Omelia della Messa nella solenne Veglia pasquale

La vita è attesa. Quando termina? Continuiamo ad attendere, in realtà, anche dopo l’evidenza della fine, come le donne che vanno al sepolcro. L’attesa, l’amore che cerca l’amato, non è spenta dal cinico scetticismo. Dove sta adesso? È l’attesa di conoscere la vita oltre la vita, di vedere quello che ancora non c’è. È tutto finito?

Ha vinto il buio che con la morte di Gesù era sceso su tutta la terra e anche nel cuore dei discepoli, diventando tristezza e rassegnazione? Allora davvero non è servito a niente voler bene! E se non serve debbo solo cercare di salvare me stesso, di possedere, di dimostrare la mia forza! La croce di Gesù ci porta fino al limite della vita e ci insegna ad attendere. Non capiamo la terra se aspettiamo tutto quaggiù perché sappiamo (e dimentichiamo!) che siamo di passaggio, per cui è un’illusione stabilirci quaggiù come «eterni padroni del pugno di terra su cui teniamo i piedi» (Giovanni XXIII).

Un inno del Sabato Santo descrive il dialogo tra Gesù che scende negli inferi e Adamo: Egli va a cercare tutti coloro che attendono vita. Lo vede Adamo, il progenitore, e grida con gioia: «Il Signore è con noi!». «Sono con te», gli risponde il Signore. «Destati, risorgi dai morti, ritorna ad amare, torna a Colui che da sempre ti cerca. Seguimi e risorgi dai morti, guarda la gloria a cui sei innalzato: pronta è la mensa, allestita la sala, è spalancato il regno dei cieli». Ecco cosa cerchiamo: la risposta sul futuro nostro e delle persone che muoiono, e questo condiziona tanto le scelte che compiamo prima.

Cosa vale veramente la pena? Cosa rimane di noi? Se ci liberiamo da un’idea di vita finta, di apparenza, da esibizione – spesso penosa e senza senso del ridicolo e della misura, tanto da diventare pericolosa e da tradire la persona stessa – capiamo che la vita è dono e resta solo quello che perdiamo per il prossimo. In questi tempi, poi, sentiamo drammatica l’attesa della pace, per tutti, specialmente per chi è travolto dalla pandemia della guerra. Come restare insensibili a questa sofferenza immensa? È attesa di vita, di vita vera, di respiro, di luce, di futuro e questo fa capire le domande vere a chi “pensa di avere tanto tempo e ha pure il lusso di sprecarlo”.

Ma dopo la croce non è tutto vano? La violenza, la guerra, sono sistemi di morte che umiliano la vita e le attese di tanti. Ogni persona, poi, vive il venerdì della passione. Gesù lo vive solo per amore nostro. Noi lo viviamo per la nostra fragilità, quella che spesso ignoriamo, nascondiamo, tanto che viviamo come se non ci fosse per noi e anche per il prossimo. Stanotte è il centro della nostra fede. Gesù, il figlio di Maria e Giuseppe, da Nazareth, è il mistero di amore che rivela l’amore che è Dio.

La nostra fede inizia amandolo e sentendo il suo amore per noi. Gesù non ci convince con qualcosa di definitivo, imponendo la sua forza una volta per tutte. Ci ama e vuole essere amato e la fede inizia. E inizia di nuovo da qui. Gesù vuole che amiamo per libera scelta. Gesù, mite e umile di cuore – e che differenza con tanta volgarità esibita, arrogante, presuntuosa e fasulla, di stolta esibizione di sé! – è stato umiliato come un malfattore qualunque. Le donne non smettono di amare. L’attesa non è mai passiva.

Attesa non è rassegnazione, anzi, è ricerca anche quando sembra non esserci speranza. Vanno al sepolcro. Non hanno paura come gli uomini. Hanno la morte nel cuore ma non smettono di voler bene. Ecco chi è un credente. Noi non sappiamo attendere: vogliamo subito il risultato, cerchiamo prima tutte le sicurezze, ci arrendiamo ai primi problemi, pensiamo e certifichiamo che sia inutile.

L’attesa non ha la compulsione digitale che pensa di verificare tutto e prevedere le reazioni nell’immediato. L’amore ha bisogno di tempo. Il seme non dona mai i suoi frutti subito, deve morire perché questi vengano, perché l’attesa ha sempre bisogno della fiducia: solo affidandosi si “perde”. Quelle donne sanno che c’era una pietra impossibile da spostare. «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?». Eppure ci vanno lo stesso. Ecco l’amore. Non aspettano di avere prima tutte le sicurezze. Cercano Gesù, scelgono comunque di volergli bene. A qualche programmatore, interprete che non ama e non sa amare, appare inutile, anzi, un legame eccessivo, una dipendenza dalla quale slegarsi per pensare a sé. Eppure il mondo cambia proprio grazie a loro. Quel giovane, vestito d’una veste bianca, vince la paura e annuncia la risposta all’attesa: «È risorto, non è qui». E subito le manda a portare ad altri questo Vangelo che è il Vangelo. Non fate aspettare perché hanno bisogno di luce e l’amore produce energia di amore. «Andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea”». Vanno, vincono la paura dei giudizi che pesano su di loro (vaneggiamo, forse è eccesso di amore, ci prenderanno sul serio?) e proprio loro sono le prime testimoni.

Questo significa che è finita l’attesa, che non dobbiamo più combattere contro il male? No. Ma da oggi l’attesa non è più disperata perché abbiamo visto, siamo pieni del suo amore, sentiamo che l’amore non finisce e che questo ha un nome, un volto, una presenza viva: Gesù. In questa notte del  mondo così profonda e drammatica – tanto da far risultare insolenti e  pericolose tante divisioni, resistenze, incapacità di parlarsi, protagonismi! – notte di violenza e guerra, in un mondo inquietante per la poca memoria, che ha tanto ma non impara mai dalle severe lezioni della vita, in un mondo dissipatore di mezzi, perché li piega alla felicità individuale, sentiamo la forza e la responsabilità di questa notte di solo amore, di lacrime asciugate, di luce che illumina le tenebre, di vita che rinasce. In questa notte tutto rinasce. Egli vi aspetta e noi aspettiamo di incontrarlo, sappiamo che c’è, che non va più via, che aspetta noi e non vede l’ora che lo raggiungiamo.

Quanti aspettano di vedere questa luce, di incontrare l’amore che fa risorgere, di vedere la vittoria sul male e sulla morte! Facciamo conoscere il nome della vita, dell’amore: Gesù, il nome che è sopra ogni altro nome. Tutto cambia e tutto può risorgere. La morte non è più morte ma soglia che fa entrare nella vita divina, abbiamo commentato ieri sera nella nostra Via Crucis. La morte fisica diviene chiudere gli occhi al mondo per riaprirli in Dio. La vita eterna inizia oggi, entra nel nostro tempo. Abbiamo acceso anche noi la luce del cuore: annunciamo il Signore con umiltà e pace, portiamo un amore più forte del male, che libera – sempre con tanta insistenza – dal male. L’attesa non è fatalismo ma urgenza per il tanto male che segna la vita delle persone. Gettiamo il seme della nostra vita e aspettiamo che dia frutto. Lo darà. L’amore non è mai perduto ma si perde se lo teniamo per noi.

Il Papa così ha pregato: «Signore, tu che sei risorto dai morti, non ci abbandonare alla tentazione di vivere per noi stessi, nel sonno dell’irresponsabilità, ma liberaci dal male per poter vivere con te la gioiosa avventura di essere tuoi discepoli, liberi e audaci nel comunicare la buona notizia del Vangelo che cambia la storia. Ti ringraziamo Signore perché non ci abbandoni al tradimento e al sonno, ma ci perdoni, ci vuoi con te e ci chiami ancora in Galilea, come ci chiamasti sulle rive del mar di Galilea. Ancora una volta grazie! Grazie, mio Signore e mio Dio».

Bologna, Cattedrale
30/03/2024
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