Omelia per la Liturgia della Passione del Signore

Davanti al male torna sempre la domanda “dove sta Dio?” o “perché non interviene?”. Sale dal profondo, drammatica, quando ci scontriamo con l’enigma della vita e misuriamo la forza del male, quando ne vediamo i frutti terribili che lasciano sgomenti perché spengono la vita e ci ricordano qualcosa che dimentichiamo facilmente, cioè la nostra fragilità e vulnerabilità. Ce ne dimentichiamo perché attratti e deformati da una vita che non esiste, che ci fa credere che possiamo tutto e ci fa perdere l’Altro, Dio, che ci aiuta ad essere noi stessi così come siamo e ci rende davvero grandi perché ci ama.

Oggi, davanti alla Croce di Gesù, volgiamo il nostro sguardo a Lui che è stato innalzato da terra per noi, morsi come siamo dai tanti serpenti del male. Ecco la risposta di Dio: Cristo chiarisce da che parte sta Dio, qual è la volontà del Padre, che sappiamo essere che niente vada perduto e accetta di perdere suo figlio, quel figlio che gli chiedeva di allontanare da sé il calice amaro. Solo se il seme cade a terra dà frutto. Vale anche per Dio, fatto uomo per farci come lui. È il segreto della vita: se la vita si conserva finisce, perché non si vive per se stessi, perché non dà frutto, cioè non genera vita. E il frutto di Gesù è per noi la vita eterna già in questa vita in quello che non finisce, e nell’altra, pienezza della vita. Ecco dove sta Dio: nell’amore che non ci lascia soli. Noi moriremo soli, perché moriamo noi, ma non saremo mai soli perché da adesso sappiamo che accanto noi ci sarà Dio. E con Lui sua Madre e il discepolo che ama, perché nessuno sia, neanche fisicamente, lasciato solo nella sua sofferenza. La Croce non è un simbolo, un’astrazione. Gesù ci fa scendere nella realtà e non è un’entità diffusa, senza volto e corpo. Gesù è l’uomo che soffre e ci aiuta a vedere la sofferenza di tanti suoi figli, dei suoi fratelli più piccoli, di ogni persona.

Dio sta sulla croce. E gli uomini? Le costruiscono, pensando che siano sempre per gli altri, accecati dall’odio, dall’ideologia, raggirati dai potenti, catturati dai loro interessi di mercato come quello delle armi. E gli amici di Gesù? Scappano, tradiscono la vita e l’amore per un po’ di benessere, di quieto vivere, per paura, per calcolo e opportunismo, per la banalità del male. Spesso parlano della croce ma da lontano e non sanno e non vogliono soffrire come una madre, come la loro Madre Chiesa. Poi, se riprendono a discutere tra loro su chi è il più grande, indeboliscono la Madre e stanno lontano da Gesù che soffre. Ecco la loro vera irrilevanza, che li rende inutili nel mondo, che va cambiato con l’amore di Gesù.

Di fronte alla croce e alle tante croci disseminate nel mondo, prodotte dalla macchina di morte della guerra e degli interessi individuali, qualunque essi siano, ci chiediamo: dove è finito l’uomo, dove è finito l’amore che pure abbiamo dentro di noi? Perché permettiamo che perda il sapore, vivendo come senza cuore e senza mente, storditi di fronte al male tanto che prevale la pancia? Com’è possibile che abbiamo fatto del nostro io un idolo tanto da piegare tutto per nutrirlo, consumando le esperienze e le persone, rendendo tutti e tutto oggetti da possedere, dando importanza ai like delle nostre comunicazioni, cui diamo valore di conferma del merito o di fallimento, e non al prossimo che incontriamo nelle nostre strade? Com’è possibile che scegliamo la divisione, dimenticando che questa viene sempre dal divisore, che non ha mai giustificazione e genera sempre frutti del male?

Abbiamo bisogno di speranza. Ma la speranza inizia sotto la croce e non quando le cose vanno bene o sono pianificate al sicuro. La speranza si confronta con la tempesta del male e ci serve quando sperimentiamo l’abbandono che sembra totale. Speranza chiede l’umiltà di donare e servire, l’amore per stare vicino alla croce, come possiamo, non lasciando mai nessuno solo e mostrando sempre nel nostro amore l’amore di quel crocifisso che ama fino alla fine.

Davanti alla croce, davanti al dolore immenso del mondo, restiamo come Maria e come Giovanni. Facciamo nostro il dolore e proviamo compassione per tanto amore. Altrimenti non capiamo e il male sembra non esistere, o che sia un’esagerazione. Il male spesso è indicibile, non riusciamo a raccontarlo e ascoltarlo, sembra incredibile, non ci appare vero se non quando ne siamo investiti o abbiamo compassione per chi ne è colpito.

Guardiamo la croce e proviamo semplicemente compassione, piangendo con e come Maria, e come tutte le donne davanti alla violenza che profana la vita dei loro figli. Non vogliamo essere come quelli che quando sono raggiunti da qualche notizia iniziano subito a parlare di sé, a dire che anche loro non stanno tanto bene, a parlare sopra per non amare. Questo dolore ci deve svegliare dal torpore della rassegnazione, dell’abitudine, dall’insoddisfatto studio di sé che ci fa diventare narcisisti, passando la vita a cercare l’introspezione invece di guardare il male che causa il male. Non è possibile essere spettatori. Poi i problemi ci coinvolgono e capiamo che sono nostri e che tutti siamo coinvolti, nel bene o nel male. Lasciamoci commuovere da un amore così grande e scegliamo di vivere insieme a Gesù e ai suoi testimoni il segreto bellissimo e liberante della vita: solo perdendola la troviamo, solo nutrendo il prossimo troviamo nutrimento e gioia, solo legandoci a Gesù troviamo il nostro io. Perché Gesù è vita e amare Lui, e come Lui ci fa risorgere con Lui oggi e domani, ci libera dalla paura di generare vita e ci dona la vita che non finisce, cercando quello che non ci può essere mai tolto.

Bologna, Cattedrale
29/03/2024
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