Scienza eo Sapienza

        
         Mi introduco nel tema partendo da una riflessione di S. Agostino. Egli scrive che «esiste, nello spirito di ciascun uomo, una specie di matrimonio [quoddam rationale matrimonium] tra la ragione contemplativa e la ragione attiva, con l’attribuzione a ciascuna di funzioni diverse, ma senza compromettere l’unità dello spirito» [La Trinità 12, 12, 19; NBA IV, pag. 489].
         La persona umana è posta al confine fra un universo di verità e di esigenze intangibili e un universo di esigenze più contingenti, perché più legate al nostro vivere nel tempo. Per rispondere alla sua collocazione di confine, la persona umana è dotata di una razionalità pratica che la tiene “coi piedi per terra”, ed è dotata di una razionalità sapienziale che le fa volgere gli occhi al cielo.
         Ho visto giorni fa una meridiana sulla quale era scritto “mea regula coelum est”. Questo strumento è una delle metafore più belle della posizione dell’uomo: la regola della meridiana è il movimento di un astro, ma il suo scopo è misurare il tempo dei mortali sulla terra.
         Varie volte ho pensato che poche attività umane mettano in atto quella duplice funzione della ragione di cui parlava Agostino, come l’esercizio della medicina: scienza, arte, e sapienza. E’ di questo che vorrei parlarvi. Lo farò scandendo la mia riflessione in due tempi. Nel primo parlerò della tensione non eliminabile del tutto tra scienza e sapienza nell’atto medico; nel secondo indicherò come nell’atto medico possa celebrarsi quel “rationale matrimonium” di cui parlava Agostino.
1.      [La tensione tra scienza e sapienza]. La medicina praticata oggi è in larga misura figlia della scienza moderna. Una delle caratteristiche fondamentali di questa, come è noto, è l’oggettività. Questo termine nel contesto dell’impresa scientifica ha un preciso significato. Esso denota un procedimento dal quale devono essere escluse e la soggettività irripetibile dello scienziato e l’eventuale soggettività della realtà studiata. Ho detto eventuale, poiché esistono ambiti del sapere scientifico che non hanno questo problema: per esempio, l’astronomia.
         La cifra dell’oggettività del sapere scientifico è la verificabilità – o falsificabilità, come oggi si preferisce dire – del risultato conseguito. Ogni scienziato può ripetere l’esperienza che ha portato il collega al risultato pubblicato, e verificarne/falsificarne la validità. La categoria della verificabilità è di tale importanza che l’impresa scientifica moderna potrebbe essere connotata come il metodo del verificabile. Tutto ciò che è inverificabile, nel senso preciso appena detto, non è, non può essere oggetto del sapere scientifico. Ogni proposizione che esprima una realtà inverificabile – es. la seguente proposizione “meglio subire che compiere l’ingiustizia” – è scientificamente inverificabile, e quindi insignificante per il sapere scientifico.
         Non c’è alcun dubbio che la metodologia del verificabilefalsificabile ha prodotto grandi risultati: risultati che per millenni l’umanità riteneva sogni e utopie. Non è dunque retorica dire che l’impresa scientifica è una delle cose più grandi prodotte dallo spirito umano. Ed i tentativi, a fasi alterne ritornanti, di negare questa impresa, anche nella sua rilevanza per la medicina, sono segno di grande stoltezza.
         Ma la pratica scientifica intesa come metodologia del verificabile ha in se stessa un grave pericolo, quello di negare semplicemente ciò che è semplicemente escluso metodologicamente. Trasformare un espediente metodologico in un giudizio di esistenza. Poiché non posso verificare che sia meglio subire piuttosto che compiere un’ingiustizia, devo concludere che quella proposizione esprime solo un’opinione. Non dice nulla di reale, se non che uno pensa, alcuni [molti o pochi] pensano che è meglio subire piuttosto che compiere l’ingiustizia.
         In poche parole. Il rischio è la riduzione dello spettro del reale allo spettro del verificabile.
         Ciò basta al nostro scopo per descrivere l’impresa scientifica moderna. Ho detto che la medicina è figlia dell’impresa scientifica moderna. Non ho bisogno di dilungarmi molto su questo. E’ la vostra pratica quotidiana.
         L’ambito del vostro sapere e della vostra prassi quotidiana è la natura psico-fisica della persona umana, e lo scopo delle vostre ricerche e pratiche è preservare quella natura nel suo stato proprio, e ristabilirlo quando è stato compromesso.
         Stando così le cose, la medicina non poteva far proprio non solo i risultati del sapere scientifico, ma anche il metodo scientifico. Diagnosticare ed analizzare seguendo protocolli sperimentati le cause della malattia; ricercare dei rimedi per debellarla. Uno dei segni più chiari di questa legittima ascrizione della medicina alla scienza è la crescente importanza della strumentazione tecnica nel suo esercizio.
         Tuttavia è innegabile che in casa della scienza la medicina non si trova propriamente e completamente a proprio agio: non si sente completamente a casa propria. Per almeno due ragioni.
         La prima. Il risultato della ricerca scientifica è per sua stessa natura universalizzabile. Ciascuno può prendere il posto di ciascuno sul microscopio e verificare quanto dice il collega. Galileo, alla fine, si limitò a dire ai filosofi e teologi dell’Università di Padova di mettersi davanti al cannocchiale e controllare di persona quanto diceva.
         La prassi medica – ripeto: la prassi medica – è più complessa. Essa si regge su deliberazioni, su decisioni prudenziali. Uso il termine prudenziale nel senso classico del termine. Si basa, cioè, su un uso della ragione che tiene assieme ed il puro risultato scientifico universalmente valido e la condizione soggettiva dell’ammalato. «La phrónesis – dice Aristotele – non è solo conoscenza dell’universale, ma deve conoscere anche i casi individuali, poiché è pratica e l’azione concerne i casi individuali» [Et. Nic 1141b]. E’ un uso della ragione che coniuga assieme e il sapere scientifico di carattere universale e la condizione della persona di cui il medico sta prendendosi cura. E così la soggettività messa fra parentesi dalla scienza moderna, nella pratica medica esce prepotentemente dalle parentesi.
         «La medicina non è una scienza con uno statuto epistemologico assimilabile a quello delle scienze naturali e sperimentali. E’ la più umanistica delle scienze naturali e la più esatta delle scienze naturali. Pur servendosi delle conoscenze di numerose discipline…se ne differenzia, perché il suo oggetto non è totalmente misurabile e sperimentabile né vi si possono applicare automaticamente forme di conoscenza ritenute esatte e neutrali». [M. Pelaez, art. Medicina, in G. Tanzella-Nitti e A. Strummia (a cura di) Dizionario interdisciplinare di Scienza e Fede 1, Urbania University Press – Città Nuova 2002, pagg. 911-912].
         L’uso della ragione richiesto dalla prassi della medicina non è esattamente lo stesso di quello richiesto dalla prassi scientifica. Non è solo scienza; è anche necessariamente prudenza.
         La seconda ragione per cui la medicina non si trova completamente a proprio agio nella casa della scienza, è più profonda e pone problemi più gravi.
         Parto da un esempio. E’ noto a tutti, anche ai più profani, lo sviluppo odierno delle tecniche procreative umane. La c.d. procreatica artificiale è diventata una branchia della medicina. A chi, persone ed istituzioni, fa qualche obbiezione si risponde in sostanza: «ciò che è possibile, è legittimo».
         Riflettiamo attentamente su questo sofisma: la riduzione della legittimazione di una prassi alla sua possibilità tecnica, purché questa sia risposta ad un desiderio ritenuto legittimo dalla persona che chiede l’intervento.
         Si hanno in azione in questo sofisma due riduzioni. In primo luogo la riduzione della capacità operativa umana alla capacità tecnica, dimenticando che esiste anche un agire umano della volontà libera diverso; in secondo luogo la riduzione della motivazione umana all’oggetto del solo desiderio, dimenticando la “egemonia”, come la chiamavano i Greci, della ragione nei confronti del desiderio.
         Questa esemplificazione mette in chiaro che la medicina ha a che fare con verità che strettamente non appartengono più al suo ambito. Si faccia ben attenzione. Non si tratta di una giustapposizione estrinseca; si tratta di intrinseca necessità della prassi medica. Ogni medico si trova, prima o poi, nella condizione di dover pensare che non tutte le cose scientificamente provate, vere nella sua scienza, siano lecite nella pratica. La prassi medica esige un uso della ragione non identificabile pienamente coll’uso che della ragione fa la scienza. Chiamo questo uso, uso sapienziale della propria ragione.
         L’esigenza del giudizio sapienziale si fonda ultimamente su una visione completa della persona umana, su un’antropologia adeguata alla totalità della persona umana.
         Da questa prospettiva si vede come la messa fra parentesi del soggetto umano, propria della scienza moderna, è alla fine inaccettabile dalla medicina.
         Termino il primo punto della mia riflessione. La mia tesi in esso sviluppata si può sinteticamente riformulare nel modo seguente. La medicina è figlia legittima della scienza moderna, e non deve negare questa legittimità. Ma essa ha una sua autonomia perché ha bisogno di un uso prudenziale, e di un uso sapienziale della ragione. E la logica della prudenza e della sapienza non coincide colla logica della scienza.
2.      [Il “ragionevole matrimonio” tra scienza e sapienza]. Vorrei in questo secondo punto della mia riflessione chiarire che cosa intendo per “sapienza”; per logica sapienziale.
         Parto da un fatto. Posto di fronte ad un’opera d’arte – una scultura di Michelangelo, per esempio – posso studiarla da diversi punti di vista. Dal punto di vista della storia, della biografia dello scultore. Posso studiala dal punto di vista della storia dell’arte, sia in rapporto al passato: in che rapporto sta la scultura di Michelangelo colla scultura precedente; in che rapporto colla scultura seguente, quali influssi ha avuto.
         Nel caso poi che abbia bisogno di un restauro serio, studio la scultura anche dal punto di vista chimico, per conoscere le cause del deterioramento e porvi rimedio adeguato.
         Ma c’è un modo di guardare la scultura assolutamente diverso da quelli precedenti: vedere intellettualmente la pura e semplice bellezza della scultura, la sua luminosa essenza, la quale fa sì che quel pezzo di marmo non sia come tutti gli altri pezzi di marmo, ma abbia in sé una preziosità incomparabile.
         Un’altra considerazione, sempre desunta dall’esempio. Esiste sicuramente una profonda diversità fra questo ultimo modo di guardare la scultura e tutti gli altri modi. La diversità non consiste che l’uno – poniamo la ricerca storica – esige un esercizio anche faticoso della ragione, mentre lo sguardo estetico non è un fatto ragionevole: non ho mai visto un cane fermarsi davanti ad una statua di Michelangelo o ad ascoltare una Cantata di Bach.
         La vera diversità consiste che i primi modi di vedere l’opera d’arte sono di carattere settoriale; intendono essere risposta ad una domanda precisa; sono limitate ad un campo di indagine. Lo sguardo estetico coglie l’aspetto principale, essenziale, dell’opera d’arte. Esso pertanto è il meno unilaterale, il meno limitato ed il meno pragmatico, poiché non è orientato su un aspetto secondario, ma su ciò che definisce l’opera d’arte come tale, la sua essenza.
         Da questa semplificazione si può comprendere che cosa è la sapienza di cui vado parlando, e nel contesto in cui ne parlo. La scienza e la prudenza medica hanno lo stesso oggetto materiale della sapienza: la persona umana. Il modo di rapportarsi allo stesso è profondamente diverso, in quanto il  primo vede la persona umana dal punto di vista della sua salute psico-fisica da salvaguardare o da ristabilire. Lo sguardo sapienziale vede nella persona che la medicina sta curando, semplicemente la persona umana.
         E’ questo uno sguardo…sul niente? È cioè un’illusione? Oggi molti lo pensano, ma è uno degli errori più gravi in cui possa cadere un intelletto umano: non “vedere” che essere “qualcuno” è essenzialmente diverso che essere “qualcosa”. Non vedere questo sarebbe come pensare cha la Pietà di Michelangelo che si trova in S. Pietro, è uno dei tanti pezzi di marmo, adducendo come argomento che ha la stessa composizione chimica degli altri pezzi di marmo. Il che è vero. La sapienza infatti non falsifica la scienza. L’errore sta nel ridurre la totalità dell’oggetto ad una sua dimensione. Quando questo accade, la scienza ha divorziato dalla sapienza.
         Che cosa vede lo sguardo sapienziale dell’uomo, quello sguardo di cui ha bisogno il medico nell’esercizio della sua ragione scientifica e prudenziale? Mi limito ad alcuni cenni essenziali, poiché la risposta completa alla suddetta domanda esigerebbe una lunga riflessione.
         L’essenziale l’ho già detto: vede che la persona umana è incomparabile; non è cioè riducibile alle sole leggi fisiche, bio-chimiche. Si dice: non esiste la malattia, ma il malato. La non completa riducibilità della persona a bios, rivela che la persona ha in sé una preziosità la quale non è riducibile alla preziosità propria di ciò che è utile: quante conseguenze ha questa affermazione nell’allocazione delle risorse!
         Qualcuno potrebbe pensare: ma quale influsso pratico ha questo sguardo sapienziale sull’uomo nell’esercizio della medicina? Da un certo punto di vista nessuno. Se infatti la domanda nasce dal convincimento che la sapienza possa sostituire o correggere i risultati della ricerca scientifica, la risposta non può essere che quella che ho dato. La sapienza di cui sto parlando non insegna quale terapia prescrivere. Non è questo il suo compito. Il matrimonio della scienza e della sapienza non ha…ragioni utilitarie.
         La sapienza è l’ispirazione originaria dell’esercizio della medicina. Lo sguardo sapienziale garantisce il rapporto di base medico-paziente, perché esso ha di questi la conoscenza di ciò che veramente è: una persona dotata di incomparabile valore. La scienza e la prudenza esigita dall’esercizio della professione medica, non sposata alla sapienza, non è capace di una conoscenza e di una prassi fondata ultimamente sull’essenza e sul significato dell’uomo.
         Termino questo secondo e ultimo punto della mia riflessione. La mia tesi che ho sviluppato in esso, può essere riassunta nel modo seguente.
         Lo sguardo sapienziale di cui necessita la scienza e la prudenza medica è lo sguardo che vede nell’uomo una persona, qualcuno di incomparabilmente prezioso in se stesso e per se stesso.
         Il “ragionevole matrimonio” fra scienza e sapienza nell’esercizio della professione medica è necessario per evitare ogni visione riduttiva – naturalistica e scientista – del paziente.
        
3.      [Conclusione]. Se quanto ho detto è vero, non possiamo non chiederci come educare chi apprende la scienza medica allo sguardo sapienziale sull’uomo. Ritengo la questione pedagogica assai importante. La domanda ha accompagnato tutta la storia spirituale dell’Occidente da Socrate in poi: la virtù può essere insegnata [come si insegna la scienza]?
         Vi chiedo di costatare un fatto: la scienza non comincia sempre da capo; essa progredisce sulla base dei risultati già raggiunti.
         Esiste invece un sapere che deve sempre ricominciare da capo. Esso è costituito dalla risposta alle domande fondamentali della vita.
         Lo sguardo sapienziale appartiene a questo secondo ambito del parere. Ciascuno deve imparalo da sé.
         Tuttavia esistono delle iniziazioni propedeutiche a questa conquista personale. Ne vedo principalmente due.
         La prima è l’insegnamento dell’etica medica, che è materia diversa dalla bioetica e dalla medicina legale. Non entro nei dettagli del problema accademico.
         L’etica introduce lo studente di medicina dentro ai grandi temi dell’uomo, quali il tema della libertà, della legge morale, della coscienza. E’ una via privilegiata dunque per accedere a quel nucleo essenziale della persona umana che è l’io, nella sua consistenza eterna, nel suo valore incondizionato.
         Senza questa iniziazione rischiamo di preparare medici incapaci di andare oltre ad analisi di laboratorio, a protocolli terapeutici, e così via.
         La seconda è molto più importante, e mi piace porre termine alla mia riflessione con la seguente osservazione.
         Lo studente di medicina ed il giovane medico impara la sapienza dalla testimonianza di maestri sapienti. E’ questa la via maestra, come per altro dimostra la storia della medicina. Il bene esercita la sua forza di attrazione quando prende carne ed ossa in una persona.
         Vi ringrazio della vostra attenzione.
        

07/03/2015
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