Omelia nella Messa Crismale

Nella preghiera della colletta abbiamo chiesto al Padre, che ha consacrato il suo unico Figlio con l’unzione dello Spirito Santo, di concedere a noi di essere partecipi della sua consacrazione, “di essere testimoni nel mondo della sua opera di salvezza”. Tutti, tutti “consacrati”, tutti di Cristo come Cristo è di Dio (cf. 1 Col 3,13). In questo rito sentiamo tutti la gioia e «la lieta fierezza di essere “laici”, cioè appartenenti al “laós”, cioè al popolo dei consacrati, tutta la nobiltà che ci viene dal nostro battesimo», come disse il Card. Biffi. È il senso della nostra Messa Crismale, che ci fa contemplare – non smettiamo mai di farlo, per purificare i nostri occhi e ritrovare la grazia infinita presente nella nostra miseria – la grandezza di amore che ci è donata. Siamo consacrati in diversi gradi e servizi ma tutti uniti nell’unica vocazione di essere suoi, di amarci a vicenda, di donare tutto noi stessi e di essere testimoni del suo amore, unti con uno spirito di forza e non di timidezza o mediocrità. Tutto è complementare nella casa del Signore e dobbiamo preoccuparci quando ciò non avviene. Siamo fatti gli uni per gli altri (anche se per capirlo qualche volta facciamo fatica perché crediamo troppo poco all’amore che ce lo fa scoprire!) e questa relazione non è funzionale, ma affettiva, di amore, perché espressione pratica – e questo si deve vedere e capire – di quel comandamento dell’amatevi gli uni gli altri che è chiesto a tutti e che ha bisogno di tutti. La famiglia che ci è affidata non annulla le differenze tra noi, ma annulla il pensarsi da soli, la superiorità, l’affermazione di sé, il fare a meno del prossimo, la supponenza, il ruolo, l’esibizione di sé, il protagonismo e, al contrario, afferma la gioia del servire, l’affabilità che abbatte i muri e avvicina il prossimo, l’umiltà che ci affranca dall’orgoglio e ci rende grandi, la ricerca instancabile della pecora smarrita, la gratuità perché solo questa ci fa possedere, la mitezza che disarma le resistenze, la difesa della verità che è sempre e solo Cristo Gesù e nel suo nome nulla è vano. Non siamo suoi senza appartenere e sentire nostra questa famiglia che è la Chiesa e le sue comunità. La sapienza antica, per cui non abbiamo Dio per Padre se non abbiamo la Chiesa per madre, ci protegge da una generazione che idolatra l’io ma in realtà non lo trova perché ha perso la gioia e la libertà di appartenere a un corpo. Crescono, invece, tanta solitudine e volatilità dei rapporti e così anche la sofferenza nel profondo, perché abbiamo bisogno di amore e della risposta alla nostalgia di Dio che è scritta nell’anima. Non si parla tanto di anima quanto di personalità e di ego, non trovando così risposta all’io e al suo bisogno di vita e di vita eterna, producendo, come diceva qualcuno, «l’egoismo di una insicurezza cronica». Perché se non troviamo nutrimento spirituale finiamo per confidare solo nei beni di questo mondo e dobbiamo nutrire continuamente l’io. Lo spirituale non è affatto fuori dal mondo, ma ci permette di capire quello che siamo, ciò che è essenziale nella persona e nelle relazioni. Ecco la gioia di essere suoi, perché Dio non ci possiede ma ci ama, non ci lascia passivi ma chiede di amare con tutto noi stessi, nutre la nostra anima e con questa tutta la nostra vita. Non siamo suoi per un benessere individuale, ma per la gioia di tutti e questa può essere solo condivisa!

Siamo consacrati per portare oggi il lieto annunzio ai miseri, per riconoscere e fasciare le piaghe dei cuori spezzati, per essere liberi e proclamare la libertà degli schiavi, per superare ogni barriera e aprire il carcere ai prigionieri, per promulgare nell’oggi l’anno di grazia del Signore. Vediamo nella folla di questo mondo tanta sofferenza, un immenso dolore, frutto di violenza e ingiustizia, evidente nel corpo e nascosto nelle pieghe della psiche! Quanti cuori spezzati da fasciare con l’unguento dell’amore e da ricostruire nel legame con Dio e con i suoi amici! Ecco il motivo della nostra chiamata e la gioia della nostra scelta, che è sempre personale e mai individuale. Questa sera davanti alle nostre comunità, presenti tutte nella comunione dei santi che ci unisce intimamente sempre, i preti e i diaconi rinnoveranno la personale risposta alla chiamata di servire il Signore nei loro ministeri. Ed è una gioia poterlo fare, perché ci fa scoprire l’importanza del nostro servizio e la scelta di ognuno diventa di tutti, chiamati a vivere come fedeli dispensatori dei misteri di Dio. Oggi voi e le vostre comunità riceverete l’olio dei catecumeni, la forza per combattere il male, l’orgoglio, e assumere con generosità gli impegni della vita cristiana. «Ricevete l’olio degli infermi, perché sappiate consolare e curare ogni persona nella sofferenza, si sentano sollevati dall’amore di Dio e siano liberati da ogni malattia, angoscia e dolore». Il crisma generi cristiani, accompagni le scelte di essere suoi, generi figli e figlie, profeti, sacerdoti e re, ministri in ogni ordine e grado che servano la sua famiglia, imitando Gesù.

Siamo chiamati all’unità e alla pace in questo tempo di divisione e di tanta insopportabile violenza. Unità, perché vediamo i drammatici frutti della zizzania, che nella notte silenziosamente viene gettata per soffocare il grano e che cresce nell’abitudine alla polarizzazione, nel disprezzo pratico del dialogo, nel non sentirsi dentro una casa comune. Il seme della divisione inizia nella malevolenza, nell’incapacità di parlare amichevolmente, nei confronti, nell’odio pieno di paura e risentimento, nel prendere per avere e non nel dare per essere. Siamo chiamati all’unità delle nostre comunità che, proprio perché hanno Gesù al centro, offrono un posto per ognuno e hanno bisogno di tutti. Non minimizziamo le difficoltà di un cambiamento che le nostre comunità e tutta la città degli uomini stanno vivendo. Al termine della fase sapienziale del cammino sinodale dobbiamo maturare scelte coraggiose, che permettano alle nostre comunità e alle nostre parrocchie di trovare le forme per camminare insieme, per essere famiglia e non un club di iniziati o una fortezza per spaventati. Una famiglia dove tutti possano incontrare l’amore di Gesù, dove leggere la Parola che parla al cuore e aiutarci a metterla in pratica nel servizio, dove accordarci per pregare e dove aiutare a ritrovare la semplicità della fede i tanti che la cercano, le comunità che generano alla vita e alla fede.

Unità e pace. Siamo un popolo di pace, disarmato ma forte, fortissimo nell’amore. Nel buio del Venerdì santo crediamo alla luce della Pasqua, sapendo che il male non è l’ultima parola. Scrive S. Agostino: «Basta che ami la pace, ed essa istantaneamente è con te. La pace è simile al pane del miracolo che cresceva nelle mani dei discepoli mentre lo spezzavano e lo distribuivano. Se volete attirare gli altri alla pace, abbiatela voi per primi; siate voi anzitutto saldi nella pace. Per infiammarne gli altri dovete averne voi, all’interno, il lume acceso». In questo tempo di tanto individualismo, di violenza nelle mani e nella lingua, di tentazione di rispondere al male con il male costruendo così inferni per tutti e un sistema di morte, costruiamo oggi cuori e case di pace.

Il Signore, nostra pace, centro della nostra vita personale e comunitaria, generi la concordia dei cuori, protegga la nostra unità, e renda testimoni gioiosi e fraterni del suo vangelo di amore e di pace, perché tutti possano vedere riflessa in noi la luce del risorto, di quell’amore che rende piena la vita delle terra e apre a quella del cielo.

Cattedrale di San Pietro - Bologna
27/03/2024
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