Omelia al rito delle esequie di Mons. Alberto Di Chio

Oggi, Giovedì Santo, celebriamo la comunione e il servizio sacerdotale, coloro che presiedono nella comunione quella mensa che vede raccolta intorno a Gesù la sua famiglia. Non poteva essere giorno più opportuno per affidare alla liturgia del cielo, alla pienezza della comunione, il caro don Alberto. Concelebrerà (non possiamo celebrare nel rito delle esequie la S. Messa essendo Giovedì Santo) – come da suo desiderio espresso nel testamento – questo pomeriggio nella Santa Liturgia in Coena Domini e lo sentiremo unito in quella comunione dei santi che l’Eucarestia sempre ci aiuta a contemplare e a vivere. La morte di una persona cara, la morte di un confratello, ogni morte, anche quelle drammatiche cui non possiamo abituarci, di tanti che non conosciamo per nome ma dei quali conosciamo la sofferenza, l’ingiustizia di essere vittime di un sistema di morte e di disumanità, vero inferno, che è la guerra, ci aiutano a comprendere la grandezza dell’amore di Dio che muore per noi e che ci ama fino alla fine. Ecco, la morte spiega i giorni che stiamo vivendo, perché essi sono la risposta all’ansia di tutta la creazione che soffre e geme per nascere ad una vita nuova. La morte è inizio doloroso della vita che non finisce e l’amore e la fede – quanto si uniscono e si nutrono a vicenda! – ci aiutano a comprendere il limite della vita. Don Alberto si era preparato, da persona di fede grande e consapevole com’era, al passaggio da questo mondo al cielo. Il suo testamento ne è l’evidenza, come le letture scelte da lui. Gesù, che non salva se stesso e non asseconda l’ultima tentazione gridata dalla folla per dimostrare chi era, ci aiuta a capire che da quel momento nessuno vive per se stesso e anche che nessuno muore per se stesso, cioè da solo: tutto è amato dal Signore, raccolto da Lui, accompagnato da Lui, che non perde neanche un capello del nostro capo. È la vittoria sull’inferno della solitudine, del non senso, della vanità della vita che si perde quando uno vive solo per sé. È per questo che Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi, e per esserlo per don Alberto, per ognuno di noi.

Il cristiano si abbandona nella fiducia a chi ci protegge e difende con il suo amore senza fine. “Come un bimbo svezzato in braccio a sua madre”, abbiamo recitato nel Salmo. Una delle immagini più tenere della morte di Maria, la prima dei credenti, è quella della dormizione, che raffigura Gesù che tiene in braccio Maria piccola, serena, e la stringe a sé per portarla in alto, restituendo con la nascita al cielo quello che Maria compie nella sua nascita sulla terra. Il mistero della morte lo possiamo affrontare solo nell’abbandono fiducioso tra le braccia di Dio padre. Questo spiega perché dobbiamo morire, invece di passare facilmente dall’altra parte della vita, nell’altra dimensione: solo fidandosi, nell’abbandono, come ricordava il cardinale Martini, possiamo amare totalmente Dio, sapendo che non ci lascerà soli. Quante volte don Alberto ha spezzato questa parola con i tanti “Genitori in cammino” che hanno camminato con lui in questi anni nella via di Gesù, mostrando che i figli sono avanti, non indietro, in quella strada verso il cielo che Gesù apre e che passa per l’amore vicendevole. “Voi conoscete la via”, afferma Gesù. Tommaso, che certo non è un credulone o un uomo facile, vuole capire. E per certi versi lo rivendica: “Non sappiamo dove vai, e come possiamo conoscere la via?”. È un misto di richiesta discepolare e di sfida, di rivendicazione da uomo che vuole seguire, con un carattere forte, ma anche con tanta fede. Tommaso si arrenderà al suo Signore dicendo finalmente: “Mio Signore e mio Dio!”, ma solo dopo aver visto. “Io sono la via”, non c’è altra informazione da cercare: conoscere, cioè amare, Gesù. Ecco il senso di questa Pasqua che viviamo con Alberto, che ha professato la fede in Cristo, ha predicato proprio la scelta di aprire la strada che unisce il cielo e ha riflesso la luce del suo amore. Gesù non lascia soli nel buio della morte, ma con la sua morte ha sconfitto la morte. La sua è parola di vita eterna, come ricordava don Alberto.

Aveva vissuto la stagione del Concilio Vaticano II, degli incontri entusiasmanti tra Paolo VI e Athenagoras, dai quale aveva imparato il gusto del dialogo interno ed esterno (le prime celebrazioni della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani qui a Bologna sono state con lui, e così gli dobbiamo molto), della comunicazione del Vangelo, l’Evangelii Nuntiandi, alla quale si preparava con scrupolo, leggendo e studiando continuamente. Lo faceva con passione contagiosa e diretta, semplice e piena di contenuti. La Parola era la sua passione, che lo portava ad animare le missioni popolari, a parlare con tutti, a voler farsi pellegrini per incontrare i tanti discepoli di Emmaus che camminano con il cuore triste e hanno proprio bisogno dello spezzar del pane, che inizia sempre nello spezzare la parola. Don Alberto aveva una grande passione per i Gruppi del Vangelo nelle famiglie. Don Alberto mi ha ricordato tanto Tommaso, discepolo non facile, che rispondeva con durezza ai suoi confratelli, ma anche credente che in realtà libera i dubbi che avevano tutti nel cuore. È l’unico che non stava insieme quando arrivò Gesù, poi è il discepolo che forse andò più lontano di tutti, fino alle Indie, nel mondo sconosciuto. Tommaso conobbe la via, la rese vicina a molti percorrendo le tante vie degli uomini. Don Alberto l’ha indicata a quanti pensavano che non ci fosse più via per la loro vita. Lo ricordo appassionato per i nostri compagni di strada che sono i santi, come quando si trattò di occuparsi del grande predicatore bolognese del Settecento, il sacerdote Beato Bartolomeo Dal Monte: sentì diretta a sé quel “guai a me se non predicassi il Vangelo!” (1Cor 9,16).

Una comunione larga, senza confini, come i martiri della Chiesa dell’Est, presuli o laici. Era molto legato alla Russia e, nel 1999, a Mosca fu presente alle Ordinazioni presbiterali dei primi sacerdoti cattolici latini dopo l’era sovietica. Un vescovo in Slovacchia indossa ancora una casula che don Alberto aveva ricevuto in dono dall’amico, poi cardinale, Mons. Loris Capovilla, già segretario di Papa Giovanni XXIII. Amava mistiche dello spessore di M. Teresa Carloni, che ha conosciuto personalmente e per la quale ha lavorato lunghi anni per promuovere la conoscenza della sua santità, e martiri come i tre preti morti a Montesole, per i quali aveva un ulteriore motivo di legame perché unito dai giorni della sua formazione a don Dossetti, dal quale apprese che ogni gesto, ogni parola, ogni scelta era richiamata alla freschezza della Parola di Dio, talmente accolta in pienezza che era impossibile non percepire la sua attualità nella vita personale e in quella della Chiesa e del mondo. In connessione con le missioni al popolo lui fu determinante nel far riemergere il ricordo di Bartolomeo Dal Monte, che poi pervenne, in quegli anni, alla beatificazione. Lo faceva in modo brillante e fraterno, coraggioso, senza paura di parlare a tutti. Ma fu anche commissario storico di don Luciano Sarti, che tanto amò, come pure, al Villaggio di Borgo Panigale dove ha abitato per tanti anni, si era occupato con passione per non far perdere la memoria di don Giulio Salmi, prete della carità. Voleva una scuola di preghiera per i giovani, ogni settimana, perché i giovani potessero gustare la bellezza, anzi, lo splendore della Parola e della Comunione dei santi! Parlava della Parola in modo profondo e insieme semplice, facendosi capire da tutti, con esempi e aneddoti. Gesù parlava in parabole e senza dotte citazioni! Credo ci lasci un’indicazione che personalmente sento così vera e che dovrà accompagnare comunque le scelte del futuro delle nostre comunità: la centralità della lectio divina secondo una modalità semplice e popolare, per aiutare ciascuno a fare della Parola di Dio, pregata assieme all’Eucaristia, l’alimento quotidiano, la luce per discernere la volontà di Dio e la forza per rispondervi generosamente. Il suo volto serio, a volte imbronciato o polemico, poteva lasciare interdetti, ma poi si apriva ad un sorriso comunicativo, ad uno sguardo buono e alla battuta scherzosa per mettere a proprio agio l’interlocutore. C’era sempre e voleva esserci sempre. Come San Paolo, sapeva farsi “tutto a tutti” (cf. 1Cor 9,22). Era figlio della nostra Chiesa di Bologna, scelta da lui che veniva da Andria, legato al Cardinale Giacomo Lercaro sulla scia del vento di primavera alzato dal Concilio Ecumenico Vaticano II.

Al termine della sua via ecco che don Alberto, come Tommaso, incontra il suo Signore, il suo Dio, e vede la pienezza della vita iniziata dopo il doloroso passaggio della morte quel primo giorno dopo il sabato.

Alberto vive nel giorno che non conosce tramonto, accolto alla mensa che ha celebrato con noi, e celebra oggi pienamente dove Gesù prepara un posto per i suoi. Don Alberto, prega per noi perché la Parola sia sempre al centro, sia sempre predicata al popolo e perché la santità ispiri tanti a mettersi al servizio del Vangelo. Con sempre l’abbandono fiducioso come quello, a suo tempo, di una bimba in braccio.

Santa Maria Madre della Chiesa
28/03/2024
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