Prima memoria liturgica beato don Giovanni Fornasini

Riportiamo don Giovanni nella sua casa, quella dove ha vissuto i suoi ultimi giorni da cristiano e da prete e quella dove ci attende per aiutarci a vivere con lui la scelta di essere uomini e uomini di Dio nella vita, soprattutto quando questa è raggiunta dalle tempeste del male. Cioè la vita così com’è. Qui troviamo e troveremo l’attrazione della santità, la semplicità dei piccoli, la forza dei deboli, l’umiltà dei grandi, l’amabilità degli uomini di Dio. È commovente pensarlo, immaginarlo qui.  Qui ha vissuto con la sua comunità che amava proprio come quelli di casa, i suoi familiari, tanto da dare tutto se stesso per loro. Loro chi? La sua comunità.

Non l’ha fatto solamente alla fine: il male lo aveva affrontato tutti i giorni perché voleva bene e faceva tutto quello che Gesù gli diceva. Come Gesù non ha salvato se stesso, magari nascondendosi e giustificandosi con la scusa della prudenza. In fondo anche Gesù era un imprudente: lo fu a salire a Gerusalemme. In realtà don Giovanni era prudente ma questo non poteva mettere in discussione la scelta di andare, anche quando questo significava correre dei rischi, per la giustizia e la misericordia.

Qui contempliamo la sua comunità quella per cui, secondo la testimonianza di allora, “in ogni uomo vedeva un fratello cui, lui, sacerdote, doveva portare aiuto”. Un prete “omnia”, lo definirono, cioè per tutte le cose e per tutti. Non è forse così l’amore? Dissero di lui: “Correva ovunque, a piedi o in bicicletta, ove c’era un malato, un ferito, un uomo, un italiano o straniero, vecchio o giovane, rosso o nero, sempre incurante della fatica, delle difficoltà, dei rischi”.

Lo faceva a partire da una comunità di persone. Questa. Sperticano. Ogni cristiano per essere amico di Dio e amico del prossimo si pensa, vive, si lega ad una comunità di fratelli e sorelle, che sono la sua famiglia e con i quali vive l’esperienza di essere Chiesa e il suo legame con la Chiesa più vasta e con il mondo. Quando non è così si finisce per innamorarsi delle proprie idee – e il Vangelo non è un’idea ma una vita – a guardare solo se stessi, le proprie categorie senza corpo, le interpretazioni, intelligenti o no che siano. L’amore cristiano è molto particolare e universale.

Don Giovanni da qui andava dappertutto e sentiva ovunque la sua parrocchia, in ogni situazione, dove c’era qualche sofferenza e che andava a cercare, dalla quale non si faceva cercare o dalla quale si nascondeva. Salvò dei rastrellati, si offrì al posto delle vittime e i tedeschi graziarono diciotto civili che furono inviati a lavorare alla Todt a Bologna. A Pian di Venola benedisse le salme. La gente spaventata non si azzardò nemmeno a guardare dalle finestre e la mesta cerimonia sulla via Porrettana fu seguita solo da don Giovanni, da una sorella di Laura Veronesi e da una sfollata.

“Se non fosse intervenuto lui, il primo eccidio sarebbe stato ancora più grave”. Rischiava per amore. Andava a seppellire i morti, opera di misericordia, rischiosa pure di sola pietà. Gli uccisi del primo rastrellamento di Malfolle li raccolse e compose lui. A Lama di Reno fu il primo a soccorrere i feriti. “Lo vedo col piccone in mano a lavorare con tanta forza come se avesse dovuto recuperare da quelle pietre sua madre”. Come fosse sua madre: questo fa la differenza, questo cambia tutto. È proprio vero che “la santità è fatta non di verbi ma di avverbi”.

Non basta fare ma serve come lo fai: gratuitamente, semplicemente, umilmente, rapidamente. Questo fa la differenza. Vorrei chiedere a lui di intercedere per riempirci del suo entusiasmo. Era la sua caratteristica, dicevano, e la sua forza. Entusiasmo significa pieno di Spirito, cioè vuoto di sé. “Io son di tutti, pastore e servo. Ogni anima mi è cara e offro a ciascuno dei miei l’aiuto religioso e fraterno”. Per questo decideva e partiva. Chi aveva bisogno sapeva di potere chiedere aiuto e si presentava – questo significa la misericordia e fa la differenza – mai a mani vuote. Il suo dinamismo non era indisponente o invadente, perché pieno dello Spirito di Gesù, semplicemente aveva il problema di fare quello che Gesù aveva detto. Così fanno i piccoli, mentre i dotti e i sapienti discutono senza fare.

Don Giovanni ci insegna a piangere. La sua memoria ci aiuta a piangere, come quando contempliamo le sue reliquie. “I miei occhi grondano lacrime, notte e giorno non smetto di piangere”. Le lacrime sono il collirio di Dio e ci aiutano finalmente a vedere. Sappiamo piangere o finiamo solo per farlo su noi stessi, per lamentarci non facendo nostro il lamento delle tantissime Rachele che non vogliono essere consolate perché i figli non sono più? Piangiamo vedendo il mondo ridotto ad un ospedale da campo, quello che i benpensanti, i censori e gli analisti non sanno riconoscere.

La Chiesa non può essere maestra se non è madre! E una madre piange, come chi scava come se là sotto ci fosse la propria madre. Si accorge del dolore perché non si abitua a non fare nulla, non si nasconde. Ecco cosa ci insegna don Fornasini: piangere e darsi da fare, non discutere in astratto ma andare vicino a chi soffre. Ecco anche dove ci porta il cammino sinodale! Qui, insieme con lui, proprio come si è pensato in vita, incontriamo anche i suoi compagni di martirio e un’intera comunità vittima a cui legarsi, da servire e non da farsi servire, che ci insegna a scegliere di essere uomini contro la violenza, testimoni di Cristo, artigiani di pace. Don Giovanni considerò suo prossimo degli sconosciuti da andare a benedire, come venne attratto nell’ultimo feroce e vigliacco tranello.

Anche Gesù scelse di andare verso un prossimo che non conosceva ancora, che non sapeva chi fosse, quando era nell’orto degli ulivi, e decise di andare per trovare un crocifisso come lui, quel crocifisso che sarà il primo ad entrare in paradiso, come ogni uomo condannato alla stessa pena ed al quale il suo amore permetterà di sentirsi ricordato quando tutto era perduto. Qui è stato il suo Getsemani perché qui ha deciso, come Gesù, di non salvare se stesso, come suggeriva Pietro e come gridava la folla, ultima irrisione del più grande illuso della storia. I nostri occhi grondano lacrime per lui e attraverso di lui per le tante vittime, e tra questi anche i tanti cristiani che donano la vita per Gesù e per quel prossimo che ancora non conoscono.

E noi? Non è filosofia o dotta analisi: è scelta di vita, non chiudersi in casa a guardare ma incamminarsi verso la croce. Si fa solo per amore, non per altro! Il chicco per capire il frutto che contiene deve morire a se stesso. Lo aveva fatto sempre. “Mi ricordo che fecero un rastrellamento a Marzabotto e offrì la sua vita se li avessero liberati. Andò a dire: Prendete me e lasciate libero questo padre di famiglia”. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. È quello che lui scriva a Lourdes. “Come una madre che vede in pericolo il suo figliolo, non ne lascia ad altri la cura, ma vi corre essa in aiuto, così ha fatto Maria. E da Lourdes è discesa per tutti, accoglie tutti, nazionali e stranieri, ricchi e poveri, sani e malati, giusti e peccatori.

Tale dev’essere la nostra carità verso il prossimo, noi chiamati al sacerdozio che è ministero di amore e di sacrificio. Anzi le qualità di quest’amore possono vedersi simboleggiate nella fontana della grotta. Zampilla essa dalla viva roccia; così la carità deve sgorgare dalla salda pietra della fede, altrimenti avremo la vana e volubile filantropia del secolo. La fontana zampilla da luogo nascosto; la carità deve scaturire dal cuore umile che non cerca il rumore del mondo. La fontana è accessibile a tutti, senza eccezione, la carità si deve usare con tutti, anche con i nemici. La fontana una volta scaturita, non cessò mai, la carità non deve illanguidirsi, ma continuare sempre nelle opere di misericordia. L’acqua della fontana è limpida e pura; così la carità non deve tollerare miscugli di altri fini nelle sue opere, ma deve avere per fine il puro amor di Dio”. Ecco cosa è la Chiesa e cosa è stato don Giovanni.

Quando dovettero, dopo pochi giorni, andare via dalla canonica di Sperticano la mamma di don Giovanni prese la sua bicicletta, perché “se torna?”. Prendiamo noi la sua bicicletta. Sì, torniamo e prendiamo da qui la sua bicicletta, scegliendo di andare incontro a tutti, pieni di entusiasmo, specie per chi è nella sofferenza, perché la Chiesa, sorgente di amore purissimo nonostante il nostro peccato, possa essere madre forte e protettiva di tutti specie dei suoi figli più piccoli e porto di umanità nella tempesta del male.

Sperticano, chiesa parrocchiale
13/10/2021
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