Incontro con i genitori dei Cresimandi – Educazione e Autorità

            Vorrei riflettere con voi sul tema dell’autorità nel rapporto educativo. Molte sono le ragioni che hanno oscurato negli educatori, anche nei genitori, la percezione della necessità che l’educatore eserciti una sua propria autorità. La mia tesi è che senza autorità non è possibile alcun rapporto educativo.
01.      Devo partire da una premessa. E’ di carattere generale, ma ha una notevole importanza per il tema che stiamo affrontando.
            Il linguaggio umano, messo a confronto colla ricchezza e la complessità della vita, è costretto non raramente ad usare la stessa parola per parlare di realtà molto diverse. E’ il nostro caso.
            La parola AUTORITA’ viene usata – per esempio – per indicare il rapporto fra lo Stato ed il cittadino. Si dice, infatti, autorità delle leggi, autorità del governo e così via. La stessa parola AUTORITA’ viene usata anche per dire che una persona ha una particolare competenza in un preciso settore. Si dice infatti per esempio che il tal medico è una vera autorità nel campo dell’oncologia. Potei fare molti altri esempi. Questi bastino per mostrarvi la povertà del nostro linguaggio costretto come è ad usare la stessa parola per indicare cose diverse. Per non cadere in confusioni o errori, è spesso necessario spiegare bene in che senso preciso si usa il termine AUTORITA’, quando si parla di educazione.
            Non è raro che chi rifiuta l’autorità nel rapporto educativo, se richiesto che cosa intenda esattamente, confonda autorità con autoritarismo. E’ come se confondessimo polmoni e polmonite, la fisiologia con la patologia.
            La prima domanda dunque alla quale cercheremo di rispondere è: in che cosa consiste, che cosa è l’autorità dell’educatore?
1.        Per rispondere dobbiamo prima dire in maniera molto sintetica che cosa significa educare una persona.
            L’umanità del bambino che arriva in questo mondo, non è una pianta già piena di frutti. E’ piuttosto un seme che deve essere coltivato perché cresca fino alla maturazione. L’educazione consiste nel far maturare l’umanità del bambino fino alla sua piena fioritura. Ma, per chiarezza, devo essere più concreto.
            L’umanità del bambino non è solo un corpo che deve essere nutrito perché cresca fino all’età matura. E’ intelligenza che desidera conoscere la realtà: quanti “perché” dicono i bambini! E’ capacità di amare e desiderio di essere amato. Quando una mamma dice che non gli vuole più bene, non raramente il bambino piange. Siamo fatti per amare ed essere amati, non per odiare ed essere odiati. L’umanità del bambino è desiderio di bene, di giustizia. L’educatore è come se avesse di fronte un campo dove è già avvenuta la semina, e deve coltivarlo. Educare una persona significa coltivare la sua umanità.
            Riprendo il discorso sull’autorità, partendo proprio da questo concetto: educare è coltivare l’umanità di una persona.
            Non qualsiasi modo di coltivare un campo seminato è giusto, adeguato. Può far morire i semi. Sono necessarie almeno alcune conoscenze di base. E come si fa a coltivare l’umanità di una persona? Quando veramente facciamo crescere quei semi di cui parlavo? Queste sono domande grandi, che non siamo noi per primi a formulare. Ogni grande spirito si è fatto queste domande, ben consapevole che dalle risposte dipende il futuro di un popolo. Ascoltate questo dialogo tra Socrate [469-399 a.C.] e il suo scolaro Alcibiade.
Socrate:      Avremmo mai conosciuto qual è l’arte che migliora la qualità delle                         calzature, se non conoscessimo la scarpa?
Alcibiade:    Impossibile.
Sacrate:      E neppure, perciò, qual è l’arte che migliora la fattura degli anelli se                                 non conoscessimo l’anello?
Alcibiade:    Vero.
Socrate:      Facciamo un altro passo. Potremmo conoscere l’arte che migliora                          l’uomo stesso se non sapessimo chi è l’uomo stesso?
Alcibiade:    Impossibile.
                                                                                    [Alcibiade Maggiore 128 E]
 
            In questo testo ci è data la risposta che cercavamo. Per far crescere l’umanità di una persona è necessario che l’educatore abbia una precisa visione della persona umana. Senza di essa non è possibile prendersi cura dell’uomo.
            Ora possiamo capire in che cosa consiste l’autorità dell’educatore. Consiste nel fatto che egli fa crescere la persona umana secondo quella visione, quel progetto di umanità che ritiene essere vero, buono, giusto. Non si può costruire un edificio senza il progetto disegnato prima. L’educatore esercita autorità in quanto coltiva l’umanità dell’educando secondo il suo [dell’educatore] progetto.
            E a questo punto nasce una difficoltà contro l’autorità dell’educatore, che può essere formulata nel modo seguente: che diritto ha l’educatore di imporre un proprio progetto di vita? La risposta negativa non è rimasta scritta sui libri. E’ entrata nella prassi educativa, ed è una delle cause principali dell’emergenza educativa in cui ci troviamo. E’ una difficoltà dunque che va presa molto sul serio. 
            Partiamo da una riflessione di carattere generale. La spontaneità non coincide colla libertà: anche gli animali sono spontanei, ma non sono liberi. La spontaneità non implica l’uso della ragione. Mi spiego con un esempio. Vedo una gelateria in un giorno di gran caldo e spontaneamente, senza ragionare molto, sono spinto ad entrare e comprare un gelato. Ma poi mi ricordo che ho il diabete, e quindi decido di rinunciarvi. La libertà implica sempre l’uso della ragione. Essa si esprime nella scelta [mangiare – non mangiare il gelato], che ha le sue radici nella ragione.
            Tenendo conto di questo, che cosa fa l’educatore? Propone un progetto di vita che ritiene vero e buono, cioè corrispondendo alle esigenze dell’umanità della persona che sta educando. A chi si rivolge l’educatore? All’intelligenza, al cuore della persona che sta educando, perché faccia liberamente propria quella proposta.
            Che cosa muove l’educatore? Il desiderio di fare il bene della persona che sta educando; la certezza che quanto sta proponendo è vero, è giusto. E quale argomento può esibire per mostrare la verità e la bontà della sua proposta di vita? Non la forza [=autoritarismo], ma la TESTIMONIANZA della sua vita e della vita di chi ha vissuto secondo quel progetto.
            L’autorità dell’educatore si regge tutta su questo “ragionamento”: “vivi secondo questo progetto, perché così io faccio, e ti assicuro che una vita vissuta in questo modo, è una vita buona, vera, bella, giusta. E così ti assicurano chi ha vissuto in questo modo”. E’ meglio vivere come M. Teresa che come Hitler!
            L’autorità propria dell’educatore è quella della TESTIMONIANZA, non quella dell’EGEMONIA. E la forza della testimonianza non si impone, ma si propone alla libertà, provocando una risposta, la quale può essere anche negativa.
            L’alternativa infatti quale sarebbe? La rinuncia ad ogni proposta, rimandando alla spontaneità della persona che sto educando. E’ come se l’educatore dicesse: “purché non si facciano male, facciano ciò che si sentono di fare”. Oppure l’imposizione di alcune regole, senza che trovino corrispondenza nel profondo del cuore.
            La proposta educativa ha in sé certamente un rischio da cui non può liberarsi. La persona giunta a maturazione può rifiutare l’educazione ricevuta. Non è segno, questo, che l’educatore ha fallito. Al contrario. Ha generato una persona libera.
2.        In questo secondo punto vorrei precisare alcuni dettagli del discorso precedente. Dettagli importanti.
            à       Non è esclusa la necessità che l’educatore, specialmente se genitore, debba ricorrere anche…alle maniere forti, proprio in ragione della sua autorità.
            à       L’educazione diventa non difficile, ma impossibile se l’educatore non ha alcun progetto educativo; se non possiede alcune certezze fondamentali sulla vita. Sarebbe come se uno volesse fare la guida alpina e non conoscesse i sentieri.
            à       Forse, ascoltando la mia riflessione, sarete tentati di pensare che educare sia molto complicato. Non è così: è difficile, ma non complicato. Il metodo educativo fondamentale è, come ho detto, la testimonianza. Vivendo assieme colla persona che si sta educando, l’educatore trasmette quel progetto di vita secondo cui vive, quasi senza accorgersene. E’ per questo che la famiglia è la più grande scuola educativa, poiché essa è per sua natura stessa comunione di vita. E per questo la famiglia non può abdicare alla sua responsabilità educativa, dal momento che è insostituibile.
            Consentitemi di terminare con una riflessione che avrei preferito non proporvi. Ho appena detto che la famiglia non può abdicare alla responsabilità educativa. Anche nei confronti della scuola. Non nel senso che il genitore debba insegnare… la matematica al professore di matematica. Ci sono competenze che vanno rispettate.
            Ma quando si impone la trasmissione o l’insegnamento di ideologie che i genitori giudicano non avere alcun fondamento sulla realtà, essi hanno il diritto di dare o non il loro consenso. Per uscire dal vago, sto pensando alla teoria del gender. Essa è semplicemente la distruzione dell’alfabeto della comunicazione umana. Dovete sapere che cosa si intende trasmettere con questa teoria ai vostri figli, e prendere l’iniziativa anche di impedire un indottrinamento obbligatorio.
            Il Signore vi protegga nella vostra mirabile missione di far fiorire l’umanità dei vostri figli.

01/03/2015
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