Omelia nella Messa per l’ordinazione di sei Diaconi permanenti

Questa cattedrale, madre e casa delle nostre case, ci aiuta tutti a contemplare il grande amore di Dio per la grande folla degli uomini. L’amore di Gesù ci accompagna nelle varie stagioni della nostra vita e accompagna le scelte della vita degli uomini, come quella che ha portato i nostri fratelli a ricevere il diaconato. È un amore che ci permette di guardare con gli occhi di Gesù le tante sofferenze della “folla”. È un amore che non è mai di parte ma non è sopra le parti perché difende sempre l’uomo, la persona; non giudica e libera dai giudizi; comprende quanto gli uomini sono stanchi e sfiniti come pecore senza pastore, indica le cause ma sempre distinguendo il peccato dal peccatore. È un amore che è donato a ciascuno di noi e che diventa nostro ma sempre solo se è condiviso e aperto agli altri. Noi, operai dell’ultima ora, siamo chiamati oggi a giornata perché Gesù ha fretta di dare frutti, non si rassegna né di noi disoccupati né della sua vigna e ci manda perché la messe è grande e gli operai sono pochi. Ringraziamo di potere lavorare e facciamolo con l’umiltà e la gratitudine di poterlo fare. Se gli operai sono pochi è motivo in più per essere generosi e per offrire tutto noi stessi, perché la messe del mondo aspetta operai disponibili, senza vanità, che lavorino solo per rispondere all’interesse di Gesù. Oggi vediamo con chiarezza la ricchezza della Chiesa, delle nostre varie comunità con la loro storia e le nostre persone inadeguate. È proprio con i nostri limiti e contraddizioni che siamo pieni dell’amore di Dio, che diventa in noi riflesso della sua forza. Amiamo tanto la nostra Chiesa, proteggendola soprattutto dal nemico subdolo e pervasivo del divisore, che ci spinge a pensare a noi, a contrapporci, a dire pazzo al fratello invece di aiutarlo, a credersi giusti nel farlo, a restare lontani dagli altri, a pensare importante solo quello che ci riguarda direttamente, a parlare sopra gli altri e non a servirli come Gesù ci ha insegnato. Il divisore svuota l’amore degli uomini, lo rende senza sapore come avviene quando diventa mediocre, fa sentire a posto con la giustizia degli scribi e dei farisei, lo rende difficile tanto che sembra impossibile viverlo e viverlo a lungo.

In questa domenica di amore grande accompagniamo i nostri fratelli che saranno ordinati diaconi, grati perché la vita loro e nostra è ministero, cioè servizio. Con umiltà e carità sceglierete di essere in aiuto dell’ordine sacerdotale, a servizio del popolo cristiano, sacerdozio regale e santo. Siamo tutti solo di Cristo e solo Lui dobbiamo portare nel nostro cuore, l’unico vero nome che da senso al nostro nome, l’amore che motiva tutto il resto e senza il quale possiamo fare tante cose, agitarci, parlare anche tutte le lingue, dare tutto in elemosina, ma senza carità, cioè Cristo, non serve a niente.

Voi unite l’altare della mensa eucaristica all’altro altare, quello del servizio ai poveri. C’è sempre armonia tra servizio alla Parola e alla carità, tra orizzontale e verticale, le due dimensioni che si nutrono una con l’altra, che ci riconciliano con l’umanità e ci spingono a spezzare il pane. La Chiesa e ila città degli uomini hanno un grande bisogno di uomini e donne che non vivano per sé stessi, che non si chiudano spaventati nel loro io, che non pieghino tutto al proprio interesse individuale, ma si aprono al “noi” della comunità che si costruisce abbandonandosi all’amore esigente, totalizzante di Gesù. Del resto può forse l’amore essere parziale, non pieno, per certi versi totalizzante? Facciamo bene a stemperare tutto per poi finire ad appassionarci per quello che non vale o prigionieri di noi stessi? L’amore che propone Gesù nasce da “avete inteso che fu detto. Ma io vi dico”. Lui chiede a tutti qualcosa di diverso, che normalmente non viene detto. Anzi. Il Vangelo non asseconda affatto la nostra mentalità, le abitudini, la mediocrità che rende banalmente conformisti. Anche noi abbiamo inteso tante parole che ci persuadono a conservare pensando così di non restare senza noi, che possedere vuol dire usare da soli, tenerci stretti il poco o tanto che abbiamo, chiuderci nei nostri confini. Gesù ci vuole grandi nell’amore. Grandi perché siamo suoi e perché siamo fatti non per fare le cose grandi che gli uomini pensano tali, ma le cose grandi, vere, belle, durature di Dio che rivelano la vera grandezza dell’uomo. Siamo dei poveri che rendono ricchi tutti! E quanta confusione c’è in giro sull’amore! Quanto restiamo, come ha detto qualcuno, alla periferia del cuore, del nostro cuore proprio perché sappiamo così poco amare e impariamo così poco a farlo come Dio ci indica. La giustizia dei farisei (e di quel fariseo che è dentro ognuno di noi) è quella scrupolosa, equilibrata, moderata, attenta a non fare il male piuttosto che ad amare. È la giustizia che si compiace di sé, che considera innocua l’indifferenza; che giustifica tutto purché sia salva l’apparenza; che non vuole avere problemi e pensa di essere a posto se riesce ad evitarli, che li condanna senza amarlii. È la giustizia dei sepolcri imbiancati, del fratello maggiore della parabola che non sa vedere in quell’uomo il fratello che era tornato in vita, ma solo il suo peccato. È rassicurante, perché difficilmente ci fa sentire in debito verso il prossimo. Anzi, spesso in maniera insidiosa e persuasiva, nutre la convinzione di fare molto, rassicura perché stabilisce il limite dell’impossibile o del non necessario, cioè fa sentire “a posto”. Superare la giustizia degli scribi e dei farisei significa considerare gli altri superiori a sé; non sentirsi a posto finché il fratello non è amato; fare quello di cui l’altro ha bisogno e non quello che serve a me; scegliere la via impegnativa della misericordia. Superare la giustizia dei farisei è non aspettare ma fare noi il primo passo verso l’altro, liberando il proprio e l’altrui cuore con la forza della riconciliazione. Per questo Gesù può dire: “Non giudicare il fratello”, perché altrimenti non lo riconosci più e vedrai in lui solo la pagliuzza. Non giurare, perché il cuore è trasparente, perché allenato alla semplicità e quindi credibile per questo. Non desiderare per possedere, ma per amare e per vedere tutta la persona e pensarti in relazione a lei. Gesù consiglia, ed è anche questo un invito molto concreto, di mettersi d’accordo con l’avversario quando ancora siamo per via. Altrimenti saremo condannati. Gesù non dice di farlo se abbiamo torto, ma sempre. Tutti finiamo in prigione, perché l’inimicizia, piccola o grande, rende tutti prigionieri dei cattivi sentimenti e da questa è poi difficile uscirne, perché condiziona e soffoca il nostro cuore. Siate grandi nell’amore, grandi di cuore, come chi serve le due mense, come deve essere ogni cristiano amato da Dio. Con la vostra gioia mostrate un uomo vero, umano e spirituale, un amore non di facciata, gratuito per rendete grazie a Dio per i suoi doni. Il mondo ha bisogno di uomini contenti, perché la gioia del Signore è vera forza, donano pace perché pacificati, che non si spaventano del male perché più forti. Non ci vogliamo abituare a vivere come isole, chiusi nel rancore, difesi dalla violenza delle parole, dette o scritte sui social, come fossero normali, quando normali non sono affatto. E voi ripetetelo opportune et inopportune, soprattutto con la vostra vita. E se uno dona il bene questo ritorna sempre anche a lui.

Ma io vi dico! Lui ce lo ha detto! E io ti dico che per me non sarai mai un pazzo, ma sempre un fratello; che cercherò di mettermi d’accordo perché non voglio finire nella prigione dell’orgoglio o del rancore; che parlerò sempre con chiarezza per non fare crescere la diffidenza e la distanza; che ti amo pienamente perché sono pieno dell’amore che Dio non smette di donarmi.

«Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano». Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio.

16/02/2020
condividi su