Pellegrinaggio Diocesano a Monte Sole

“Risaliamo” pensosi oggi a Montesole, visitando spiritualmente tutti i luoghi dove in quei terribili giorni si è consumata la violenza fratricida. Albergana, Cadotto, Ca’ Beguzzi, Ca’ Zermino, Scope, Caprara, Casaglia, Creda, Pioppe di Salvaro, Poggio di Casaglia Poggio, Veggio, Pozza Rossa, Steccola, Marzabotto. Ci aiuta Mons. Gherardi, caro compagno di cammino, che ricordiamo a cento anni dalla sua nascita e venti dalla sua nascita al cielo. Egli ci aiuta a ricomprendere le antiche memorie liturgiche illuminando le recenti testimonianze di martirio. “Risaliamo” per essere Chiesa che custodisce questo tesoro con amore, fierezza, comprendendo con “intelligenza crescente” il suo valore e insegnamento, come chiedeva il Cardinale Biffi affidando alla Piccola Famiglia dell’Annunziata la custodia di questo luogo, definitoun tesro della Chiesa bolognese. E li ringrazio di cuore, ricordando don Giuseppe Dossetti, dono al quale la Chiesa deve molto. Risaliamo per essere Chiesa, perché la memoria è di tutta la comunità e perché qui troviamo tutta la comunità cristiana colpita, l’intero popolo di Dio ben più largo di nostri angusti confini, popolo che il Signore sente suo e ci aiuta a sentire nostro. Il gemellaggio tra le comunità di Montesole e quelle del Comune di Boves, unite nella violenza subita e che sarà sottoscritto durante la celebrazione eucaristica, esprime la scelta di aiutarci tra Chiese sorelle e tra comunità vittime del male perché siano testimonianza del dolore e luoghi di convinta costruzione della pace. Insieme le lampade della speranza, che il male vuole spegnere, diventano più forti e si accrescono mutualmente. E quanto buio terribile di violenza, dell’uomo sull’uomo deve essere illuminato, dall’attenzione e dall’amore. E’ tanto necessario liberarci dal colpevole silenzio sulle vittime, a volte addirittura infastidito del disturbo che recano al benessere. Dobbiamo affrancarci da contrapposizioni ideologiche che dividono e cercare l’unica parte dove tutti dobbiamo collocarci, senza esitazioni e distinguo: quella delle vittime, qualsiasi esse siano. La vittima è l’uomo e in esso vediamo sempre Dio che si è offerto come vittima perché l’uomo sia di nuovo quello per cui è stato “fatto”, capace di rispettare e rispettato, perché immagine di Dio. Le vittime non sono di qualcuno, ma di tutti, affidate a ognuno. Esse ci portano immediatamente a contemplare Gesù perché la sua croce ci rende vicini alle tante croci che il male, con la sciocca e colpevole complicità degli uomini, continua a preparare, fabbricare, innalzare, usare. E’ una complicità che ha tanti attori, consapevoli e non, attivi e passivi, identificati e ben nascosti nel grigio della folla, silenziosi o urlanti nel “crocifiggilo”, seminatori lontani di odio o volenterosi carnefici, spettatori che minimizzano i pericoli o giudici che tramano e condannano l’innocente. In questo luogo santo, perché santa è la terra sulla quale è stato versato il sangue innocente, sentiamo così necessario spezzare i legami col male e disarmare i cuori.
Vorremmo ricordare le vittime una per una, perché il male le rende un numero anche nella morte. Vorremmo ascoltare, al contrario – perché l’amore restituisce il nome a ognuno – la sua storia unica, cosa provava, imparando a piangendo con lei e per lei, soffrendo per l’ingiustizia degli anni rubati e per il dolore provato, capendo la disperazione incredula di fronte a tanto male, il rimpianto, la voce soffocata che continua a confidarci le sue ultime volontà, il testamento. Ecco ogni volta che veniamo qui ci viene affidato il loro messaggio. Davanti a tanto dolore appare un insulto conservare parole di disprezzo per l’altro, armare i cuori usando parole di odio che diventano veleno, fatto grave per tutti ancora di più se usate da chi ha responsabilità pubbliche. Prima è l’uomo, senza etichette, senza graduatorie, unica categoria che libera dalle tante categorie che pensiamo possano giustificare il seme della divisione, iniziando sempre da chi è più fragile. Quell’orgia di sangue rivela la preparazione e la seminagione del male, perché è epifania di semi gettati a volte consapevolmente, altre per interesse immediato altre senza consapevolezza (ma è motivo di innocenza?), che poi portano, fertilità inquietante del mistero del male, frutti capaci di deformare l’uomo, tanto da oscurare i suoi sentimenti e ne scatena il lupo che abita in lui. Quante complicità con il male, a cominciare dall’indifferenza!
Anche per questo sentiamo tanto la responsabilità di leggere e trasmettere il loro testamento che è affidato proprio a noi, perché chi viene dopo possa conoscerlo. Le lampade al termine saranno consegnate ai giovani, perché la speranza accende la speranza, la consapevolezza altra consapevolezza, la memoria, altra memoria. Questo luogo ha tanto aiutato la Chiesa di Bologna a ritrovare se stessa, i suoi figli che si sono fatti tutt’uno con la loro comunità, con l’entusiasmo e la generosità di don Fornasini che traspariva già dai suoi occhi. Ricordo solo lui, ma con lui tutti, quelli più conosciuti e tutte le comunità. Qui impariamo che la chiesa è una madre che non abbandona, che tutti ama e raccoglie, protegge e ama. Scriveva Fornasini: “La fontana zampilla da luogo nascosto; la carità deve scaturire da cuore umile, che non cerca il rumore del mondo. La fontana è accessibile a tutti, senza eccezione; la carità la si deve usare con tutti, anche con i nemici. La fontana, una volta scaturita, non cessò mai: la carità non deve illanguidirsi, ma continuare sempre nelle opere di misericordia. L’acqua della fontana è limpida e pura; così la carità non deve tollerare miscugli, ma deve aver per fine il puro amore di Dio”. Mi ha colpito che raccontavano di Fornasini che quando predicava anche il più testone lo capiva. “Diceva delle parole povere, ma a noi altri bastava più la parola povera che quella più perfetta, raccontava un testimone”. Egli dette la sua vita per tutti: restò, non salvò se stesso. Ecco, nel suo entusiasmo, nel predicare il Vangelo, nell’andare a trovare i malati e seppellire i morti preparava l’amore. Se c’è una preparazione del male c’è anche dell’amore! Pregava tanto don Fornasini e poi preparava l’amore come il biblico Tobia lavando i cadaveri, li vestiva, li portava al cimitero, ultimo asilo di pace in momenti di tanta crudeltà e indifferenza, andando ovunque per liberare i prigionieri, pagando per il loro riscatto vendette le bestie della stalla del beneficio.
Oggi come comunità ripensiamo la nostra fede, invitati ad una chiara scelta evangelica: essere artigiani di pace, preparare la pace, seminare amore, riparare l’odio, sminare tanto pregiudizio, trasformare le lance in falci e fare stare assieme il lupo e l’agnello. Non si è artigiani di pace se non si è in pace. Non è un impegno da anima belle, ma la scelta di una comunità e di cristiani che con tutto se stessi lottano contro le complicità del male, sapendo che è questione di vita, di futuro. Ognuno può costruire un pezzo di pace. Se la guerra mondiale è a pezzi ognuno di noi può costruire un pezzo di pace, che non è mai insignificante. Dobbiamo essere dalla parte del povero Lazzaro, sempre, preparando oggi per lui quello che può essere il suo ma per certi versi anche il nostro paradiso. Solo amando gli inferni sulla terra possiamo trovare quello che stoltamente cerchiamo nelle cose e nel benessere individuale, ma che troviamo solo nell’amore, perché di questo tutti abbiamo bisogno. Accogliendo il povero Lazzaro come nostro fratello troveremo per noi il paradiso. La pace non è una parte della Chiesa, ma scelta indispensabile di tutti i credenti, chiamati a disarmare i cuori, gli occhi, le mani, tutti i sensi per stare dalla parte di Colui che è la pace.
Le querce di Montesole ci aiutano ad avere memoria, ad essere memoria a stare dalla parte delle vittime costruendo la pace ed essendo uomini di pace.
Con Gherardi: Cristo figlio del Dio vivo, pietà di noi. Vergine del Giglio e dell’Ulivo, intercedi per noi. Beati martiri di Montesole, beati martiri di Boves pregate per noi.

29/09/2019
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