santa messa in “cena domini”

Bologna. Cattedrale

Nessun’ altra sera dell’anno scende sui nostri cuori con la dolcezza appassionata di questa. Scende a suscitare memorie e speranze, pentimenti e promesse, pensieri mesti e palpiti d’amore. Siamo qui a ricordare e a rivivere la “cena del Signore”; l’ultima che egli consumò prima di andare incontro al tradimento, alla morte di croce, alla gloria della risurrezione.
Con questa cena egli chiuse l’Antica Alleanza, che veniva celebrata con il banchetto dell’agnello, (come ci ha ricordato la prima lettura); e con l’istituzione dell’ Eucaristia inaugurò la Nuova Alleanza (come ci ha detto san Paolo nella seconda lettura).

Nel pane e nel vino misteriosamente consacrato la Chiesa ha sempre riconosciuto e onorato la presenza reale del Corpo e del Sangue del Signore morto e risorto. E’ il nutrimento arcano che in duemila anni non è mai mancato sulla mensa della comunità cristiana e non mancherà mai fino al termine della storia.
Nel discorso di Cafarnao, preannunziando il grande dono dell’Eucaristia, Gesù si è presentato come il “pane di Dio” (cf Gv 6,33), il “pane vivo disceso dal cielo” (cf Gv 6,51). In tal modo, voleva significare di essere venuto al mondo proprio per saziare ogni vera fame degli uomini.
Di che cosa noi abbiamo fame, nella profondità del nostro essere? Abbiamo fame di libertà, di amore e di vita. E proprio per essere nell’Eucaristia il nostro pane di liberazione, di amore, di vita, egli nel dramma della sua passione si consegna alla prigionia, all’odio, alla morte.

Istituita nella cornice della Pasqua ebraica, che commemorava la liberazione del popolo dalla schiavitù egiziana, l’Eucaristia ci dona colui che è il sostegno e l’alimento della nostra libertà.
La libertà dei figli di Dio, che ci è stata conferita col battesimo, è da più parti continuamente insidiata.
È insidiata dalle nostre debolezze e dalle nostre incoerenze, che rischiano di riportarci sotto la tirannia del male. Abbiamo bisogno – oltre che del sacramento della riconciliazione – del pane eucaristico che ci ridà entusiasmo e vigore. Come dice sant’Ambrogio: “Chi ha una ferita cerca la medicina. La nostra ferita è l’essere soggetti al pericolo di peccare, la nostra medicina è il celeste e venerabile sacramento” (De sacramentis V,25).

Ma la nostra libertà di figli di Dio è minacciata anche esteriormente dalla cultura anticristiana che cerca di intimidirci e quasi vorrebbe che la Chiesa rinunciasse alla verità del Vangelo per adeguarsi a tutte le aberrazioni imperanti. Dove potremo trovare la forza di resistere a tante prepotenze e di richiamare, contro tutte le irragionevolezze, la sapienza della legge di Dio, se non in questo “pane disceso dal cielo”?

L’Eucaristia è anche pane d’amore, perchÈ ci pone in comunione con colui che ha così tanto amato da accettare liberamente il sacrificio supremo per la salvezza di tutti.
Non è facile praticare la legge evangelica dell’amore. Non è facile amare senza stanchezza, amare sempre, amare anche coloro che non sono amabili, amare anche quelli che ci vogliono e ci fanno del male. Eppure le nostre azioni agli occhi di Dio valgono non per la loro bravura o la loro risonanza, ma in proporzione della generosità del cuore da cui sono mosse e animate.
Solo questo “pane d’amore” può rendere possibile e perfino facile e gioioso, ciò che alla nostra natura è ostico e impraticabile. Solo coloro che lo ricevono degnamente, nell’umiltà e nella fede, si trovano arricchiti nell’anima e nel comportamento dal tesoro più prezioso di tutto, che è il tesoro della carità.

Questa “riscoperta della carità” è in fondo la grazia più pertinente da chiedere in questa sera dell’ultima cena, quando, come abbiamo ascoltato, “Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1), cioè fino a mettersi tra le nostre mani come cibo che sostiene il nostro incerto e penoso pellegrinaggio terreno.
Infine l’Eucaristia è altresì “pane di vita”. Questa è anzi la connotazione sulla quale il Signore sembra avere insistito di più. Egli ha detto: “Io sono il pane della vita” (Gv 6,48). E inoltre: “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,51). E ancora: “Chi mangia di questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,58).

Chi riceve con le dovute disposizioni l’Eucaristia accresce la vita eterna che il battesimo gli ha infuso, e accende nel suo cuore la vivezza della fede. PerchÈ nella sua sostanza “questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3).
Se si smarrisce la conoscenza saporosa e coinvolgente di colui che è stato inviato come unico Salvatore, non si trova più la strada per andare al Padre. E se scompare dal nostro interiore orizzonte la figura di colui che è il Dio vivo e vero, da cui tutto proviene, si eclissa anche l’uomo, il senso della sua dignità, la persuasione del pregio e della sacralità della sua vita. E’ ciò che sta avvenendo in una società che, avendo perso di vista il Creatore, moltiplica gli attentati e le aggressioni alle creature che sono l’immagine viva di Dio.
Un popolo di Dio che ritorni ad avere fame del “pane di Dio”, del pane della libertà, dell’amore e della vita: questa è la grande speranza dell’umanità in questo annebbiato tramonto del secolo. Questa è l’accorata implorazione che eleviamo al Padre in questa sera pensosa e suggestiva del Giovedì Santo.

09/04/1998
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