Omelia per l’ordinazione di fra Emanuele Maria Meloni, Ofm

Quanto è vero che le gioie condivise sono più abbondanti per tutti! Spesso, invece, cerchiamo solo la gioia individuale (ma perché?), cerchiamo di stare bene noi, e non di far stare bene gli altri che è l’unico modo sicuro per essere contenti.  È una gioia accompagnare con la preghiera e il ringraziamento Emanuele Maria. Hai mamma Anna Maria, ma trovi una madre, la Chiesa, con tanti parenti, tutti adottati e generati dall’amore, perché la Chiesa, la famiglia di Dio, ci fa trovare – se però lasciamo qualcosa prima – cento volte tanto. Nella Chiesa le gioie e i dolori sono condivisi. Dovrebbero, se l’individualismo non riduce l’amarci gli uni gli altri ad un’indicazione generica e senza concretezza. È un corpo e tanti servizi, tutti importanti. Il presbitero si pensa interamente per la comunità, per la quale dona tutto se stesso. Che senso avrebbe un presbitero da solo? Che cos’è un pastore senza il gregge?
La Chiesa è comunione, che vuol dire amarsi tanto da pensarsi insieme, gli uni per gli altri, scoprendo, amandoci, che siamo, infatti, proprio gli uni per gli altri e abbiamo tanto bisogno degli altri per essere noi stessi. A proposito dell’abbraccio, che ritornerà spesso perché è un po’ il tuo stemma, ricordo che è solo con l‘abbraccio che siamo interi, come scriveva qualcuno. Nell’abbraccio diventiamo una cosa sola, se è di quelli belli, stretti, non formali: siamo sempre due ma siamo uno. Nell’abbraccio, poi, non si sa più chi abbraccia e chi è abbracciato! Diventiamo uguali! La casa di Dio è quella dell’abbraccio, come Emanuele Maria ha voluto raffigurare nel ricordo di questo giorno. Qualcuno pensa che questo sia un torto al fratello maggiore, che soffre perché sente la sua giustizia inutile e pensa che il Padre sia ingiusto o poco avveduto. Giusta è la misericordia, la vita che rinasce, l’amore che riveste di dignità e di futuro. Per questo abbraccia sempre, perché anche se sembra che non cambi niente trasmette amore e attenzione che generano sempre vita. La psicologia può aiutare, ma quello che cambia la vita è l’abbraccio di un padre e di un fratello. Anche il fratello maggiore deve imparare ad abbracciare come fa il padre e a farsi abbracciare da lui e dal fratello. La comunione è proprio amare e servire questa circolarità. Il presbitero la presiede, ad iniziare dall’immagine completa della nostra comunione, quella intorno alla mensa di Gesù, dove oggi siamo chiamati a vivere quella pienezza di amore che passa sempre attraverso le nostre umanità, ma che sarà compiuta in cielo. Presiedere significa servire perché, come sappiamo, in questa famiglia grande non è chi si fa servire ma chi serve.
È proprio una bellissima famiglia, perché l’unica regola è quella dell’amore, non un amore come viene, ma come ci ama Gesù. Il presbitero per presiedere la comunione deve essere lui il primo a viverla. Dobbiamo viverla, e devi tu per primo, caro Emanuele Maria, viverla portando tutti nel cuore e aiutando tutti ad essere insieme, non spettatori, non possessori, a donare quello che si riceve. È un po’ quello che hai imparato e che ti ha cambiato la vita. Che senso ha tenerselo? È tuo proprio perché lo regali. Abbiamo ricevuto tanto. Troveremo quello che abbiamo donato, niente andrà perduto! Noi, invece, abbiamo paura di non trovare più niente, e poi basta che qualcuno non ringrazi o che le cose non vadano come pensiamo noi che ricominciamo ad accumulare. Siamo proprio degli accumulatori seriali. L’amore dato non è mai perso. Si perde, invece, quello che teniamo per noi! È quanto aveva capito San Francesco, a differenza del padre. E non donare il superfluo (ho l’impressione che siamo diventati talmente egocentrici da essere avari anche di quello di cui non abbiamo bisogno) ma tutto, tutto, diventando povero che più povero non poteva essere ma per diventare così ricco perché a quel punto tutto era suo. Diamo misericordia e troveremo misericordia. Manzoni, in una delle sue perle di saggezza spirituale e umana, scrisse: “Si dovrebbe pensare più a fare bene che a stare bene. E così si finirebbe per stare meglio”. E, ancora, aggiunse: “Fate del bene a quanti più potete e vi seguirà tanto più spesso di incontrare dei visi che vi mettono allegria”. Altrimenti vediamo solo antipatici, estranei o persone che ci sembrano un pericolo e non un’occasione di incontro, un dono. Finiamo per non fidarci più di nessuno. E tu lo sai come si sta male quando si vive così! Attenzione. Lo sappiamo che poi ti può venir incontro il lupo. Ciò spesso giustifica le armi, la paura che rende cattivi e duri.
San Francesco non aveva paura, non perché non si accorgeva che quello era un lupo, ma perché lo amava e l’amore vince la paura, ci fa riconoscere nel nemico il fratello, permette al nemico di smettere di esserlo e di ritrovare l’umanità. Noi non dobbiamo avere paura della vita, che è amare, mentre dobbiamo avere paura della morte e combatterla con tutto noi stessi con l’unica arma capace di vincerla, di combattere il male ultimo con l’unica arma capace di vincerlo: l’amore. Noi non dobbiamo avere paura di scegliere. Se uno pensa a sé, al suo essere, sente immediatamente l‘inadeguatezza, misura la personale debolezza. Ricordati sempre di aprire la porta, perché Dio non costringe nessuno e vuole che la nostra scelta sia quella che corrisponde alla nostra vita. Ma se non scegliamo, se facciamo i giocherelloni a vita, se pensiamo che scegliere significhi precludersi altre possibilità invece che averle tutte, trovare e non perdere, restiamo soli a guardarci allo specchio, a rincorrere le nostre prestazioni, a dover sempre dimostrare quello che siamo. La scelta di Emanuele aiuti tutti a scegliere di donare, di essere obbedienti alla Parola che è l’amore di Gesù, a essere povero perché madonna povertà ci fa trovare quello che siamo per davvero, ci affranca dalle tante compulsioni inutili che riempono il nostro cuore, i tanti cookie che poi ci rendono prigionieri di quello che noi non siamo. Lasciati abbracciare, abbraccia, incontra sempre le sofferenze, quelle della psiche, così invisibili eppure così vere, chi non è padrone di sé ed è finito prigioniero di tanti credendo di essere libero. Ricordati che qualche volta non si sa più abbracciare e, quindi, c’è bisogno di qualcuno che mi aiuti a reimpararlo.  Vivi il tuo amore per il prossimo, in una generazione che sa così poco amare perché non vuole bene e confonde amore per possesso, vita per successo, capacità con prestazione. Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno e tu sii il primo a farlo. Non avere paura dell’umano. In questo cerca e trova sempre il riflesso di Dio. Aiuta tanti che cercano Dio, a vederlo. Gareggiate nello stimarvi a vicenda, liberati dai confronti e dai paragoni, che riempiono solo le classifiche, invece di trovare il dono che è ognuno. Ti rivolgo un ultimo invito: Sii te stesso e insegna a tutti con la tua vita ad essere lieti nella speranza.
La speranza, lo sappiamo, non delude. Anzi, libera dalle delusioni non perché vediamo subito il frutto, come vorremmo nella pigrizia e nella disillusione. La speranza vede oggi quello che ancora non c’è e affronta, proprio perché vede, la fatica, il sacrificio, il lavoro, le difficoltà, perché sa che quel seme darà frutto. Benedici tutti, anche coloro che ti perseguitano, non perché non te la prendi ma perché non ti fai attaccare il male. Volgiti sempre a ciò che è umile perché solo questo permette di fare cose grandi. Ci ama per davvero. Altrimenti finiamo come il figlio maggiore. Si ama e poi si capisce il dovere! Ti aiutino Maria e San Francesco. Maria è la donna della speranza. Spera e si affida. Beata Colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore Le ha detto. Canta con Lei la vita, aiutando chi non lo sa fare perché non trova più l’amore dentro di sé, chi è finito prigioniero delle dipendenze, e sappiamo che per spezzare quei legami c’è bisogno di tanto amore. Canta come Maria la bellezza della comunità, di essere insieme, di non chiudersi in un amore limitato e possessivo. Canta l’amore gratuito che resta per sempre. Canta l’amore che      rende dolce ciò che è amaro. Dolcezza di animo e di corpo. “Com’era ardente l’amore fraterno dei nuovi discepoli di Cristo! Quanto era forte in essi l’amore per la loro famiglia religiosa! Ogni volta che in qualche luogo o per strada, come poteva accadere, si incontravano, era una vera esplosione del loro affetto spirituale, il solo amore che sopra ogni altro amore è fonte di vera carità fraterna. Ed erano casti abbracci, delicati sentimenti, santi baci, dolci colloqui; modesto il sorriso, lieto l’aspetto, l’occhio semplice, l’animo umile, il parlare cortese, gentili le risposte, identico l’ideale, pronto ossequio e instancabile reciproco servizio. Avendo disprezzato tutte le cose terrene ed essendo immuni da qualsiasi amore egoistico, dal momento che riversavano tutto l’affetto del cuore in seno alla comunità, cercavano con tutto l’impegno di donare perfino se stessi per venire incontro alle necessità dei fratelli. Erano felici quando potevano riunirsi, più felici quando stavano insieme; era invece penosa per tutti la separazione, amaro il distacco, doloroso il momento dell’addio” (Fonti Francescane n. 387).
Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura - Roma
31/05/2025
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