S. Messa di suffragio nel 39o anniversario della strage alla Stazione di Bologna

Questo giorno, così intenso e doloroso, aiuta ognuno di noi e tutta la nostra città a ritrovare se stessi. Non si attenua, con l’inesorabile passare degli anni, l’orrore per l’accaduto ma anche la forza di solidarietà che suscita. Avviene sempre così nei momenti importanti (e dovremmo imparare a non aspettare le emergenze per cercare l’unità di intenti e mettere da parte quello che divide), perché in essi capiamo che non c’è tempo da perdere, smettiamo di accusarci in un clima di competizione che perde di vista il vero nemico, ricordiamo che siamo tutti abitanti della stessa casa, esposti agli stessi problemi, fratelli che abbiamo in realtà bisogno di tutti. Il ricordo delle vittime ci rende, se siamo umani e cristiani, tutti loro familiari. Sono tutte nostre. Quel dolore e quei dolori, che facciamo difficoltà ad immaginare (ogni volta che leggo o ascolto i racconti di quelle ore, che diventano improvvisamente una vita, ne resto come tramortito ed è così importante conservare le immagini e i ricordi) rendono insopportabile ogni piccola complicità con il male, ad iniziare dall’indifferenza, che cancella la vista e il sonoro delle vittime, come se non ci riguardassero. Onoriamo la memoria di coloro ai quali è stata tolta la vita scegliendo sempre la vita della solidarietà e dell’attenzione a chi soffre. La Chiesa, fedele al comandamento del suo Signore, ha sempre e solo una parte: quella di Gesù, vittima, che difende la vita dal suo inizio fino al suo compimento ed insegna agli uomini a sentirla amata, ad amarla e ad amarsi l’un l’altro. Non mettiamo mai in discussione l’umanità, non induriamoci come se questa fosse debolezza o una complicazione che impedisce illusorie soluzioni forti o definitive. Senza l’umanesimo, frutto del Vangelo, tutto è in realtà più insicuro e pericoloso per tutti. La memoria del dolore ci aiuta a vivere bene oggi, ci apre gli occhi sul presente, ci fa capire di non perdere occasioni per migliorare il mondo perché non accada più, rende più sensibili alle vittime della violenza di oggi. La preghiera è il primo modo per dire che non accettiamo mai come normale la violenza, che le lacrime delle vittime sono le nostre e facciamo nostra la loro invocazione. Avvertiamo con sgomento la fragilità della vita; la forza oscura delle trame del male e come questo è un seme sempre fertile, vigliacco e imprevedibile; capiamo il nostro e l’altrui disperato bisogno di proteggere il soffio della vita e quanto questo chiede a tutti di fare il proprio dovere per il prossimo e farlo con serietà e rigore, come davanti ad una sfida di vita e di morte.
In questa celebrazione, che unisce cielo e terra, scrutiamo anche la realtà non visibile, l’altra faccia della vita, che la completa, come la faccia della luna che ci rimane nascosta eppure esiste e senza di essa non capiamo quella che vediamo. Cosa vedono gli occhi quando si chiudono sulla scena di questo mondo, quando entrano nel sonno della morte? Cantava un poeta: “E’ tutto più chiaro lassù? Dimmi che cosa vedi tu da lì, dimmi che è tutto più chiaro che qui. Dimmi che potrò capire. E dimmi che potrò sapere. E dimmi che potrò vedere, un giorno anch’io così”. E’ la domanda che unisce tutti coloro che, come scriveva Padre Turoldo, sono “nobilmente pensosi alla ricerca di Dio” e devono attraversare il deserto verso “il nudo Essere” per scoprire la fine del cammino. Oggi anche noi vediamo più chiaro. Dopo la morte gli occhi si aprono nella luce piena di quel giorno che non conosce tramonto, quelli di Gesù risorto. “La speranza depone nel sepolcro come l’agricoltore depone il seme nella terra, attendendo la primavera. Smettere di attendere qualcuno, di attendere qualcosa, di attendersi qualcosa da qualcuno è il freddo di una tomba. Aspettare qualcuno, aspettare qualcosa, aspettarsi nonostante tutto qualcosa da qualcuno è il mattino del giardino della risurrezione”. Questa è la fede. Gesù è l’amore che rivela chi è Dio, mistero di luce e di vita che non resta ineffabile, indefinibile, un’entità sconosciuta fuori dal tempo e dalla storia ma diviene vicino, raggiungibile, uomo, perché “gli uomini del mondo possano diventare cittadini del cielo”. Nella moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua, avvolti in vesti candide, e che tengono rami di palma nelle loro mani” vediamo i volti delle persone colpite dal terrorismo. Infatti essi sono quelli che sono passati attraverso la grande tribolazione, anche questa terribile tribolazione che non vogliamo dimenticare.
Che fare? Prendiamo esempio dalla vedova, insistente del Vangelo. Il suo atteggiamento appare inutile. Qualche immancabile sapiente, di quelli che danno sempre lezioni agli altri ma aiutano poco, avrà giudicato con commiserazione, pensando che ormai non valeva la pena. Non va di moda la fedeltà e l’insistenza in una generazione che si crede rapida, all’impronta, ancora di più dopo così tanti anni. Dobbiamo farlo perché non avremo pace finché non ci sarà giustizia! Ce lo ricordano le ferite dei sopravvissuti, visibili e nascoste, dolorose nella carne e ancora di più nello spirito. Alcune sono state raccolte con intelligenza e sensibilità questo anno, cicatrici profondissime, offerte alla nostra meditazione e condivisione. “Non passava giorno che mamma non si chiedesse: “perché lei e non io? Non è giusto, lei era più giovane…”. “Col tempo le ferite fisiche si sono rimarginate, quelle più profonde, non visibili, sono ancora aperte”. “Un mostro nero convive con i sensi di colpa per essere rimasti, sì anche quelli: i sommersi dalle macerie sono il tormento dei salvati”. “L’orologio si è fermato alle 10.25, così la mia anima e la mia mente”. Ecco, la ragione per cui come la vedova del Vangelo andiamo a chiedere giustizia ad un giudice davvero iniquo, che rischia di non fare credere più nella giustizia. Vorrei che l’amore di Dio consolasse e aiutasse ciascuno di loro, li liberasse dalla vendetta ma anche dalla rassegnazione, li rendesse fedeli nel chiedere la verità, senza la quale non potremo essere in pace. Continuare a farlo significa che continuiamo a credere nella giustizia ed a volerla. Anche per questo chiediamo con cuore ferito che chi sa qualcosa trovi i modi per dirlo, per liberarsi la coscienza e per aiutare a trovare pace a chi l’ha perduta quel giorno. 
Ricordati Signore delle vittime. Insegnaci a ricordarci di tutti coloro che sono colpiti dalla violenza del terrorismo e della guerra. Insegnaci a consolare le ferite dei sopravvissuti con la misericordia e la speranza. Aiutaci a essere solidali, a credere sempre che valga la pena aiutare e a non giustificare mai la perdita di umanità. Rendici operatori di pace per disarmare le mani e le menti violente e per guarire l’inquinamento di odio, pericoloso e fertile di morte. Grazie, perché tu sei giusto e vuoi oggi per noi quella giustizia che sarà piena in cielo, quanto “tutto sarà più chiaro di qui”.

02/08/2019
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