Processione dalla Cattedrale alla Basilica di San Petronio

Maria è madre della carità. La promessa dell’angelo alla giovane donna di Nazareth mette i brividi. Concepirai un figlio e sarà grande. Qual è la grandezza di Dio? E’ strano, perché lo promette a una donna umile, senza storia, che resta umile, una delle tante donne povere di una regione della periferia di Israele, da dove non viene niente di buono, proprio da lì, da dove sembra non esserci niente di significativo verrà qualcosa di grande, tanto che il suo regno non avrà fine. E’ una grandezza così diversa da quella del mondo, che cerca le cose grandi e si pensa grande quando disprezza gli altri, quando possiede, quando può fare da solo, quando usa gli altri, quando si impone e umilia, certo non quando è umiliato. Quante soddisfazioni di sentirsi grandi, anche fisicamente, passando prima, nell’orgoglioso mostrarsi più importanti, nel guardare con disprezzo oppure nelle chiacchiere, che sono un modo molto facile per farla pagare, per fare capire di saperne di più, per giocare con la vita degli altri come, appunto, i grandi, cui non interessa molto quello che accade poi in chi le subisce perché interessa di più fare vedere di sapere. Quanta disperata gioia nel trattare male gli altri! Da questa grandezza non nasce niente. Solo dall’umile Maria nasce chi è davvero grande, il cui regno dura per sempre, Gesù.
Maria è la Chiesa, oggi, questa madre che non si stanca di guardare con misericordia i suoi figli, che resta sempre povera perché non vuole tenere niente per sé, perché la madre si pensa per i suoi figli. Il senso stesso della madre sono i figli. Essa è definita dai figli, altrimenti non sarebbe madre. Se la Chiesa, ma direi anche se la società, non è madre, non ha futuro, perché senza figli diventa sterile, si chiude, come la Chiesa e si deforma, si ammala. Quando la Chiesa non chiede di amare i poveri diventa un club, un salotto, una comunità psicologica che vive per se stessa. Il mondo si contorce in mezzo a dolori quasi infiniti. Spetta alla Chiesa prendersene cura. La Chiesa è come una madre ansiosa alla porta di un ospedale in cui degli estranei curano i suoi figli. Da noi si aspetta, per mezzo nostro, di potersi sedere accanto a quei luoghi di dolore. Attraverso i secoli la misericordia è stata il segno dal quale le persone lo hanno riconosciuto. Mostriamo Cristo così com’è, senza ritoccarlo: il nostro tempo lo riconoscerà. Il mondo si contorce in tanti dolori. Possiamo non fare nulla? Una madre non aspetta che questa sofferenza riempia un modulo. Non la tratta mai come fosse una scheda. Il povero non sarà mai un utente, perché è suo figlio. La Chiesa, madre, non si compiace di quello che fa, perché sa quello di cui c’è bisogno e perché è una madre, non una professionista di accoglienza o di opere buone. Non fa aspettare a lungo, ha sempre fretta la madre, perché sa che fare aspettare ha un prezzo enorme, vuol dire dolore non consolato, smarrimento nella solitudine, angoscia, disperazione. Una madre piange perché fa sua la sofferenza del figlio. Una madre non accetterà mai la logica del mondo: salva te stesso, perché lei cercherà la salvezza per il figlio. Per questo Maria stava sottola croce e i discepoli erano scappati. Quanta sofferenza intorno a noi! Penso con tanta insistenza alla solitudine degli anziani, alla disoccupazione e anche a quella dei disabili, a chi non ha casa, ai tanti che scappano dalla guerra.
Ecco questa è la grandezza cui siamo chiamati dall’angelo del Vangelo e che ci è possibile. E’ fare nascere la misericordia, grandezza di Gesù, donare la sua misericordia oggi, in mezzo agli uomini. Ne hanno un bisogno enorme. E’ davvero possibile a tutti e tutti possono diventare grandi, perché la misericordia ci rende davvero grandi.  Come Maria, grande perché ha creduto alla grandezza del figlio. E anche ognuno di noi diventa davvero grande quando umilmente, come Maria, fa nascere un poco di cuore, di misericordia nel deserto della vita, di relazioni umane così povere di amore. Non ci hanno aiutato i poveri a compiere quello che noi non avremmo mai fatto, non ci hanno fatto scoprire una vita diversa, non ci hanno strappato dal non senso del girare intorno a sé, non ci hanno restituito il tempo che perdevamo appresso a tante cose inutili e vuote? Non ci hanno ridato cuore, sentimenti veri, strappandoci dalla fissazione per noi stessi, dal farci grandi da soli o da pensarci grandi restando soli, incapaci di legarci alle domande degli altri? I poveri ci aiutano a capire il Vangelo, altrimenti ridotto a regola morale e facilmente la misericordia a sentimento. La misericordia è come avere un figlio, è una responsabilità concreta! I sentimenti vanno e vengono, e senza misericordia finiamo per credere veri solo i nostri, per mettere le nostre emozioni al centro, invece di trovare la vita vera facendo nostra la realtà del prossimo.
La misericordia non si conclude mai, cresce sempre. Non ci siamo forse troppo accontentati? Non abbiamo preso troppo sul serio le nostre necessità e troppo poco quelle dei poveri? La misericordia non si accontenta come invece fa il sacrificio; non si arrende, come le buone intenzioni che finiscono subito al primo problema; anticipa il futuro perché genera la vita, proprio come Maria, che vede quello che manca, mentre senza amore ci sembra tutto vada bene e non nasce niente di nuovo. La misericordia non accetta la regola dell’impossibilità, che spesso giustifica la rassegnazione. Può rassegnarsi una madre? Può una madre dire che non si può fare niente o, invece, cercherà, con la forza dell’amore, la soluzione e non si accontenta finché non la avrà ottenuta? Dio continua a farsi “carne” con la maternità della nostra misericordia, grandezza di Dio e grandezza vera degli uomini. Nulla è impossibile a chi crede! Se credessimo a queste parole dell’angelo! Quanto facilmente rinunciamo alla speranza, ad aiutare gli altri, a volere bene! “Avvenga di me secondo la tua parola”. Apriamo il nostro cuore al Vangelo ed il mondo scoprirà la grandezza di Dio e quella dell’uomo, che è il grande frutto dell’umile misericordia: l’amore che non finisce mai.

04/05/2016
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