Omelia nella Messa in Certosa per i defunti per CV-19 o per altra causa che non si è potuti salutare

In queste lunghe interminabili settimane tutti ci siamo scontrati con il limite della vita, con la nostra fragilità, con la sofferenza, con l’isolamento, con la morte. E noi, che spesso cerchiamo di nasconderla, di fare finta che non ci sia, di medicalizzarla chiudendola negli ospedali, di accettarla fatalisticamente, siamo talmente scandalizzati da questo, ci sentiamo defraudati, che ci accorgiamo dell’ingiustizia che è la solitudine di chi muore. Non possiamo lasciare che qualcuno scompaia nel nulla, prima scartandolo e poi occultandone la scomparsa. La morte, infatti, comincia sempre prima, nell’abbandono, quando la vita perde valore o meglio noi non sappiamo più vederlo.

Qualcuno accusa – i farisei ci sono sempre fuori e dentro di noi – che abbiamo smesso di parlar della morte. La morte parlava, comunque. Quello che noi non abbiamo fatto è annunciare il Vangelo, la bellissima notizia che la morte è vinta, che la luce non è stata spenta dalle tenebre e non lo abbiamo fatto con una vita bella, credibile, forte, dentro la vita e non nel chiuso di regole che non toccano il cuore spingendo, questo sì, a cercare la vita altrove. Se c’è chi è lontano lo è perché non lo abbiamo accolto e perché non abbiamo costruito comunità che lo amassero.

Il suono della campane a morto e il minuto di silenzio che abbiamo chiesto a tutta la città degli uomini – ringrazio il Sindaco della sua sensibilità – significa non accettare mai che la vita finisca nella solitudine, senza che la comunità sia coinvolta. Non possiamo accettare che la persona diventi un numero (mai e per nessuno, da qualsiasi parte del mondo venga e dall’inizio sino alla fine del suo essere nel mondo). In questi giorni di contabilità funebre, l’immagine dei mezzi militari che trasportano una quantità incalcolabile di bare, hanno dato a tutti, con sgomento, le proporzioni di quello che sta succedendo e anche come finisce la nostra povera vita. Ma per chi ama questo è davvero inaccettabile, come i tanti per i quali non è stato possibile celebrare i funerali per dare l’ultimo saluto. Strano, quasi surreale, sempre disumano. Qualcuno con sensibilità ha scritto: “Talmente strano, surreale e disumano che ti sembra di non avere neanche lo spazio, il tempo di elaborare il dolore di aver perso l’uomo più importante della tua vita. È tutto sospeso, anche il dolore”.
Se il male vuol rendere ogni morto un numero, l’amore fa esattamente il contrario. Lo fa nella vita, che rende la rosa unica e lo fa anche nella morte. Per chi ama l’amato non diventerà mai uno tra tanti. La morte, come la vita, rivela di che amor si tratta, se è superficiale, inaffidabile, passione per sé o se è amore vero, che lega e unisce tutto. L’articolo tra chi si ama non sarà mai indeterminativo! Non sarà mai “uno” ma “lui”, “quello, quella. Un numero non ha volto, anzi gli viene tolta la sua storia, che è anche la nostra, perché “ognuno di loro è uno di noi”. Ecco perché siamo qui. Per ricordarli, uno per uno: pronunceremo alcuni nomi, altri li portiamo scritti nel nostro cuore, scolpiti nella mostra vita perché quando si ama non si cancellano.

Qui capiamo la Pasqua di Gesù. Dio è nato per vincere il nemico della vita. Dio ama, li ama, conta perfino i capelli del capo ed è il mistero di amore, che il cuore desidera e intuisce, che diventa un volto e un nome, sì, anche in questo caso non uno ma “Lui”: Gesù. L’amore non perde nulla dell’amato, e non vuole perdere nulla perché tutto è importante: è la vita. Pensando ai nostri cari la fede ci fa dir che Dio era con loro, è venuto tra gli uomini proprio perché non poteva accettare che i banditi la portassero via per la strada, improvvisamente, casualmente, come questo virus bandito. Gesù è il buon samaritano e ci chiede: mi aiuti o vuoi passare dall’altra parte? Il suo amore, il suo modo di amare, la sua umanità ci indica come combattere il male e ci dona la forza per farlo. Fino alla fine, perché la vita non abbia fine. Lui ha subito le insidie delle monete false, dalle quali si era tenuto lontano. Lui è stato messo alla prova con violenze e tormenti, ma non ha smesso mai di essere mite, come agnello condotto al macello. Non ha salvato se stesso, non ha fatto vedere che era figlio di Dio ma è morto da uomo che dona tutto se stesso. “Veramente costui era il figlio di Dio”. Chi ama non sopporta chi vuole togliere, ridurre, disperdere l’amore o l’amato.

Gesù affronta la morte lucidamente. Sa che cercavano di ucciderlo e lui non si lascia intimidire, ma continua a insegnare fino alla fine a discepoli che non lo capiscono, paurosi, presuntuosi, affezionati alla spada, mediocri.

Ecco quante domande vere in questa quaresima che ci fa rientrare in noi stessi e ci fa passare dall’esistenza alla storia, dalla bolla di sapone alla vita vera, dall’onnipotenza alla vera forza perché umana, dolorosamente ma più uomini e meno super uomini. Sappiamo che Gesù ha percorso questa quaresima tutta, con noi e per noi. Ci aiuta a vedere la luce e a lottare sempre per la vita, a non accettare mai di essere complici del male e a credere alla forza dell’amore. Ci ama per primi e non si stanca di cercarci, di farsi trovare, di aspettarci. Morire è un graduale staccarsi, è sprofondare nell’orizzonte della vita. E nell’orizzonte il cielo e la terra si toccano. L’amore e la fede sono quel punto, lontanissimo e vicinissimo, dentro di noi, nel profondo del cuore.

“Se osserviamo una barca a vela, che lascia la riva, raggiunge l’alto mare e va verso l’orizzonte, essa diventa sempre più piccola ai nostri occhi e improvvisamente scompare. Eppure noi possiamo supporre che qualcun altro, su una riva molto lontana, si trovi a guardare questa barca farsi sempre più grande e alla fine attraccare al nuovo porto. La morte è una perdita dolorosa. Quando torniamo a casa da un funerale il nostro cuore è pieno di tristezza. Se però pensiamo a coloro che sull’altra riva ci attendono con ansia, a nostro padre, a nostra madre, ai nostri fratelli e alle nostre sorelle, al nostro amico e alla nostra compagna di via, a tutti quanti ci daranno il benvenuto in una nuova casa, allora un sorriso può accompagnare le nostre lacrime”.

Gesù è morto per noi affinché la nostra morte non debba più essere soltanto separazione e vince ogni distanza, come quella che ci ha superato dai nostri cari.

L’eterno riposo, dona loro Signore buono e splenda ad essi la luce che non finisce mai. Amen.

27/03/2020
condividi su