Ordinazioni presbiterali

Oggi contempliamo con gioia la bellezza della Chiesa, la luce della presenza di Dio e la forza del suo amore. L’immagine che avete voluto ci accompagnasse in questa celebrazione la vediamo realizzarsi con i nostri e vostri volti. Non smettiamo di stupirci di come il nostro Dio continui a scegliere l’umanità concreta, debole, contraddittoria, segnata dal peccato come è la nostra ed affida tutto se stesso alla nostra fragilità. I farisei si scandalizzano di questo. Essi continuano a vivere nella nostra tentazione di pensare che il male sia fuori di noi e bisogna proteggersi dagli altri o che basti curare le apparenze, fossero i profili o l’esteriorità dell’esibizione di sé. Siamo come i farisei quando ci accontentiamo di un amore retributivo o pensiamo Dio come un giudice da rispettare, dimenticando che è soprattutto un padre da amare. Dio rende il grembo di una donna la sua arca, non ha paura di contaminarsi con la vita così com’è proprio perché fosse santa, per manifestarsi in Cristo e farci scoprire la sua immagine nascosta in ognuno, quella fonte di amore che può sgorgare dal nostro grembo e che è quanto abbiamo di più personale.  Solo un innamorato può fare questo, amare sino alla fine, rinnegare se stesso perché tutti possiamo essere Lui. Dio, senza tempo e senza spazio, entra nel nostro tempo e nello spazio, imprevedibile e profano come il nostro, scende con l’imposizione delle mani, per donarci quello che non finisce. Questo a volte ci sgomenta. Dio non si banalizza? Non si perde o si rovina a contatto con la nostra povertà? Infatti quando capiamo chi siamo senza gonfiarsi di orgoglio, proviamo timore misurando con vertigine da una parte la nostra debolezza e dall’altra l’infinito. Il timore non diventa paura ma gioia di sapersi amati, di accogliere nella nostra creta il suo tesoro, di essere suoi, di affidarsi a un Padre che cammina con noi, che non giudica ma ama, che ci rende santi non impartendo ordini ma amandoci per primo. Gesù si abbassa per innalzarci, come un padre che si china perché il figlio possa aggrapparsi al suo collo. Egli tende le mani verso di noi perché le possiamo afferrare ed essere sollevati, come sarà anche nell’ultimo salto, misterioso, che tanto ci turba, che è la morte. Lui si abbassa per primo. Non dice agli altri di farlo mentre Lui rimane dritto! Lui non lascia la fede senza le opere, riducendola a esortazione e Gesù è l’opera stessa di Dio! L’amore ha senso solo se si dona e lo capiamo solo quando iniziamo a farlo, perché non è una formula e ha bisogno della vita vera. Diceva San Gregorio Magno: “Occorre piegare la schiena e abbassarsi umilmente per andare incontro ai bisogni del prossimo, se si vuole stare diritti”.
Gesù non salva se stesso, non evita la croce, il dolore, la sconfitta, l’irrisione, il sacrificio per il prossimo. Non è certo una felicità a poco prezzo! Certo, non ama la sofferenza, ma come chi ama per davvero, non scappa e la affronta ma per sconfiggerla. Non scende dalla croce come gli grideranno schernendolo i passanti. Che amore sarebbe se per salvarmi tradisco l’amore stesso, come gli propone Pietro, con tanta sicurezza? Chi ama non può lasciare l’amato. Alda Merini diceva che solo abbracciando l’altro l’uomo diventa intero, cioè se stesso. Anche noi come Pietro ci scandalizziamo facilmente della debolezza di Dio la cui forza è quella dell’amore e non del potere, dell’essere e non dell’avere, della misericordia e non del giudizio, dell’umiltà e non dell’arroganza. Il vero scandalo, in realtà, è l’uomo che si fa Dio, che condanna, che finisce per diventare lupo per gli altri e per se stesso, che alza le mani e uccide anche con le parole o lascia solo con l’indifferenza il suo fratello e quindi rimane solo! Il vero scandalo è non sapere più piangere davanti al dolore degli altri, talmente presi dall’idolo del benessere, tanto che finiamo per essere infastiditi da tutto, incapaci di soffrire per qualcuno. Il vero scandalo è quando pensiamo sia la stessa cosa salvare una vita o perderla, perché tanto non mi riguarda e non mi interessa salvarla.
Ecco la nostra vocazione: seguire non una promessa ma il Cristo che la realizza. Non una ricetta facile di benessere, ma un amore vero che cerca la pienezza. Oggi celebriamo la vostra vocazione, il vostro dire con Pietro: Tu sei il Cristo, il senso di tutta la mia vita, che me la fa scoprire nella sua bellezza. Tu sei la mia gioia, per te, come l’amato, perdo tutto perché ho trovato tutto. E, come quando si ama per davvero vogliamo sia per sempre. Voi ci aiutate a ringraziare per la vocazione che ognuno di noi ha, ci ricordate che tutti siamo chiamati, ci regalate la gioia di scoprirla, di non tenerla nascosta, di scegliere. Siamo chiamati in diverse ore del nostro giorno a metterci a lavorare nella vigna, ma ricevendo tutti sempre l’unica moneta (e non c’è nessuna invidia ma solo la gioiosa consapevolezza di essere stati presi tutti a giornata e strappati dal non fare niente) dell’amore di Dio, di questa festa di amore e dono. Avete storie diverse, per età, esperienza, sensibilità. Chi vi conosce sa bene come eravate e come siete cambiati, diventando davvero voi stessi perché avete capito quel progetto “unico e irripetibile” che Dio ha voluto per voi, qual è la vostra missione su questa terra. Papa Francesco si augura: (GE, 24) “Voglia il Cielo che tu possa riconoscere qual è quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita. Lasciati trasformare, lasciati rinnovare dallo Spirito, affinché ciò sia possibile, e così la tua preziosa missione non andrà perduta”.
Amate questa famiglia e rendetela tale con la vostra amabilità, coltivando la relazione, senza arroganza, servendola e non servendosene, servendo tutti con generosità ma anche facendovi sempre aiutare, gioiosi nell’umiltà ma forti di un amore che non si piega agli idoli di questo mondo. Siate poveri per essere ricchi e prodighi di amore. Che strano: se siamo poveri abbiamo tanto da dare! La povertà significa donare gratuitamente, come solo chi è povero sa fare, perché c’è più gioia nel dare che nel ricevere. Così troviamo il cento volte tanto che nessuno potrà toglierci. Siate poveri per amare senza interessi in un mondo che calcola tutto; iniziate sempre da quelli che vi devono essere i più cari, i poveri, perché sono i fratelli più piccoli affidati a voi. Siate poveri per fare la vera uguaglianza, senza distinzioni di persona. Siate casti, conservate un cuore puro capace di cercare il bello che c’è in ognuno, di guardare con onore, simpatia e interesse l’altro puri della cupidigia, senza farne mai un possesso, solo per amore, come Gesù. Siate casti e curate sempre la comunione con tutti, amore circolare dove tutto ciò che è mio è tuo, tessendo trame di fraternità e conoscenza che permettono a tutti di capire e a noi di essere capiti. Siate obbedienti, perché la libertà è essere legati a Cristo, iniziando dallo stare con Lui nella preghiera e nell’ascolto personale della Parola, perché il vostro cuore sia ardente e non tiepido. Siate in intimità con Lui adorando la sua presenza e allo stesso modo il corpo della sua famiglia, liberi dalla solitudine e dall’individualismo, forti perché fedeli. Siate obbedienti perché sappiamo che la missione che vi è affidata non è troppo alta o difficile e il Signore non farà mai mancare la forza, il fratello, la sua presenza.
“Sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soffre e sa ridere con loro”, si descriveva don Camillo. Me lo auguro per voi. A Don Camillo, che a volte, come succede anche a noi, gli sembrava inutile lo sforzo, il crocifisso ricordava: “Cosa fai? Hai dimenticato che la vera forza dei sacerdoti di Dio è l’umiltà?”  e gli chiedeva: “Don Camillo, perché tanto pessimismo? Il mio sacrificio sarebbe stato inutile? La luce esiste anche in un mondo di ciechi”. E’ vero: per amore la croce non sarà mai così pesante da non poterla prendere e prenderla ci sarà caro e ci inizia a fare vedere la luce della vita più forte del male. Rinneghiamo l’orgoglio per trovare l’amore che unisce e da gioia. Pregava così Thomas Merton di cui questo anno ricorre 50 anni dalla morte: “Signore Gesù, che hai creato con amore, sei nato con amore, hai operato con amore, sei stato onorato con amore, hai sofferto con amore, sei morto con amore, sei risorto con amore, io ti ringrazio per il tuo amore per me e per il resto del mondo, e ogni giorno ti chiedo: insegna anche a me ad amare. Amen”. Che sia così anche per voi e per noi tutti. Perché questo il mondo cerca e questo ci salva.

22/09/2018
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