omelia per la solennità di san petronio

Bologna, Basilica di San Petronio

Tra i santi del Paradiso – “una moltitudine immensa, che nessuno può contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua”, ci informa il libro dell’Apocalisse (cf Ap 7,9) – Petronio è quello che sentiamo più vicino, più amico, più nostro. A lui i nostri padri hanno affidato le sorti di questa città e di tutto il popolo bolognese. A lui ci è naturale rivolgerci perchÈ col suo esempio e col suo insegnamento ci aiuti nelle difficoltà dei giorni presenti.
Egli è – del resto – un esperto di tempi difficili. Il suo lungo episcopato si colloca in uno dei periodi più inquieti e torbidi della storia. Egli ha dovuto fare i conti con una società e un’organizzazione statale in preda a un’acutissima crisi, anzi sull’orlo della dissoluzione.

La romanità era agonizzante. L’autorità imperiale quanto più si faceva debole tanto più imperversava con una burocrazia esosa e invadente, tanto più infieriva sui cittadini con un fisco sempre più avido, e inesorabile.
La vita politica era ridotta a lotte personalistiche, di puro potere, sicchÈ il governo di rado era in grado di intervenire efficacemente, e proprio mentre le frontiere non riuscivano più ad arginare l’afflusso di genti diverse ed estranee che ritenevano di avere il diritto di invasione.
Come spesso càpita, allo sfacelo esteriore si accompagnava il dilatarsi della corruzione, dell’immoralità, delle feste sfrenate, delle più assurde pratiche rituali, magiche e divinatorie. Ne troviamo testimonianza nella contemporanea predicazione che san Pietro Crisologo rivolgeva alla vicina Ravenna, divenuta da pochi decenni sede imperiale.
Bisogna riconoscere – anche se qualcuno potrebbe avere qualche dubbio in proposito – che a quel tempo stavano peggio di noi.

In tanto buio, la sola ragione di speranza era il Vangelo di Cristo, il solo convincente riferimento era la realtà vivace, forte, luminosa di verità della Chiesa Cattolica. E così Petronio – apostolo persuasivo del Signore Gesù e pastore energico della Chiesa – è apparso come un presagio di salvezza alle genti bolognesi, che non l’hanno più dimenticato.
Ai nostri giorni abbiamo bisogno anche noi – e non solo noi bolognesi, ma noi italiani tutti e tutti gli uomini del nostro tempo – di essere illuminati, sorretti e rianimati. Perciò ci rivolgiamo a questo nostro antico Patrono con affetto di figli e vogliamo metterci in ascolto del suo magistero.
Che cosa ci dice san Petronio in questa travagliata e problematica fine del secondo millennio?
Prima e più di ogni altra cosa egli ci esorta a restare fedeli alla croce di Cristo, al nostro battesimo, alla fede dei padri, senza lasciarci incantare da esotiche lusinghe, senza cedere alla facile tentazione di immaginarci noi un Dio a nostro piacimento e senza crearci una religione a nostro comodo.

La parola di Dio – che resta sempre viva e inquietante anche se talvolta viene censurata su qualche punto – ci ammonisce di guardarci seriamente dalla sciagura di abbandonare Cristo e la sua verità. Se nell’antico Israele era comminata la morte a chi violava la legge di Mosè, “di quanto maggior castigo – così si esprime la lettera agli Ebrei – allora pensate che sarà ritenuto degno chi avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano quel sangue dell’alleanza dal quale è stato un giorno santificato e avrà disprezzato lo Spirito della grazia?…E’ terribile cadere nelle mani del Dio vivente!” (cf Eb 10,28-31).
Ma questa volta san Petronio attraverso la voce del suo successore vuol ricordarci anche l’inderogabilità dei princìpi morali, che urgono e valgono sempre, pur nella bella confusione che oggi annebbia le menti, le coscienze, le leggi.
C’è nell’uomo qualcosa che in nessuna epoca, in nessuna cultura, in nessuna circostanza può essere respinto o vulnerato senza che l’uomo stesso si degradi e si snaturi. Senza dubbio, i princìpi morali, incarnandosi nella storia, si commisurano alle mutevoli situazioni, si sviluppano e si approfondiscono; però senza perdere mai di attualità e di vigore, e in ogni caso senza mai contraddire se stessi.

Certo, chi non ha lucida e viva la certezza di un Dio trascendente, che è Padre, è la fonte unica dell’essere ed è la norma suprema dell’agire; o chi – accogliendola teoricamente – non la rende operativa nel contesto della vicenda umana, incontra molte difficoltà a riconoscere l’esistenza di valori assoluti e di leggi etiche non volubili. Per lui è troppo forte l’inclinazione di ammettere come unico criterio di valutazione il tornaconto e il gradimento dell’uomo; e quindi di avere una morale cangiante a seconda delle propensioni, delle mode, delle mentalità dominanti.
Ma allora ondeggiano e alla fine svaniscono i confini certi tra il bene e il male, tra la libertà e l’arbitrio, tra il diritto e il sopruso.

Ed è precisamente lo spettacolo che ci viene offerto frequentemente ai nostri giorni. Ciò che ieri veniva ritenuto virtù, è troppo spesso oggetto di incomprensione, di ironia, di spregio.
Ma allora è plausibile che quanto oggi è decantato come onorevole e degno di apprezzamento, domani sia forse irriso e compatito. In questa invalicabile provvisorietà e insicurezza, chi salverà i figli di Adamo dal loro sempre rinascente egoismo? In nome di quali ideali potremo arrestare la decadenza di questa società e prepararne una progressiva rinascita, se tutto è relativo, tutto è mutevole, anche i criteri del giusto e dell’ingiusto?
San Petronio ci risponde: ritornate al Vangelo di Cristo, che non cambia e non tramonta, riscoprite la fierezza e la gioia di appartenere alla Chiesa, che, come dice la Sacra Scrittura, è “colonna e sostegno della verità” (1 Tm 3,15).

I discepoli di Gesù, membri consapevoli della Chiesa, credono in un Dio non lontano e distratto, ma amico appassionato degli uomini, ai quali Egli è venuto incontro tracciando nel loro essere e nel loro cuore – con una legge immutabile di comportamento (che corrisponde ai Dieci Comandamenti) – la via del loro progresso sostanziale e non illusorio, della loro pace e, alla fine, della loro felicità.
Ci aiuti tutti San Petronio a riconoscere ancora e a onorare quelle fondamentali regole del gioco della vita, iscritte in ogni coscienza non ancora frastornata da una cultura che si immagina di essere evoluta ed è solo aberrante.
Chi sventuratamente le viola, può sempre sperare, se si pente, nel perdono di Dio. Ma chi le rifiuta o peggio le irride, da chi mai potrà aspettare salvezza?

04/10/1998
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