pasqua degli universitari

Bologna, Cattedrale

“In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola non vedrà mai la morte” (Gv 8,51). E’ la prima parola che oggi abbiamo raccolto dalle labbra di Gesù, e francamente è una parola sconcertante. Egli si è forse per un momento illuso che i suoi discepoli sarebbero sfuggiti alla sorte di tutti i figli di Adamo? Ma se non si illudeva neppure sulla sua prossima fine! Tanto da preannunciare ripetutamente di sé che “doveva essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, e poi venire ucciso” (cfr. Mc 1,31).

E’ dunque una parola sconcertante; proprio per questo domanda una nostra speciale attenzione. Senza dubbio è una frase paradossale; ma spesso le frasi paradossali di Cristo si rivelano a un esame ravvicinato tra le più rilevanti e ricche di insegnamenti decisivi.

Che cosa di importante con questa espressione vuole comunicarci il Signore? In primo luogo e preliminarmente, ci richiama il pensiero della morte, da cui noi come d’istinto rifuggiamo.

La morte – la nostra concreta morte personale – è un argomento da cui siamo abitualmente distolti per una specie di censura esercitata su di noi dalla cultura dominante. Ma tale atteggiamento repressivo non è né logico né encomiabile: non è segno di grande avvedutezza chiudere gli occhi su un evento certo e non puramente ipotetico, col quale si dovrà tutti per forza fare i conti.

Nei confronti di quell’evento oscuro e incombente i superuomini ostentano imperturbabilità, quasi indifferenza, se non addirittura spavalderia. Ma ai superuomini Gesù non si rivolge mai: essendo pieni di sé, in loro non riesce a trovare posto né l’azione riscattatrice del Salvatore né il suo insegnamento di verità. Egli si rivolge ai “piccoli” (cfr. Mt 11,25): cioè a tutti coloro che sono autenticamente uomini, i quali davanti al pensiero della morte non si vergognano di turbarsi e di rattristarsi; come del resto si è turbato e rattristato Gesù, che secondo la testimonianza evangelica, nel Getsemani “cominciò a sentire paura e angoscia” (Mc 14,33).

Si rivolge dunque a noi: e noi oggi vogliamo ascoltarlo con animo aperto e fiducioso, anche su un tema così ingrato e scabroso.

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Che cosa ci inquieta di più nella prospettiva della morte? Certo anche il timore delle sofferenze, dei disagi, del degrado fisico che normalmente la precedono e l’accompagnano. Ma non sta qui la ragione della nostra istintiva e più profonda ripugnanza. Neppure, a ben guardare, è il nudo fatto della dissoluzione biologica a impressionarci e a disgustarci di più.

Quello che ci è insopportabile è la morte percepita come un annientamento senza rimedio. Intesa così, essa si presenta come la disfatta totale; intesa così, la morte è la nostra suprema nemica (la “ultima nemica” la definiva appunto san Paolo, cfr. 1 Cor 15,26). In essa “il nostro destino appare assimilato a quello dei bruti, sicché c’è in questa nostra fine quasi un irrisione nei confronti di quanto ci fa diversi e più nobili: la razionalità, l’amore personale, l’anèlito a una gioia senza offuscamenti e senta deteriorabilità” (La Chiesa Cattolica e il problema della salvezza, Torino 2000, p. 11). Tutto viene azzerato.

Appunto da questa morte – che noi sentiamo come un’offesa alla nostra umanità e un’assurda ingiustizia – il Signore Gesù interviene a salvarci, secondo il suo esplicito impegno: “Chi crede in me ha la vita eterna” (Gv 6,47). Proprio questa è la realtà redentrice – il “mistero” – della Pasqua che ci apprestiamo a rivivere.

Che sia questo il senso della frase su cui stiamo riflettendo, abbiamo una controprova nella stessa vicenda personale della passione di Cristo, che rievocheremo tra qualche giorno nel Venerdì Santo. Di lui scrive la lettera agli Ebrei (ed è uno dei testi cristologici più intriganti e drammatici): “Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo dalla morte, e fu esaudito per la sua pietà” (Eb 5,7). Come fu esaudito? Salvandolo dalla morte come annientamento. Non dunque facendogli evitare la morte fisica (non era questo l’oggetto della sua appassionata richiesta), ma trascendendo la fine biologica nella gioiosa indistruttibilità della vita risorta: vita integralmente nuova, nello spirito e nelle membra, alla quale è chiamato a partecipare chi nella fede e nell’amore aderisce senza riserve al Signore immolato e glorificato.

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C’è però una condizione, che bisogna assolutamente inverare in questi giorni, pochi o tanti che siano, che ci sono dati da vivere quaggiù, se si vuole celebrare la Pasqua nella verità e non solo come una ritualità convenzionale; vale a dire, se vogliamo davvero sbaragliare l’ “ultima nemica”, la morte, e sottrarci alla sua tirannia. “Se uno osserva la mia parola””: questa è la condizione.

Il termine greco che qui viene usato (terèse) è più intenso e più forte, e significa: “Se uno custodirà efficacemente, se uno conserverà senza compromessi, se uno si tiene strette le mie parole così da non lasciarne cadere nemmeno una””.

Ecco allora il compito fondamentale e irrinunciabile della nostra “preparazione pasquale”. Ciascuno deve verificare coscienziosamente ed energicamente che cosa ne abbia fatto – nella sua mentalità, nelle sue tensioni, nelle sue scelte operative – della parola di Cristo; che è una parola liberatoria e rinnovatrice, ma è anche una parola esigente, onnicomprensiva, totalizzante, e vuole essere accolta senza sconti e senza colpevoli esitazioni.

“Tu solo il Signore”, diciamo abitualmente a colui che è stato crocifisso per noi e per noi è risorto. Solo chi ne accetta integralmente la signorìa, acquista la certezza che “non vedrà mai la morte”.

Il Signore è lui: non si può leggere il suo Vangelo con la precomprensione di chi dice (a proposito dell’uno o dell’altro campo della vita morale e degli impegni umani) “secondo me”. Che conta – e deve contare sempre – è ciò che è vero e giusto “secondo lui”.

Ognuno di noi, in questi ultimi giorni di Quaresima, faccia l’esame dei suoi pensieri, dei suoi orientamenti, del suo agire, e veda di avvicinarsi un poco di più alla condizione del discepolo che sul serio e pienamente “osserva la sua parola”. Qui è in gioco l’autenticità della nostra prossima Pasqua; qui è in gioco il nostro splendido futuro anche la realizzazione integrale della nostra stessa umanità.

21/03/2002
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