Santa Messa in coena domini

         Contempliamo il mistero dell’Eucarestia. Quest’anno del Congresso Eucaristico ci aiuta a fermarci, a ricomprendere il mistero sempre nuovo della sua presenza, che pure si lascia spezzare e versare per noi. Facciamolo con la stessa devozione di San Francesco che “Ardeva di amore in tutte le fibre del suo essere verso il sacramento del Corpo del Signore, preso da stupore oltre ogni misura per tanta benevola degnazione e generosissima carità”. Lui esortava i suoi frati dicendo che “quando vedi un povero, pensa a Colui nel nome del quale viene, Cristo, che prese sopra di sé la nostra povertà e infermità La povertà e infermità di questo meschino è, infatti, come uno specchio nel quale dobbiamo vedere e contemplare con tenerezza l’infermità e povertà che il Signore nostro Gesù Cristo portò nel suo corpo per la nostra salvezza”. Pane e poveri. Corpus Domini e Corpus Pauperum. Eucarestia e sacramento del fratello, a cominciare dal più piccolo.
La liturgia di oggi unisce queste due presenze, che sono inseparabili. A tutti è chiesto il servizio sacerdotale, quello per cui tutti ringraziamo Dio di averci ammessi alla sua presenza a compierlo qui e quello che c’è chiesto incontrando il prossimo. Non possiamo ricevere nell’eucarestia il perdono e la pace di Dio senza divenire uomini di perdono e di pace. Non possiamo partecipare al banchetto eucaristico senza diventare uomini di condivisione. E’ rivolto a tutti noi l’invito dell’Apostolo: “in ogni cosa rendete grazie”, cioè “fate eucarestia in ogni cosa ” (1 Ts 5,18). Diventiamo uomini eucaristici con la nostra gioia. “Quello che ha fatto il Figlio di Dio, fallo anche tu, secondo le tue forze, diventando un artefice di pace per te stesso e per gli altri, come Dio si è immolato per mettere pace fra le cose del cielo e quelle della terra, per riconciliarti con il Dio dell’universo e fare di te un suo amico”, scrive Giovanni Crisostomo. Due mense che dobbiamo apparecchiare e di cui gioire. Come quella sera, quando Gesù chiese di dare loro stessi da mangiare alla folla, i discepoli si saziarono insieme alla folla. In realtà siamo tutti accolti e commensali dello stesso amore.
L’agnello che viene offerto per noi e per molti, è un sacrificio. E’ certo una privazione, un amore più grande della conservazione e della paura. Il sacrificio è possibile ed è gioia se vissuto nell’amore. Noi abbiamo paura, perché crediamo possibile stare bene senza sacrificio, come una resurrezione senza croce, inganno che ci lascia quello che siamo. Invece niente è mai perso di quello che doniamo e doniamo a Dio. Noi presentiamo quello che lui ci ha donato e che è sempre molto di più di ciò che noi stessi potremmo provvedere. E’ Dio che si sacrifica. Si dona per liberarci dalla paura di perderci, quella che ci fa restare sempre uguali, diffidenti, ricchi e incredibilmente avari, calcolatori e diffidenti, che ci allontana da ciò per cui siamo stati creati e che è quanto abbiamo di veramente umano che è l’amore. Noi non saremo mai un suo possesso e lui non lo sarà mai di noi, perché un dono e dobbiamo cercarlo ogni giorno, perdendo noi stessi nell’amore e servendo. Il re diventa schiavo, il forte debole. Lui servo ci ricorda che “chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,43-45). Solo chi è servo diventa grande. Questo è il mistero che oggi si rivela e che capiamo solo nell’amore, perché l’amore domanda amore. Lo impariamo tutti diventando davvero docili alla sua Parola, cioè imparando a parlare re come un figlio impara ascoltando suo padre. Poi imparerà a farlo colla sua voce e con le sue parole, anche se avrà sempre bisogno di ascoltare per capire, per trovare le parole giuste, per lasciarsi aiutare, incoraggiare nella babele di questo mondo. Non è muto il corpo che oggi celebriamo. Non disprezziamo in maniera pratica quanto ci dice! Non dobbiamo avere una venerazione analoga a quella del corpo, portare la sua Parola nel cuore, masticarla, diventarne attenti ascoltatori e soprattutto capirla vivendola?
L’Eucarestia è unita al servizio ai fratelli, ad iniziare dai poveri, che sono i più piccoli, non degli utenti. Oggetto del pietismo e paternalismo. Guardandoli così troveremo le parole, i gesti, la voglia di amari e adottarli. Non troveremo mai il fratello perfetto da amare, giustificando così il poco amore o peggio l’indifferenza o la distanza. I poveri fanno parte della chiesa! Non amiamo la chiesa perché perfetta, pura, senza macchia! La amiamo peccatrice com’è, anche se qualche volta abbiamo preso le pietre e le abbiamo tirate addosso ai fratelli, sentendoci anzi in diritto di farlo. Spesso ci piace e di fa sentire dalla parte giusta giudicare chi è bravo o chi sbaglia, a conservare riserve dentro di noi, che poi diventano freddezze, prudenze, distanze. La mensa di questa cena si compie anzitutto con la comunione tra noi, tutta umana e tutta di debolezze riscattate da Lui, cercando quei “tutti” che ci sono affidati e che fanno già parte della mensa anche se noi non li conosciamo ancora. Siamo tutti invitati per grazia e non piccoli padroni, maestri saccenti. Gesù non dice ai discepoli soltanto: ricordatevi di me! Li rassicura. Conosce la loro debolezza, le paure, i facili sensi di disillusione, le incertezze. Per questo li rassicura dicendo: “io resto con voi, non vi lascio orfani” e continua a donarsi.
Questo anno abbiamo riflettuto tanto sull’invito, rivolto a ciascuno e al noi che sono tutte le nostre comunità “Voi stessi date loro da mangiare”. Il bisogno è tanto. Non ci lamentiamo perché c’è troppa folla e non abbiamo pane o ne abbiamo poco. Anzi, è entusiasmante la folla, non ci stanchiamo di conoscerla, di avvicinarla, di sentire le sue domande e se ci commuoviamo sentiremo la gioia di condividere con loro la sofferenza. Facciamo innamorare di Cristo e del suo oggi con la nostra gioia, con l’attenzione, con la gratuità, perché solo così arriviamo alla verità tutta intera, non prima. A volte lo rendiamo antipatico senza nemmeno accorgersene, scegliendo il rassicurante atteggiamento del maestro, piuttosto che quello del fratello. Il linguaggio di un rinnovato colloquio con la gente non è la dottrina, ma l’amicizia. Vuol dire donare a tanti gratuitamente il pane, senza calcolare se non la vicinanza e la solidarietà. Papa Francesco, che ringrazio di cuor per la decisione di venire a trovarci, prepara la strada con una predicazione ed un esempio così eloquenti, vicini e che avvicinano. Pane e Parola.
“Accostatevi a lui e saziatevi, perché egli è pane di vita. Accostatevi a lui e bevete, perché egli è a sorgente. Accostatevi a lui e siate illuminati, perché egli è la luce. Accostatevi a lui e diventate liberi, perché dove c’è lo Spirito del Signore lì c’è libertà e diventate liberi”. (Ambrogio di Milano, Commento al Salmo 18)

13/04/2017
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