Omelia nella S. Messa solenne
di inizio del Ministero pastorale

1. «Benedetto l’uomo che confida nel Signore, e il Signore è la

sua fiducia».

Eminenze, eccellenze, carissimi fedeli: nel momento in cui sto per iniziare

il mio ministero pastorale nella Chiesa di Dio che è in Bologna, la

parola profetica mi conforta e mi sostiene. Chiamato ad essere il centoundicesimo

successore di S. Petronio, come potevo non turbarmi al pensiero di una così grave

responsabilità? Ma la parola profetica appena proclamata ci insegna

che tutta la forza dell’uomo deriva dalla confidenza nel Signore; che

tutta la fecondità del nostro operare trae la sua origine dalla fiducia

in Lui. Iniziando il mio ministero pastorale in mezzo a voi, carissimi fedeli

bolognesi, voglio ancora una volta radicarmi esclusivamente nella fede in Cristo,

nostro Redentore, ed essere in mezzo a voi come Giovanni il Battista. Fissando

lo sguardo su di Lui (cfr Gv 1,35), dirvi sempre e semplicemente: “ecco

l’Agnello di Dio; ecco l’unico Salvatore dell’uomo; ecco

il redentore della dignità dell’uomo: guardate a Lui e sarete

luminosi; assoggettatevi a Lui e sarete liberi; seguite Lui ed avrete la Vita”.

In questo servizio al Vangelo, unica ragione del mio essere fra voi, mi conforta

e mi sostiene il trovarmi non da solo, ma continuamente in comunione con i

miei fratelli nell’Episcopato e con colui che il Signore ha scelto come

successore di Pietro, il Santo Padre Giovanni Paolo II, qui rappresentato da

Sua Ecc. Mons. Paolo Romeo, Nunzio Apostolico in Italia, che ringrazio profondamente

per questo gesto di vera fraternità episcopale.

Al Santo Padre in questo momento va la mia più profonda gratitudine

per tutti i segni di stima e di affetto che mi ha manifestato, il più grande

dei quali reputo l’avermi chiamato a servire la Chiesa petroniana. Va

la nostra più profonda riconoscenza per i segni di particolare attenzione

manifestati nei confronti di questa città di Bologna, da Lui visitata

tre volte.

Al Santo Padre in questo momento va ancora una volta la mia, la vostra – ne

sono sicuro – promessa di piena comunione ed obbedienza al suo magistero

ed alla sua guida pastorale.

Nel mio servizio al Vangelo al popolo bolognese mi conforta e mi sostiene l’essere

stato inserito in una successione apostolica, quella petroniana, splendida

per la grandezza dei pastori che l’hanno costituita. Il mio pensiero

va in questo momento al mio immediato predecessore, il card. Giacomo Biffi,

attraverso le cui mani mi è stata donata la grazia dell’episcopato.

La mia, la nostra gratitudine nei suoi confronti rimarrà imperitura.

Egli ci ha donato una testimonianza di fede, una ricchezza di magistero, un

esempio di affezione alla Chiesa, che non dovremo più dimenticare; di

cui dovremo quotidianamente fare tesoro; a cui dovremo continuamente ispirarci.

Non posso non esprimere tutta la mia venerazione a miei fratelli i due Vescovi

ausiliari, che durante queste settimane con tanta delicata attenzione mi stanno

introducendo nella Comunità petroniana.

2. «Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro

che sono morti». La parola dell’apostolo traccia il programma pastorale

del Vescovo: l’annuncio di Cristo morto e risorto con la parola e con

la vita è il contenuto essenziale del mio servizio in mezzo a voi. Non

ho nulla di più prezioso da donarvi, carissimi bolognesi, che Cristo

crocefisso e risorto; che la possibilità di incontrare la sua persona

vivente nella Chiesa; che la conseguente speranza in una vita eterna.

Durante il rito dell’Ordinazione episcopale sul mio capo è stato

imposto l’Evangeliario aperto. Da quel momento la Chiesa mi ha detto

una volta per sempre che la Parola di Cristo doveva avvolgere e custodire tutto

il mio servizio pastorale, e che la mia vita doveva essere completamente sottomessa

alla Parola evangelica (cfr. Es. Ap. Pastores gregis 28,2), da predicare quotidianamente, “non

cercando di piacere agli uomini, ma a Dio che prova i cuori” [1Tess 2,4b].

Ma il Vescovo non è solo: il servizio al Vangelo è affidato al

Vescovo coadiuvato dal presbiterio [cfr. Decr. Christus Dominus 11,1; EV 1/593

e Es. Ap. Pastores gregis 47]. Carissimi sacerdoti, non posso neppure per un

istante pensare il mio servizio pastorale senza di voi. Fra noi infatti esiste

un’unità che non è in primo luogo di carattere disciplinare,

ma mistico-sacramentale. Conosco il vostro zelo, la vostra costanza nelle tribolazioni,

il vostro eroismo quotidiano noto spesso solo al Signore: sappiate che la casa

del Vescovo è la vostra casa.

Ma consentitemi un pensiero del tutto particolare per chi fra voi esercita il

ministero parrocchiale. “La parrocchia infatti … rimane ancora il

nucleo fondamentale nella vita quotidiana della Diocesi” [Es. ap. Pastores

gregis 45,1], eminente fra tutte le comunità presenti in essa. Le vostre

gioie saranno le mie gioie; le vostre sofferenze le mie sofferenze. Fatemi il

dono di condividerle con voi quotidianamente.

L’altro grande aiuto nel suo servizio al Vangelo il Vescovo lo chiede e

lo attende da voi, sposi e genitori cristiani. è soprattutto nella vita

matrimoniale e famigliare che «la fede cristiana viene fatta penetrare

nella pratica della vita, per trasformarla ogni giorno più. Lì i

coniugi realizzano la loro specifica vocazione ad essere, l’uno per l’altro

e per i figli, testimoni della fede e dell’amore di Cristo» [Cost.

dogm. Lumen gentium 35,3; EV 1/376]. è attraverso i genitori cristiani

che il Vangelo esplica tutta la sua forza educativa, la sua capacità di

generare l’uomo in pienezza di verità e di bene.

Mentre risuonano nella mia coscienza morale con una gravità inesprimibile

le parole dell’Apostolo: «guai a me se non predicassi il Vangelo» [1Cor

9,16], dico a tutti i credenti, senza nessun distinzione: “aiutate il Vescovo

a servire il Vangelo per la redenzione dell’uomo”. A tutti! nessuno,

per nessuna ragione, si senta escluso. Ciascuno, secondo il dono ricevuto dal

medesimo Spirito, è chiamato a cooperare all’annuncio del Vangelo,

ad edificare il corpo di Cristo che è la Chiesa. Diversità di punti

di vista e di esperienze, quando non mettano in questione la dottrina della fede

da credere e da applicare alla vita morale, sono ricchezza per la Chiesa: è nella

loro varietà che risplende soprattutto la bellezza della Chiesa.

Anzi. Esistono valori che ogni uomo ragionevole e di buona volontà condivide

coi discepoli di Cristo. è possibile, è doverosa un’azione

ed un impegno comune per la difesa e la promozione del vero bene della persona

umana, della sua incommensurabile dignità.

3. «Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante:

c’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente…».

La narrazione evangelica in un certo senso sembra descrivere l’esperienza

che ora stiamo vivendo: una grande folla di discepoli del Signore che lo stanno

ascoltando: «beati voi poveri, perché vostro è il regno di

Dio. Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati…».

Risuona l’annuncio evangelico: Dio ha deciso di prendersi cura in Cristo

dell’uomo, di ogni uomo che vive in condizioni di obiettiva povertà. è su

di loro che Dio riversa la sua misericordia. Il Vangelo che il Vescovo è chiamato

ad annunciare è questo: in Cristo, Dio offre la sua salvezza all’uomo

che a causa della sua condizione di povertà, di sofferenza, di abbandono,

di solitudine ha e sente il bisogno di essere redento.

In mezzo a questa “gran moltitudine di gente” intravedo i volti di

alcune persone alle quali soprattutto la Chiesa petroniana è mandata oggi

a predicare la beatitudine evangelica.

Sono in primo luogo i giovani. La loro è una “povertà di

senso”, perché noi adulti abbiamo costruito per loro una dimora

dove le supreme distinzioni fra vero e falso, fra bene e male sono giudicate

insignificanti. E così abbiamo accorciato la misura del loro desiderio;

abbiamo estinto in loro il gusto della libertà. Si posi su ciascuno di

loro quello sguardo pieno di amore con cui Cristo ha guardato il giovane del

Vangelo (cfr Mc 10,21); sentano attraverso la nostra vicinanza l’invito

di Cristo: «venite e vedete», così che possano dimorare presso

di lui (cfr Gv 1,39).

Sono gli sposi. La loro è una “povertà di amore”, perché il

più profondo desiderio del loro cuore, vivere in una reciproca donazione

definitiva, viene quotidianamente smentito dalla fragilità di una libertà incapace

di amare. Sia donato a loro il “Vangelo del matrimonio”, la buona

notizia che l’uomo e la donna, incontrando Cristo, sono resi capaci di

costruire una vera comunione coniugale.

Sono le persone che vivono nella solitudine l’autunno della loro vita.

La loro è una “povertà di speranza”, perché sono

continuamente insidiate dalla tentazione di pensare che la loro vita è inutile.

La nostra vicinanza a loro, la condivisione della loro sofferenza, l’aiuto

alla loro povertà faccia sperimentare al loro cuore la certezza suprema

del Vangelo: si può sempre riprendere a vivere, perché Cristo è risorto.

Sono le persone venute da lontano per cercare lavoro e dignità. Esse possono

soffrire una “povertà di riconoscimento”. La Chiesa bolognese

continuerà nei loro confronti la sua opera di accoglienza e di carità operosa

avvalorando e sviluppando quanto già sta facendo, profondamente consapevole

del vincolo d’amore che lega i poveri a Cristo e ai suoi discepoli. Dai

discepoli del Signore, essi hanno il diritto di ricevere il Vangelo della carità;

di ricevere la conoscenza di Cristo, “nel quale crediamo che tutta l’umanità può trovare,

in una pienezza insospettabile, tutto ciò che cerca su Dio, sull’uomo

e sul suo destino” [Lett. Enc. Redemptoris missio 8,3; EE 8/1051].

Vi prego, fratelli e sorelle. Sacerdoti, religiose e religiosi, fedeli laici

tutti: aiutatemi a servire la dignità dell’uomo annunciando il Vangelo

delle beatitudini. Annunciando il Vangelo delle beatitudini ai poveri di senso,

ai poveri di amore, ai poveri di speranza, ai poveri di riconoscimento.

Questa città, questa Chiesa ha un legame speciale colla Madre di Dio,

venerata sotto il titolo di Madonna di S. Luca. Il portico che ci conduce al

suo Santuario sembra essere un cordone ombelicale attraverso cui la Madre di

Dio nutre questa città nella vita soprannaturale.

L’umile successore di S. Petronio si affida a Lei; affida a Lei i nostri

sacerdoti, ad uno ad uno; affida a Lei ciascuno di voi.

S. Madre di Dio, ti apparteniamo: rendici degni delle promesse di Cristo.

15/02/2004
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