Quarta domenica di Pasqua

Bologna. cripta della Cattedrale

In queste settimane abbiamo sperimentato la valle oscura di cui parla il salmo. Tutti l’abbiamo attraversata e per certi verso ne siamo ancora dentro, perché il male non si sconfigge facilmente, così come la pigrizia e la superficialità, alleate del male, suggeriscono. Abbiamo capito che siamo fragili, abbiamo provato paura, perché il buio turba, provoca depressione e rabbia, penetra nel cuore, spinge a isolarsi.

Sperimentiamo la sensazione di vulnerabilità, come quando la nostra casa è visitata dai ladri e ci sentiamo come violati, senza difese e abbiamo paura che possa sempre accadere di nuovo. In queste settimane abbiamo capito quanto ci è necessario il pastore buono, buono perché ama e difende la vita degli altri mettendo a rischio la propria. Difende dai ladri di vita. Il male, infatti, non dimentichiamolo mai, soprattutto quando lo sappiamo riconoscere di meno, porta via il bene più prezioso, che non è negli anni, nella salute, ma è nell’anima: la vita.

Il male è il traditore del nostro vero desiderio perché la vita chiede vita, il respiro vuole un altro respiro e il nostro pastore buono vuole la nostra vita e la vuole in abbondanza, che non finisca, qui e dopo qui. Gesù non si allontana dalle sue pecore, si pensa per loro (che senso ha il pastore senza le pecore?) e per quelle tante di cui si deve occupare, che noi pensiamo non facciano parte del nostro gregge, ma che sono sue e quindi anche nostre. Per andare incontro a loro ci fa entrare e ci fa uscire, per aiutarlo a raggiungere tutti!

C’è sempre quella che manca da andare a cercare, perché senza quella il nostro pastore non riesce a stare, la cerca perché le ama tutte e non può fare a meno di nessuna, perché non ama la quantità – amerebbe il suo potere – ma la persona e cerca proprio quella pecora perché è lei, è unica, insostituibile. Il suo non è un amore all’ingrosso, uno dei tanti surrogati a poco prezzo che ci vengono proposti perché facili e poco esigenti. E’ amore vero che dona e chiede.

Gesù non si impone come i re di questo mondo; non giudica come i farisei che condannano ma non aiutano; non analizza come un sociologo sapiente, raffinato nelle sue interpretazioni, ma osservatore di fenomeni da cui, però, resta ben distaccato. Gesù è pastore: ama le pecore e le ama non perché buone o giuste, ma perché sue e perché stanche e affaticate. Abbiamo tanto bisogno di un pastore. Gesù è la porta: Lui apre la porta del cielo a chi ha il cuore ferito e cerca consolazione, a chi torna carico dei suoi fallimenti e cerca fiducia, a chi non ce la fa più e cerca forza, a chi cerca futuro e cerca speranza, a chi ha paura e cerca amore, ai suoi fratelli più piccoli che diventano essi stessi porta passando la quale troviamo il Signore.

La sua porta ci fa entrare per uscire, cioè andare incontro al prossimo: non retiamo fermi, ma andiamo dietro a Lui che va incontro a tutti. La sua porta è chiusa solo al male. Gesù fa entrare il peccatore, ma non il peccato, cioè la divisione, l’orgoglio, il giudizio, l’interesse personale, la logica che ci fa credere padroni financo della vita stessa che è nostra ma che la troviamo amandola e donandola. Lui che è la porta non seleziona in base ai criteri, quelli che gli uomini amano, pensando così di trovare sicurezza e allontanando gli altri.

Gesù guarda il cuore non le apparenze. Ma per entrare dobbiamo noi aprire la porta del nostro cuore. Ascoltiamo la sua voce che libera dalla paura di farci amare, di raccontargli tutto, di avere intimità nel profondo dell’anima, di prenderlo sul serio perché Lui ci prende sul serio come nessun altro. Riconosciamo la sua voce come un bambino riconosce la voce della sua mamma o del suo papà, la distingue tra tutte perché è la sua. In queste settimane molti hanno iniziato di nuovo a riconoscere la sua voce, magari a distanza di anni, sentendola come familiare, vicina, personale.

Sì, perché è la voce di amore pieno, che arriva nel profondo, intima, che scioglie tante chiusure e diffidenze. E’ una voce che parla al cuore, che non urla, non ordina, spiega e coinvolge, non giudica ma chiede sempre, fino all’ultimo secondo “mi ami? perché io ti amo e ti voglio amare e ho bisogno di te, che tu me lo dica perché tu non abbia più paura di amarmi”. Chi ascolta la sua voce scappa dagli estranei e riconosce istintivamente che il palare divisivo, violento, rozzo, superficiale è estraneo al gregge. Al Signore è estraneo solo il male e da questo dobbiamo scappare. Se riconosciamo la sua voce capiamo cosa è estraneo alla nostra vita perché la vuole rovinare.

Noi apparteniamo a Lui ma anche Lui a noi: questa è la grandezza del cristiano, anche il più indegno, il più peccatore: siamo suoi. Ognuno è chiamato per nome, non sarà mai un numero, una forza lavoro, un oggetto. Ma anche ognuno non sarà mai solo, ma sempre assieme, perché assieme ci possiamo volere bene e scoprire dono di amore che siamo. Che ci facciamo se ce lo teniamo per noi, come spesso avviene oppure se ne usiamo poco e per pochi? Che ci fai con i tuoi doni se non li perdi? Se li tieni per te li togli agli altri! Più siamo isolati più abbiamo paura. La vinciamo lasciandoci condurre dal Pastore che possiamo seguire perché è avanti a noi, per mostrarci il cammino e liberarci dall’incertezza.

Oggi è la giornata delle vocazioni. Il Signore pastore buono ci chiama a servire usando il dono che siamo ognuno di noi, è nostro ma che capiamo e scopriamo pensandolo per gli altri e per questo migliorandoci. Ognuno ha la sua vocazione. Ognuno è a questo mondo, è fatto in quel modo, in questo tempo, in questo luogo perché è chiamato ad amare. Per questo abbiamo sempre bisogno di una comunità di fratelli e sorelle che sia la nostra famiglia, perché così capiamo il dono che siamo, ognuno a modo suo, ma tutti uniti intorno a Lui. Ognuno di noi è una missione, “è un progetto del Padre per riflettere e incarnare, in un momento determinato della storia, un aspetto del Vangelo”, scriveva nella Gaudete et Exultate Papa Francesco.

Abbiamo bisogno di tutti. Aiutiamo il Pastore buono a radunare la comunità in questo tempo di tanto isolamento e sofferenza. Abbiamo bisogno della preghiera, del servizio, della disponibilità, della capacità di amare. Abbiamo bisogno di sacerdoti gioiosi che donano tutto se stessi per il gregge e che rendono vicina e familiare la sua voce. Abbiamo bisogno di uomini e donne che abbiamo voglia di ricostruire un mondo ingiusto e pauroso, che smettano di lamentarsi e rendano le avversità opportunità, che vadano incontro a tutti.

Abbiamo bisogno di ministri della Parola, la voce de pastore, e della consolazione, l’amore del pastore che rassicura e guarisce le ferite profonde del cuore. Abbiamo bisogno di santi della vita ordinaria, che siano umili nei piccoli e grandi gesti dell’amore. Abbiamo bisogno di persone che non si arrendano e si mettano a servizio gratuitamente, con disponibilità, per aiutare i tantissimi che sono e saranno in difficoltà e povertà, perché tanti possano riconoscere la sua voce.

Abbiamo bisogno di persone che siano “senza molti mezzi ma con molto da fare”, che trovino la loro libertà “nel servire e non nel fare quello che vogliamo”. Abbiamo bisogno di uomini che non dicano quello che conviene a loro e oggi, ma quello che serve a tutti e per il domani. Abbiamo bisogno di umili servi e non di sapienti che si fanno servire. Abbiamo bisogno di persone giuste che amano fino alla fine, non di narcisisti che passano il tempo a studiarsi e a cercare il proprio benessere. Abbiamo bisogno di persone che amano Gesù, pastore buono e diano la vita per Lui, che la dona per noi e per questo sappiano amare la propria famiglia e non abbiano paura di donare la vita, perché così la troveranno. Questo è amore! Questa è la vita in abbondanza, quella che nessun male ci può portare via, qui e dopo di qui.

 

03/05/2020
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