati, avevano verificato ma non lo avevano visto. Troppo poco per sperare. Bisogna vedere per sperare, non sperare per vedere! Loro vedono ma non riconoscono e non sperano. La delusione e la tristezza spengono tutto, fanno diventare realisti, non fanno aspettare più niente, fanno diventare fatalisti. Il fatalismo non chiede nulla perché quello che succede non dipende mai da te, mentre la speranza ha un prezzo e ti impegna a cercare quello che sai che c’è, che vuoi che ci sia, che è indispensabile ci sia come l’aria, la luce, l’acqua.

Il pellegrino è interessato a cosa hanno nel cuore, a quello di cui stannoparlando, a ciò che li fa soffrire, perché hanno un’aria triste, corrucciata, tanto da rispondere in maniera scontrosa. “Cosa hai nel cuore?”. Significa avere interesse, non essere indifferente, ascoltare e insieme camminare con loro. Non riceve in una seduta ma si mette e fa sua la loro strada. Non li investe con la sua verità, non gli spiega tutto e subito, non li mette a posto e non li costringe a scegliere, magari umiliandoli per la loro oggettiva incredulità. Cammina con loro e gli dice chi sono. Camminando con loro. Impariamo ad essere amabili e affabili, a farci vicini, a spiegare ma camminando, non come una lezione ma come un annuncio. Da vicino, non a distanza.

Sant’Agostino invita: Parlate con fervore, ma con dolcezza. Sia appassionata la vostra parola, ma per il fervore della carità, non per l’esaltazione della discordia”. Gesù fa così! E noi no? Addirittura pensiamo che camminare con degli sconosciuti, parlare, ascoltare e spiegare significhi compromettersi! Gesù si compromette anche rischiando l’ennesimo fallimento, cioè che i discepoli non lo capiscano, che si sentano infastiditi, forse, addirittura, disturbati da un pellegrino che parla troppo e chiede qualcosa invece di lasciarli da soli. Gesù non smette di cercarci. Sappiamo, lo ricordava Papa Benedetto XVI, che la località di Emmaus non è stata identificata con certezza. “In ogni luogo Gesù risorto si fa compagno di viaggio, per riaccendere nei nostri cuori il calore della fede e della speranza e spezzare il pane della vita eterna. E noi? Non dobbiamo andare in tutte le strade, tutte, pur di parlare con qualche persona che ha il cuore ferito e far conoscere chi è Colui di cui stanno parlando? Non dobbiamo dare le parole della fede a chi pensa siano troppo difficili, oppure a chi non sa trovarle proprio nelle pieghe più profonde del cuore, desiderio più personale di luce, gioia, futuro?

Oggi Gesù spezza il pane per noi e dona se stesso come pane di parola e pane della sua stupefacente presenza eucaristica. Gesù resta con noi perché si fa sera. È sera, è notte e non ci sono sentinelle che rispondono per dirci quanto manca al mattino! Resta con noi, abbiamo bisogno di Tee finalmente non ci vergogniamo di chiedertelo. E Tu hai bisogno di noi. Possiamo ospitarti, Dio pellegrino, che ci vieni a cercare. Tu hai bisogno di un posto, Tu che lo prepari per noi. Abbiamo bisogno di Te in questa guerra terribile, notte di umanità che acceca gli uomini tanto da distruggersi a vicenda. Distrugge la vita. E Tu hai bisogno di noi perché è notte, il cammino impossibile, e dobbiamo ospitare l’umanità nei nostri cuori e non perderla più. Grazie Gesù, che spezzi ancora il pane con noinella nostra sera perché la notte non ci spaventi più.

Si accorgono di Gesù, della sua notte, e che quel pellegrino può essere ospitato, lui che così ci libererà dalla notte. Se gli apriamo la porta del cuore si mette a cena con noi. E nello spezzare il pane si aprono gli occhi. Sì. Lui spezza per primo il pane e se noi spezziamo il pane, invece di perdere il tempo nelle discussioni vane, allora gli occhi si aprono. È l’amore condiviso. Il pane di chi era? Loro. Era finalmente unacomunità, una famiglia, tutti commensali. Non perfetta, ma erano uniti intorno a Gesù. Così si aprono gli occhi e così vediamo il cielo in mezzo a noi e la terra diventare cielo. Così il cuore brucia di amore e abbiamo bisogno di tornare dai fratelli dei quali pensavamo di poter fare a meno.

Così inizia la Chiesa che allarga il cuore e che vede oggi il futuro, sempre di peccatori e traditori ma amati da Gesù: luomo nuovo che genera uomini nuovi. Non hanno più paura della notte: hanno la luce nel cuore. Non cercano sicurezza nella piccola Emmaus, tutto il mondo diventa casa perloro e tutte le mense luoghi dove spezzare il pane e rendere fratelli. Ecco la pace. E un uomo di pace, uno che ha la pace nel cuore, dona la pace a migliaia. Iniziano ed erano due, undici. Iniziamo con le nostre comunità, deboli come sono, ma forti se ascoltano la Parola, se spezzano il pane dell’Eucarestia, dell’amicizia, della solidarietà con i fratelli più piccoli di Gesù, se hanno il cuore che arde nel petto di amore. Vedremo Gesù oggi. Come faremo pienamente in cielo. E sarà la pace.

Bologna, Cattedrale
31/03/2024
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