Omelia per il Mercoledì delle Ceneri 2020

Bologna, cattedrale

Viviamo giorni difficili, segnati dalla paura e dalla incertezza. Ci auguriamo che davanti alle avversità gli uomini non litighino tra loro, come i famosi capponi di Renzo, ma scelgano di aiutarsi mettendo da parte quanto ci può dividere e combattendo il divisore, perché il bene comune sia l’unica preoccupazione che coinvolga tutti. Questo è ciò di cui abbiamo bisogno e questa è l’unica preoccupazione della Chiesa, che sta solo dalla parte delle persone, ad iniziare dalle più deboli!

Capiamo che ci si salva solo insieme e non scappando ascoltando il “salva te stesso” che la paura e l’egoismo suggeriscono al nostro istinto. Sono giorni che rivelano quanto siamo deboli, come sempre in realtà ma anche come facciamo finta di non essere. Abbiamo paura di qualcosa che non si vede, che può arrivare da chiunque, che può renderci tutti nemici potenzialmente oppure tutti solidali gli uni con gli altri.

L’altro non deve essere mai un nemico, ma un alleato o qualcuno da aiutare. Un piccolo virus fa lo sgambetto alla nostra onnipotenza e con questa cadono anche tante sicurezze. Capiamo anche qualcosa che la presunzione non ci faceva vedere: tutto ci riguarda ed è folle credere di poter osservare il mondo intorno da spettatori, come da una bolla di sapone, assistendo indifferenti alle tante sofferenze che colpiscono gli uomini lontano da noi. Poi arriva la malattia e ci scopriamo che siamo tutti uguali e tutti deboli. In questo c’è un’umiliazione dolorosa della nostra vanità, quella che ci ricorda il monito dell’austero simbolo delle ceneri, con cui iniziamo il cammino della Quaresima: “Memento”, “Ricordati che in polvere sei e in polvere ritornerai”.

Non serve a spaventarci un poco per poi riprendere la vita di sempre, perché il cammino della Quaresima ci vuole portare ad una vera consapevolezza di quello che siamo, facendoci accorgere della fragilità, capendo quello che ci è necessario per davvero e quanto Dio ama proprio il poco della nostra vita, tanto che la fa sua e la rende grande e eterna. Noi scappiamo dalla debolezza e ce ne accorgiamo solo quando siamo coinvolti direttamente, quando siamo raggiunti dalla paura e siamo costretti a fermarci, quando non possiamo consumare la vita e dobbiamo viverla com’è per davvero, non come la pornografia della vita ci fa credere.

Un poeta cantava di sentirsi “in una folle corsa e non sappiamo verso dove”, di essere nel buio, “quando il denaro che abbiamo non ci illumina”, “perché nella mia voce non c’è più eco, nei miei occhi è sceso un velo, nel nostro mondo non c’è più cielo” ed invocava “voglio luce e trovo il buio”. Con questo poeta chiediamo “tu dammi la fede persa, l’azzurro in cuore versa” e di azzurro, di acqua buona dell’amore di Dio ne abbiamo tutti, tutti, bisogno vitale. Terminava dicendo: “Io vorrei pregare ma le mie mani non so unire”.

Ecco la Quaresima e anche questo tempo così imprevisto, ci aiutano a ritrovare la fede persa, anche rendendola mediocre e spenta, e ad unire le nostre mani. Abbiamo paura di fermarci perché abbiamo paura di non confrontarci più con noi stessi e con l’onnipotente io ma finalmente con Dio, che conosce le profondità del nostro cuore più di noi stessi e che ci aiuta a capire chi siamo e cosa stiamo a fare in questa terra.

La Quaresima non mette paura ma consapevolezza, anzi, ci libera dalla paura perché aiuta a trovare quello che ci serve e la vera forza che ci protegge. Dio, poi, non castiga e non manda castighi, ma nelle avversità – il male è sempre frutto del male – mostra tutto il suo amore e con le sue mani trafitte prende le nostre mani per aiutarci a pregare, per guidarci nel cammino, per risorgere con Lui. Il Signore non vuole che ci arrendiamo al male o accettiamo il deserto ma lo trasformiamo in un giardino, a cominciare dal nostro cuore. Gesù libera dalla paura, non la mette! Per non avere paura bisogna essere pieni del suo amore.

La Quaresima non é un rito esteriore, anzi esattamente il contrario, ci libera dal vuoto dell’apparenza. E’ un cammino molto personale, interiore eppure che ci spinge verso Dio e verso il prossimo, incontro sempre nuovo e sorprendente. Possiamo pensare che non ci serve farlo, anche perché curiamo spesso solo l’apparenza ed esistono solo le cose che facciamo vedere, esistiamo se facciamo vedere, tanto che a volte pieghiamo ogni fatto a questo. In questi giorni lasciamo perdere l’esteriore per curare quello che è dentro e che conta per davvero, anche per la migliore apparenza che è un volto riconciliato con il cuore. La Quaresima ci serve per cambiare.

A volte non ne sentiamo la necessità, anzi pensiamo che dobbiamo affermare quello che siamo! In realtà è lotta per vivere, per ritrovare noi stessi, per affrontare il male e anelare all’amore pieno e che non finisce di Gesù, per illuminare l’ombra di morte che il peccato proietta sulla nostra vita. E il perdono non possiamo mai darcelo da soli, lo riceviamo da Gesù che libera dal male. Dobbiamo svuotare il nostro io per trovarlo e per riempirlo del suo amore.

Diceva Sant’Agostino: “La nostra vita è una ginnastica del desiderio. Il santo desiderio sarà tanto più efficace quanto più strapperemo le radici della vanità ai nostri desideri. Per essere riempiti bisogna prima svuotarsi. Tu devi essere riempito dal bene, e quindi devi liberarti dal male. Bisogna liberare il vaso da quello che conteneva, anzi occorre pulirlo, magari con fatica e impegno, se occorre, perché sia idoneo a ricevere qualche cosa” (Tratt 4,6). La Quaresima é liberare il nostro cuore da ciò che è vano e ci fa perdere perché il nostro desiderio, cioè la nostra sete di amore, trovi la risposta e non abbiamo paura di amare per davvero e di donare la nostra vita. Questa Quaresima, che ci trova umiliati e confusi, ci aiuti a prendere sul serio Gesù, a guardare con la sua compassione le tante sofferenze del mondo e a sentirla per la nostra vita.

Le opere quaresimali sono sempre quelle, semplici, umili, concrete, per tutti, perché a tutti possibili. Servono per farci trovare, anche se sembrano una rinunzia.  Sono legate tra loro e si praticano assieme e l’una aiuta l’altra. Come in un cammino non capiamo e non vediamo tutto subito, come fa credere la finta rapidità digitale o un cuore ridotto a superficie. C’è bisogno di praticarle per capirle. All’inizio può essere che ci sembra troppo faticoso, che non ne capiamo il senso immediatamente, impazienti come siamo, ma poco alla volta ci daranno cuore e ci restituiscono a noi stessi.

La prima è l’elemosina. Esercitati a regalare gratuitamente (è meglio specificarlo, cioè senza condizioni, senza interesse, senza contabilità, senza ricompensa fosse solo la gratitudine). Dona qualcosa di tuo. Non conta la quantità ma che sia tuo, cioè non il superfluo che non ti chiede nulla. Impara – e non si smette mai di farlo! – a dare in elemosina il cuore, cioè ad amare come sai e puoi, con quello che hai, con tutto te stesso. Dona in elemosina, cioè poco alla volta e ti apparirà il prossimo, proprio perché non lo possiedi ma lo ami. L’amore è sempre un piccolo gesto ma fa sentire importanti. E non c‘è nessuno che sia così povero da non potere dare qualcosa a chi sta peggio di lui.

La seconda è la Preghiera. Entra nella stanza del tuo cuore, chiuditi con Dio, da solo, senza diaframmi cioè senza paura e in piena intimità ascolta Gesù che ti parla e che ti ascolta. Farai fatica all’inizio. I salmi, altre preghiere, i brani della Scrittura che ci accompagnano ogni giorno, ti aiuteranno. Presenta al Signore le tue richieste e presenta anche quelle che ti uniscono a tanta sofferenza degli uomini, ad iniziare da quelle che conosci o che ti è stata affidata. Dalla stanza del tuo cuore, la più profonda e tua che hai, uscirai per andare incontro agli altri. La preghiera ci aiuta a fare silenzio delle nostre tante parole per imparare a parlare, a staccare le connessioni per ascoltare Dio e quindi gli uomini. Forse penserai di perdere tempo: in realtà trovi il senso dei giorni e stando con Gesù impari a stare con te stesso e con il prossimo in modo nuovo, fermando la folle corsa.

La terza è il digiuno. Serve per ricordarti che non di solo pane vive l’uomo, che non sei un consumatore e che sei tu padrone di te stesso e non le abitudini, le dipendenze che non hai il coraggio di chiamare tali o l’istinto. Scopri che “meno è di più” e che ci sono stili di vita che ci cambiano e ci rendono padroni di noi stessi, come la sobrietà. Digiuna anche dai giudizi, dalle parole violente, dal lamentarsi, da quello che divide e che allontana dal Signore e dai fratelli.

E quanto è vero che il digiuno ci aiuta a riscoprire il valore. Non si digiuna un giorno, perché è una disciplina che chiede perseveranza. Se ci priviamo volontariamente di qualcosa non è per disprezzarla ma per scoprirla e sentirne la grazia che questa è. Buon cammino. Aiutiamoci gli uni gli altri, con le parole e l’esempio. E le privazioni di questi giorni, gli appuntamenti cancellati, la mancanza diventino ricerca, riscoperta, opportunità per essere davvero forti perché pieni di Dio e per scoprire dove siamo diretti, la bellezza della nostra vita che Dio vuole piena e che non finisca mai.

26/02/2020
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