È una gioia per tutti noi ritrovarci attorno a Maria, nella sua casa, quella che abita. Lei ci insegna ad abitare le nostre comunità come case e non come aziende, club o consultori. Ci siamo fatti preti per una famiglia, per amore di Gesù che ci genera a fratelli, non per altro! E oggi io ringrazio del dono di esserlo con voi ricordando la mia ordinazione presbiterale, 43 anni or sono. Ringrazio e chiedo perdono. In genere si usa farlo – giustamente – nel testamento, in quel riassunto sempre misero della nostra vita che lasciamo a chi continua a camminare e che scriviamo mettendoci – anche questo dobbiamo farlo spesso – davanti al giudizio di Dio. Penso sia utile anticipare quelle parole, dirci oggi che ci vogliamo bene negli infiniti e non stucchevoli o appiccicosi modi dell’amore fraterno. E anche chiedere perdono, per riconciliarci, per mettere da parte, se c’è, quello che divide e per non far crescere le pericolose e paralizzanti radici di amarezza, che inaridiscono il cuore. Chiedo perdono, che non è mai approfittarsi della misericordia, davanti a un Dio che giudica ma del quale non sappiamo sentire l’amore. Dio giudica e difende, giudica e salva. Questo libera dalla paura, perché non si ama per paura ma per timore. La paura è dei servi, riempie solo di tante inutili ossessioni; il timore è dei figli, inizio dell’amore perché ci preoccupa rattristare e perdere l’amato.
Contempliamo oggi l’Arca della nuova alleanza. Dio abita in una Madre, questa Madre che è la Chiesa. Maria ci aiuta a riconoscere l’immagine di Dio nascosta nell’umano, cioè in ogni persona. Quando questo avviene, quando i nostri occhi, il nostro cuore, la nostra mente riconoscono il bello che è nel prossimo, cambia il nostro sguardo e ogni incontro diventa occasione di amore infinito, che ci supera e va oltre noi. Maria continua a generare Cristo nella nostra fragilità. È alleanza non dei forti e dei puri, ma dei deboli e dei peccatori. La Chiesa è trionfante perché amica della povertà, è maestra perché Madre e perché ci dona Gesù, l’alleanza nuova ed eterna che nella precarietà, a volte angosciante della nostra vita, dona sicurezza vera e orientamento, protezione e speranza. Ma anche le nostre comunità, sempre con la loro concreta umanità, sono “arca” nella quale la Parola di Dio prende carne. Il vangelo di Luca ci racconta che quest’arca, come quella di David, si mette in movimento per raggiungere Elisabetta, quella sua lontana parente che tutti dicevano sterile e che invece donava vita. Questo avviene anche per noi e per la nostra sterilità, che sperimentiamo con sofferenza profondissima. Ma niente è impossibile a Dio e niente è impossibile agli uomini quando sono pieni del suo Spirito, quando si aprono alla grazia che cambia i cuori, che fa nascere di nuovo quello che è vecchio, perché Dio è sempre tanto più grande del nostro cuore. Allarghiamo il cuore e non limitiamo Dio!
Maria in fretta attraversa la montagna. L’amore mette in movimento e le cose di Dio meritano sempre fretta, come per i due discepoli di Emmaus, come l’amore che ci fa uscire da noi per andare incontro all’amato o, pieni dell’amato, ci spinge ad incontrare il prossimo. L’amore libera dal sottile (qualche volta greve) scetticismo pratico, dalla paura che paralizza e rende tutto difficile e pesante, ma anche dall’irresolutezza che finisce per farci vivere alla giornata, sballottati da quello che avviene e prigionieri dell’istinto che diventa la nostra verità. L’incontro fa sussultare la vita in lei. Come notò Papa Benedetto XVI, il termine è lo stesso usato per descrivere la danza del Re Davide davanti all’arca santa, tornata finalmente in patria (2Sam 6,16). Maria è la nuova arca dell’alleanza e Gesù è la nostra alleanza, che ci libera dalla condanna della solitudine, dall’orgoglioso e triste poter contare solo su noi stessi.
In questo giorno così speciale per noi troviamo una Madre e una casa. Oggi capiamo come la nostra vita è quella di Giovanni, che prende con sé questa madre e con essa i tanti suoi figli, nostri fratelli. Siamo figli e abbiamo tanti fratelli. L’alleanza con Gesù è la grazia della nostra vita, che ci ha strappato da una vita per noi stessi e che ci dona il centuplo, quello che capiamo – e come! – quando ascoltiamo e mettiamo in pratica la parola, e che si rivela sempre sorprendentemente nelle varie stagioni personali e in quelle del mondo. Siamo suoi con il ministero dell’Ordine che ci rende partecipi dell’amore sponsale di Gesù. Amiamo questa Madre che ci unisce, che abbiamo preso con noi – ma anche lei ci prende con sé – alla quale apparteniamo, per la quale vale la pena perdere tutto. È venuta a trovarci per ricordarci di non lasciare nessuno solo, di portare la presenza buona di Gesù ovunque, con la nostra vita. Maria, la prima credente, ci aiuti a lasciarci illuminare dal sole di giustizia che libera dall’ombra di morte e guarisce tutte le nostre ferite, durezze, incomprensioni, resistenze. Sentiamo la dolcezza di una Madre, che scioglie le incrostazioni dei cuori, fa sentire semplicemente amati, rassicurati, e che ci fa capire quello che siamo: figli e fratelli. E le due cose sono unite per i cristiani. Non siamo figli se non siamo fratelli! Come si può dire di amare la Madre e poi offendere i fratelli, dividersi o trattarli con sufficienza ed estraneità, guardando con malevolenza, che spesso è un automatismo che fa cercare solo la pagliuzza, imponendo le nostre ossessioni che finiscono per non conoscere tanta umanissima bellezza? Siamo fratelli tra noi, certo, ma perché lo siamo con tutti. E anche questo è unito. Siamo più fratelli tra noi quando lo siamo con il nostro prossimo e siamo più vicini al nostro prossimo quando siamo uniti nel presbiterio. E i fratelli ci aiutano, arricchiscono, edificano. Proprio per questo rileggo con voi due espressioni che ieri, sempre davanti a Maria, mi hanno colpito, confermato, consolato. Don Duilio, che proprio ieri sera abbiamo affidato al Signore della vita, poche settimane fa, nel momento più difficile della sua vita, segnato da quel tumore che lo ha ucciso, scriveva alla sua comunità che proprio in un momento così duro vedeva le ragioni della gioia. Ha scritto: “Ilsenso della gioia cristiana è che non si promette la felicità ai poveri e ai malati perché cesseranno di esserlo, o agli affamati perché arriverà qualcuno con un pasto caldo. La felicità che si promette è quella per cui le ragioni della gioia sono più forti di quelle della tristezza. Non si tratta della stessa situazione di benessere che dà la morfina o il riposo. È incredibile quanto amore gira per il mondo, senza che noi, superficiali, lo percepiamo; quanta gente ci vuole bene senza che noi neanche ce ne accorgiamo, e in quanti posti la nostra parola può germinare amore senza che noi lo veniamo a sapere. In amore dobbiamo preoccuparci più di amare che di essere amati: avere sempre un’anima giovane e perciò sempre aperta al Dio della pace e del perdono. E, soprattutto, non decidere di morire mentre siamo ancora vivi. Una religiosità che schiaccia l’anima o la attanaglia, non può essere quella vera perché Dio o è il Dio della vita o è un idolo. Anche se in modo sobrio, oggi questa domanda me la pongo quotidianamente: è meglio vivere qualche anno in più con la marcia ridotta? O l’ideale è vivere senza chiedersi quanti anni durerà la corsa?”. Ecco, il nostro servizio presbiterale raccoglie le attese, le gioie, le sofferenze di tutti. Ci facciamo, semplicemente e con simpatia, fratelli di molti in un mondo segnato da tanta solitudine e ci accorgiamo di tante sofferenze. La prima verità che dobbiamo comunicare è l’amore e amore e verità si nutrono a vicenda, non sono mai disgiunti.
Ieri, nella bellissima benedizione alla città, ho ascoltato queste parole, che esprimevano tante sofferenze e richieste che ci sono affidate, che mi hanno commosso e che ho sentito come mie, nostre, e mi hanno ricordato quello che ci è chiesto di fare con il nostro servizio: aiutare questa Madre a raccoglierle, far conoscere il contenuto dell’Arca parlando di Gesù e costruendo comunità domestiche, familiari.
“Accompagna questi nostri piccoli nel loro percorso difficile, fa’ che siamo circondati di amici e persone care e che le ferite dell’oggi si trasformino in semi di bene e possano sentire la presenza amica di Gesù, tuo figlio, in ogni passo della loro vita”. Regina della pioggia, fa’ piovere il tuo pianto sui cuori deserti dei potenti, sugli sguardi malvagi e indifferenti, spegni l’incendio della guerra sulla Terra Santa e solo la croce di salvezza sfolgori in quella luce mediorientale. Ferma la guerra tra la Russia e l’Ucraina, sorelle nello scrigno del tuo cuore, perché la neve, che è il tuo manto, faccia pace in quella terra al tuo comando. Ferma la guerra che insanguina il mare e lascia attonito il cielo, manda i tuoi angeli veloci a salvare chi scivola nell’acqua prima che tocchi il fondale perché tutti i naufraghi siano strappati dal gelo e riportati al tuo tepore. Ferma la guerra trasparente di chi muore per lavoro. Spegni la cattiveria degli umani e dacci una scintilla di calore, la fiamma, che non consuma, del tuo amore”.
Ecco il dono della fraternità tra noi e delle nostre comunità con le quali pensarsi e per le quali vivere. Ecco cosa serviamo e per cui vale la pena perdere la nostra vita amando e custodendo quest’Arca dell’alleanza, della quale siamo figli e fratelli, tra di noi e con le nostre comunità.