Santa Messa nelle esequie di don Marco Martoni

Cari Confratelli, cari Domenico e Teresa, caro Luca,
non vogliamo rassegnarci al male. Lo vediamo imprevedibile, vigliacco, rubare la vita di giovani ragazze nella loro primavera; si manifesta armare la follia atea e la bestemmia della violenza in nome di un Dio che essi non conoscono e che li maledice, perché Caino è maledetto da Dio proprio perché spegne la vita del proprio fratello. Lo abbiamo incontrato la sera della domenica della palme, spegnere la giovane vita di don Marco, nostro fratello. Davvero la morte è sempre ingiusta e di fronte al male, nonostante l’esperienza non smettiamo di   interrogarci sempre, tutti. Non possiamo abituarci al male. Non possiamo provare indifferenza di fronte al dolore. Proprio ieri pomeriggio abbiamo pregato per Marco insieme a tanti genitori “in cammino”, quelli che hanno da piangere, come Maria, la perdita di un figlio. C’era tanta vicinanza tra loro e tanta comprensione per i genitori di Marco, per il fratello, perché tutti loro conoscevano bene il dolore. Eravamo a San Luca, dove credo Marco si recasse spesso. Ecco, ho pensato che questa è Maria, la nostra madre e che questa è l’immagine più vera della  Chiesa, di questa famiglia di uomini e donne che tutti ci accoglie e che conosce bene la sofferenza, perché è la sua, la vive in prima persona, perché resta sotto la croce, come una madre che non si stacca dal letto di dolore del proprio figlio perché vive le vicende degli uomini non con distacco, non con aulica presunzione o magistrale verità, ma con piena misericordia e con la commozione intima delle viscere di materne. Oggi è la sofferenza di questa chiesa di Bologna che piange un suo figlio giovane. Ed ho visto concretamente questo cuore domenica sera, pochi minuti dopo la scoperta della sua morte, quando spontaneamente, come veri familiari, tanti hanno riempito la piccola chiesa di Sant’Agostino per farsi illuminare da quella lampada per i nostri passi che è la parola di Dio e per scambiarsi sotto la croce della sua morte un abbraccio di vera pace, per dirci che abbiamo sempre bisogno gli uni degli altri e che nessuno rimane solo nella sua sofferenza. Insieme a Maria non possiamo mai e per nessuno accettare la morte, la logica del male, perché la nostra vita chiede la vita, perché aneliamo alla luce che inizia con la speranza e che la fede ci aiuta a cercare e a vedere anche nel buio, che la carità ci permette di sentire e di diffondere.
Marco non aveva celebrato domenica. Celebra la liturgia del cielo in quella casa dove Gesù è andato a preparare un posto anche per lui. Marco ha spezzato lui il pane e versato il vino nuova alleanza offerto per tutti da Gesù, che prende ancora oggi il posto a tavola e desidera mangiare questa Pasqua con noi. Il suo servizio all’altare del pane della parola e del suo corpo è primizia dello stesso pane degli angeli che diventa pane degli uomini. “Per le Tue vie portaci dove tendiamo, alla luce in cui tu abiti”, chiediamo nel canto del panis angelicus. Dio la morte la prende su di se non in maniera virtuale, didattica, ma morendo egli stesso. Anche per questo abbiamo scelto una parte delle letture dell’ultima domenica di Marco, del Signore che entra in Gerusalemme ben sapendo la sua condanna a morte, agnello innocente, sacrificio perfetto perché di solo amore. Gesù entra in Gerusalemme per aprire la Gerusalemme anche a Marco. Da allora nessuno muore solo, perché Gesù è lì con lui, colui che pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Oggi è pasqua per lui, che è stato uno di quei discepoli che avevano lasciato tutto per seguirlo. Erano e siamo uomini, resi puri non dai meriti, non dalla ipocrita perfezione dei farisei, ma dalla misericordia infinita di quel maestro che ben conosce i loro limiti, le loro contraddizioni, che li e ci aiuta a cambiare rivestendoci continuamente con il suo perdono. Marco, lo sanno bene i genitori e il fratello, era determinato nel vivere per gli altri, fin quando da giovane ha scelto di seguire il Signore e di donarsi tutto a lui, umile e accogliente, schivo e disponibile. E così ha fatto fino alla fine. Mi ha scritto don Giorgio Dalla Gasperina, che ringrazio, come ringrazio di cuore tutti i confratelli per l’affetto che hanno dimostrato per Marco come “tanta parte della vita sacerdotale di don Marco è stata vissuta nella Parrocchia di San Severino, come Cappellano, per dieci anni. Nessuna realtà della vita della Parrocchia era a lui estranea, perchè in tutte era coinvolto profondamente ed affettivamente. Grande era la sua disponibilità e la sua attenzione per le persone, anche se alle volte poteva apparire burbero. Faticava ad accettare l’insincerità e la non limpidezza dei rapporti, e quando avvertiva questo provava imbarazzo e fatica. La sua vita in parrocchia era sempre disponibile ad ogni evenienza, e la viveva anche nei servizi più umili dei quali non molti si accorgevano. Sapeva stare assieme a tutti, ai ragazzi, ai giovani, agli adulti, agli anziani, e ci si sentiva da lui accolti, anche perché faceva di tutto per aiutare le persone che si rivolgevano a lui. Don Marco aveva doni che forse in pochi conoscono: l’abilità per la grafica, specie attraverso l’uso del computer, la conoscenza della lingua francese, e la familiarità con alberi, piante e fiori, con le loro proprietà terapeutiche, per non parlare della sua abilità in cucina.. Nella vita spirituale era riservato e profondo, e non amava la ostentazione. Chi lo ha conosciuto lo ha apprezzato e ne ringrazia il Signore”. Credo che anche i nostri fratelli di Sant’Agostino della Ponticella possono dire la stessa cosa. A Brescia, in gennaio, dove lo avevo conosciuto per la prima volta, mi aveva colpito, perché aveva insistito che i simboli si costruiscono non in laboratorio, ma nella realtà. Ha cercato di vivere quell’indicazione evangelica, affidata proprio dal Signore nell’ultima cena, per cui chi tra voi è più grande diventa come il più giovane, e chi governa come colui che serve.
Sentiamo tanto la necessità di prendere con noi questa madre e di farci prendere da essa, di aiutarla perché protegga tanto i suoi figli, perché ci renda forti di fronte al male, perché ci aiuti ad avere sempre una vita buona, non cediamo al pervasivo “salva te stesso”, ultima tentazione di Cristo.
Concludiamo con alcune parole di Marco, che esprimono la sua fede e ci aiutano anche a noi. E’ una sua Omelia di solo 2 mesi fa per la morte di Alberto bimbo della sua parrocchia, di 12 anni. “Davanti ad ogni morte, in particolare a una morte di una persona cara e così giovane, non riusciamo che a balbettare e aprirci al silenzio. Un silenzio che parla attraverso il dolore e la vicinanza concreta gli uni degli altri. Come voi non capisco perché la morte possa colpire un bambino, ma ho una certezza che desidero comunicare anche a voi. So che la morte- anche questa morte- non è la fine, ma l’inizio di una vita nuova. Ne sono certo perché credo alla Parola e alla testimonianza di Gesù, che si è immerso nella nostra morte e è passato da morte a vita e ci ha aperto la speranza che la morte non è l’ultima parola, ma è un passaggio verso l’amore pieno e l’abbraccio di Dio Padre. Oggi viene rafforzato, se possibile, l’affetto e l’amore per lui, l’affetto e l’amore che non finisce qui, e che non verrà mai vanificato. Nella fede crediamo che non c’è nessuna lacrima che non verrà asciugata, nessun dolore che non sarà consolato, nessun sacrificio che non sarà ricompensato, nessuna gioia che non troverà pienezza. Da quando sabato mattina mi è arrivata la terribile notizia, ho chiesto al Signore non di capire ma di imparare. Imparare a spendere meglio il resto della mia vita in ciò che veramente conta; a non perder tempo ed energie in falsi problemi, ad esser più vicino a chi sperimenta il mistero della croce; a non lasciarmi schiacciare dalla fretta che ci fa perdere le cose più importanti. Il volto di Alberto, gentile e sorridente, da allora mi accompagna costantemente, come se volesse ricordarmi gli impegni presi. E adesso, con un nuovo amico in Paradiso, è ancor meno nemico il pensiero della morte. Significa anche chiedere per noi una fede più solida nella vita eterna e un impegno più convinto ad amare: se cerchiamo di amare non abbiamo nulla da temere, perché l’abbraccio del Padre e delle persone care che abbiamo amato sarà tanto più intenso quanto più avremo amato”. Oggi Marco incontra e abbraccia Alberto, vede faccia a faccia il mistero di amore, luce per la nostra vita, che è il figlio Gesù, nostra pasqua.
Mite e festoso ti appaia il volto di Cristo, pienezza della misericordia che conosce tutte le nostre debolezze, che si abbassa fino a terra per sollevarci fino al cielo e apre a noi, ladroni, le porte del suo regno. Amen per te, caro fratello. Prega per i tuoi, per la chiesa, prega per noi. In pace.

23/03/2016
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