Seconda domenica di Pasqua – Messa per le Confraternite

Oggi è la domenica della Misericordia, voluta San Giovanni Paolo II che ha lasciato questo mondo proprio nella domenica in cui si celebrava questa memoria. Il nostro pensiero di gratitudine e di ammirazione va alla sua memoria, purtroppo infangata da affermazioni che non hanno alcuna giustificazione. La misericordia che Giovanni Paolo II ha vissuto in tutta la sua vita certamente può raggiungere chi le pronuncia, ma non impedisce di rifiutare radicalmente il contenuto e il metodo di quelle che sono vere e proprie diffamazioni gratuite, che offendono chi le pronuncia.

La misericordia non è giusta? Giuste e “vere” sembrano piuttosto le parole senza pietà, senza finzioni, del fratello maggiore della parabola, che dice le cose come stanno, senza fare sconti, in maniera ruvida ma anche realistica. Allora? La misericordia è irreale? È verità quella del fratello maggiore? È dabbenaggine quella del Padre che sembra non rendersi conto, o addirittura tradire, la giustizia, annullandola, mettendo tutto sullo stesso piano: chi ha speso tutto e chi non ha nemmeno mai chiesto un capretto per fare festa? Gesù indica qual è la scelta di Dio, la sua verità: la misericordia del Padre, ben diversa dal fare finta, dalla pigra bonarietà complice o fintamente comprensiva. Il Padre fa festa perché il figlio è tornato in vita, perché lo ha riavuto sano e salvo, perché è suo figlio e lo inizia subito a trattare come tale.

Misericordia è festa di vita ritrovata, perché è amore pieno, compimento della giustizia, non tradimento! Deve essere pure la nostra scelta, ricordandoci anche l’ammonimento ad essere misericordiosi per trovare noi la misericordia della quale abbiamo bisogno. Il nostro è un Dio che ama e il suo giudizio è quello sull’amore. E guardate che è molto più esigente dei sacrifici, ci coinvolge tutti e richiede tutto noi stessi. Non hai misericordia se hai il cuore altrove e non arrivi alla misericordia se resti attaccato alla giustizia retributiva, cioè senz’amore. Altrimenti ha ragione il fratello maggiore. Solo se ami come il Padre prepari la festa e abbracci tuo fratello! Solo se pensi che è tuo fratello e non puoi vivere senza di lui gli corri incontro e lo abbracci.

Quanto il mondo ha bisogno di misericordia e di una casa dove tutto ciò che è mio è tuo! Anticipa la casa del cielo. Realizza il “fratelli tutti”. È un riflesso di paradiso ogni volta che ci pensiamo insieme e impariamo ad accordare i nostri cuori tanto da diventare una cosa sola, cioè ci amiamo. In cielo saremo una cosa sola, pienamente inseriti in quel mistero di amore che è Dio e le sue tre persone, comunione tra il Padre, il Figlio e lo Spirito. Allora la vera questione è amare, scegliere di amare, con intelligenza, insistenza, dono, proprio come Gesù.

Oggi ci troviamo intorno a Maria come figli della nostra Chiesa bolognese. Siamo diversi. Le nostre confraternite hanno storie antiche, importanti. Siete diversi, come si vede dalle vostre vesti, dall’abito confraternale. Dobbiamo metterlo, perché esprime l’appartenenza a qualcosa che abbiamo di molto caro, che ci custodisce e che noi vogliamo custodire. Sappiamo, poi, che il vero abito è quello del nostro cuore, della nostra vita, insomma le persone che siamo sotto le apparenze. Senza appartenenza restiamo soli o ci perdiamo.

Cerchiamo, però, come abbiamo fatto oggi, di camminare insieme. E, inoltre, non rendiamo le nostre confraternite dei club chiusi, ma invitiamo tanti perché possano aiutare il Signore, o nei vostri servizi specifici oppure solo nell’amicizia. Sosteniamo tutti le attività. La grandezza delle confraternite è proprio questa: il coinvolgimento pieno dei laici che ne sono i veri responsabili. Oggi ne abbiamo un grande bisogno, anche perché le confraternite superano il territorio parrocchiale, proprio come oggi le zone. Ve lo ha ricordato il Papa recentemente, invitandovi a camminare sulle orme di Cristo; insieme; annunciando il Vangelo sulle orme di Cristo e vivendo la carità tra di voi e con tutti. Davvero il Signore continua a scrivere il suo Vangelo nel grande libro della vita e nel nostro personale libro che siamo ognuno di noi.

Possiamo dire che la prima comunità era una confraternita! Anzi, lo era talmente tanto che avevano un cuore solo e un’anima sola, avevano tutto in comune e nessuno era povero. Forse era anche una grande partecipanza! Sì, in realtà la comunità è sempre una realtà dove impariamo a volerci bene e a farlo non mettendoci noi al centro ma seguendo tutti Gesù, l’unico che insegna ad amare fino alla fine, anzi senza fine, inclusi i nostri nemici, quelli con cui la storia l’avremmo finita da tanto! Ecco la nostra gioia. I cristiani non sono tristi, anzi direi che non possono essere tristi malgrado ne abbiano motivi.

E chi non li ha? Li troviamo anche quando non li abbiamo! In queste pandemie che tolgono il respiro e riempiono di paura il cristiano continua a guardare avanti, ad alzare il capo per riconoscere il Signore che viene, che non ci lascia soli. L’apostolo ci invita: “Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro, torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà”. E non siamo messi alla prova da Gesù, ma dal male, che vuol dimostrare che non vale la pena, che dobbiamo solo pensare a salvare noi stessi, che c’è solo la paura, che puoi al massimo annullarti spegnendo la luce invece di amare fino alla fine. Perché solo l’amore non finisce e solo l’amore rende eterna la nostra vita.

Ecco, per Tommaso era finito tutto. Come spesso avviene, l’incontro con il male lo aveva reso amaro, malinconico, chiuso a qualsiasi speranza che in fondo poteva farlo soffrire di nuovo. Non voleva più sentire nulla. Forse, come quando muore qualcuno molto amato, muore anche in noi l’amore, niente ha gusto e ci appassiona più, tutto ci sembra vano, irritante, senza valore. Insomma, non crede più a niente. Ecco perché risponde in quel modo così ruvido, quasi volgare, pensando ai chiodi e al debole corpo di Gesù che ne era stato trafitto.

Ma lo aveva proprio nel cuore, e lo facevano ancora soffrire. Tommaso aveva creduto a Gesù. Aveva detto: “Andiamo a morire con lui!”, quando Gesù scelse, rischiando la vita, di tornare in Giudea per Lazzaro, il suo amico che era malato. Gesù ci porta sempre la pace. Anche nel cuore. Il cristiano deve saper dire a tutti, con le sue parole, con la sua faccia: “Pace a voi”. Gesù non umilia Tommaso: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo ma credente!”. Perché nelle ferite? Per capire un amore non astratto, non virtuale, ma vero, sofferto, come è l’amore vero, più forte della sofferenza, che non la evita, la vince. Possiamo mettere il dito nella carne di Cristo, cioè nella sua umanità e in quella dei suoi e nostri fratelli più piccoli.

Possiamo non avere paura della concretezza dell’amore, la gioia non è un’illusione fuori dal mondo, ma il mondo che cambia. La fragilità diventa luce, gloria di vita.  Gli rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Finalmente è davvero “mio”, e quindi capisce che è “suo”. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. Quanti segni abbiamo se cerchiamo la vita non nella gloria degli uomini ma in quella di Dio, cioè nelle fragilità che riflettono la sua luce di amore e diventano, proprio quelle che nascondiamo, forza di vita! Il Signore stesso è un Dio ferito. Si è lasciato ferire dall’amore verso di noi. Le ferite sono per noi il segno che Egli ci comprende, si lascia ferire dall’amore verso di noi perché ama la nostra vita, e quelle ferite diventano sempre motivo di luce e di gioia.

Ecco perché il vescovo Hemmerle pregava così: “Io auguro a noi occhi di Pasqua capaci di guardare nella morte fino alla vita, nella colpa fino al perdono, nella divisione fino all’unità, nella piaga fino allo splendore, nell’uomo fino a Dio, in Dio fino all’uomo, nell’io fino al tu”.

Bologna, Santuario di San Luca
15/04/2023
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