100° anniversario della nascita e 20° della morte di mons. Luciano Gherardi

“Nessuno vive per se stesso”. Quanto è vero che vivere per se stessi, conservarsi, pensare stoltamente al proprio benessere, farsi catturare il cuore dalla tavola, dalla porpora e dal bisso, mettere il nostro tesoro e quindi l’anima nelle ricchezze, rende senza futuro e senza gioia la vita presente. Al contrario quanto è vero che i piccoli non si stancano di scoprire la bellezza di quello che hanno e non devono moltiplicare gli oggetti perché non hanno cuore. I piccoli vedono l’Altro e proprio per questo il prossimo. Oggi ricordiamo un uomo che poteva essere sapiente secondo il mondo, inserito a pieno titolo tra i dotti e gli intelligenti, che ha scelto di essere piccolo e di diventare molto più sapiente perché ha preso su di sé il giogo dolce e soave dell’amore di Cristo. Questa è stata la sua casa dove per quasi quaranta anni si è pensato, ha saputo parlare con tutti e ha vissuto la Chiesa famiglia di Dio, comunità domestica. In realtà tutta Bologna era la sua parrocchia! Bologna la vedeva a tre navate, come anche la Basilica è un pezzo di città, a tre navate. La città nella casa del Signore e il Signore che rende la città una grande basilica dove poterlo incontrare!
Il dono per tutta la Chiesa di don Luciano, attento, accogliente, fine, pastore. Le benedizioni delle case le ha realizzate lui personalmente per tanto tempo. Aveva gli occhi del cuore. Vedeva i parrocchiani defunti nei posti dove si inginocchiavano abitualmente. Oggi lo vediamo noi, che non lo abbiamo conosciuto personalmente, con i suoi stessi occhi, e lo immaginiamo in questa casa. Era chiamato “Pastore taumaturgo”: lo era perché amministrava la Parola con la sua vita e con la sua parola. E questa guarisce, è sempre l medicina che scaccia i demoni dal cuore degli uomini. Biffi lo ha descritto così: “Ha creduto con cuore semplice come quello di un fanciullo, ma ha avuto il modo di esprimere e testimoniare le fede in forme che non erano mai convenzionali e spente”. Proprio perché bambino non è mai diventato un altero sapiente, compiaciuto delle sue verità, distaccato osservatore che finiva per essere giudice. Gherardi ha saputo attrarre con la sua umanità, rima che con la sua parola. Anche noi rendiamo lode perché ha rivelato tanto della sua sapienza a don Luciano e attraverso di lui, alla città e alla Chiesa di Bologna. Gherardi ha fatto sua la sofferenza dei piccoli, cercando una casa dove tutti sperimentavano il ristoro della presenza del Signore, che amministrava spezzando il pane della Parola e dell’eucarestia, nel sacramento della riconciliazione e in quell’altro sacramento che è l’amicizia. Era un uomo mite e umile di cuore, che tutto vuol dire tranne che mediocre. Per questo ha saputo piangere con chi era nel pianto e ha fatto venire a lui e a noi i tanti che hanno sofferto, come le querce di Monte Sole, che li ha restituiti alla nostra consapevolezza, li ha fatti risalire dall’indifferenza e ce li ha reso familiari, come deve essere per ogni vittima. Gherardi era legato anche da una storia comune con due dei cinque parroci assassinati dalle SS, suoi compagni di seminario: Don Ubaldo Marchioni e Don Giovanni Fornasini. E’ stato un prete della guerra, ordinato nel 1942. La sofferenza l’aveva vista fin dall’inizio, in particolare nel suo servizio alla sofferenza come cappellano del Sant’Orsola.
Ha saputo consegnare una generazione all’altra, arricchendo la Memoria della tragedia di Monte Sole, e delle tante stragi compiute dai nazifascisti in Italia e in Europa, e l’impegno per la pace di fronte ai conflitti del mondo di oggi. Ha preso su di sè il giogo soave e dolce e lo ha reso tale per tanti, liberandolo da quello pesante dell’amore per se stessi, ma anche dell’indifferenza, della violenza, del pregiudizio, dell’ignoranza che colpisce e offende.
Rabdomante di anime è stato definito. Lo è sempre chi ha sete e proprio perché ne ha molta sa trovarla nel profondo del cuore anche che potrebbe apparire del tutto desertico. Sa che l’acqua c’è e chi ha tanta sete, la cerca anche quando non la trova immediatamente perché sa che nascosto nell’anima del fratello c’è un pozzo da ritrovare, sepolto sotto tante macerie personali, tante paure, tante abitudini. Chi è assetato fa più fatica perché sa che c’è e non si rassegna. Ecco la sapienza dei piccoli, che supera quella degli intelligenti e dei sapienti, di quelli che amano parlarsi addosso, che parlano di sè e non di Lui, che conoscono ma non amano. Gherardi ha vissuto tutto il cambiamento della Chiesa del Concilio, non è rimasto vecchio ma nemmeno è corso dietro alle mode. Era un animo poetico. La poesia è quel di più di contemplazione, che non descrive soltanto, ma aiuta a entrare nell’intimità del fratello, aiuta a fermarsi, a non risolvere tutto con la superficialità delle apparenze, rapide e realistiche. La poesia evoca e, come la musica, aiuta il cuore a trovare le parole e le immagini altrimenti impossibili. San Francesco, piccolo fratello universale, era pieno di poesia. Sempre Biffi lo descriveva così: “linguaggio sempre originale e fresco, scintillante insieme di verità e di poesia, caldo di umanità e lucente di bellezza”. Era la bellezza, tutt’altro che compiaciuta, della liturgia e delle sue preghiere, che ancora oggi ci aiutano a trovare le parole per invocare il Signore (anche a lui la Chiesa italiana deve tante traduzioni e composizioni del nuovo messale liturgico). La sua eleganza espressiva. Era un uomo piccolo secondo il Vangelo: umile, affabile, dolce, forte e rigoroso. Sceglieva il dialogo, ma da antiprotagonista, (così facile allora come oggi) affatto rinunciatario, con un senso profondissimo dell’obbedienza e anche della libertà.  
Siamo piccoli quando crediamo nella bontà che, come diceva Giovanni XXIII, “finisce sempre col vincere, perché la bontà é amore; e l’amore tutto vince. Lungo la vita, e specialmente al temine della vita presente, l’elogio più felice é sempre lo stesso: egli era buono: soprattutto era buono”. Siamo piccoli quando lo veneriamo nel corpo dei suoi fratelli più piccoli, i poveri. Siamo piccoli quando consideriamo gli altri più importanti di noi stessi e non ci sentiamo troppo grandi per i piccoli gesti dell’amore. Piccolo è chi piange con chi è nel pianto, chi fa suoi i sentimenti del prossimo. Piccolo è il mite e l’umile. Gesù è il vero piccolo: si fa servo di tutti, va incontro agli altri, si china a lavare i piedi ai suoi, accarezza i bambini che i discepoli grandi allontanavano sgridandoli, afferma che il regno dei cieli appartiene a chi è come loro. Fin da oggi! E’ lui il mite, seduto su un puledro d’asina che entra in Gerusalemme non come i re di questo mondo e che proprio perché diverso può spezzare l’arco di guerra e annunciare la pace alle nazioni. Aveva tanta predilezione per Santa Clelia, piccola donna di un piccolo paese della bassa, la definiva “Sillaba di Dio, che non è mai stata pronunciata prima. Irripetibile. Modello per tutti, una compagna di strada per la povera gente, l’amica di tutte le ore”.
“Splende il sole sugli argini, la figlia del bracciante, sale su ali d’aquila, ai cieli della gloria, operaia del Vangelo, rilancia il tuo messaggio, grida al cuore degli uomini, amate, amate Iddio”.
Scriveva Gherardi, o forse meglio cantava: “Cristo, Figlio del Dio vivo, pietà di noi. Vergine del giglio e dell’ulivo, intercedi per noi. Beati martiri di Monte Sole, pregate per noi”.
“I miei occhi vedranno il tuo volto Signore, luce da luce, stella del mattino, mio illuminatore”. Amen

20/09/2019
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