Solenne Te Deum di fine anno

Il Te Deum – ringraziamento invece di lamento o pretesa – ci fa proprio bene! E’ un momento profondo e spirituale per tutti, perché aiuta a fermarsi, a non vivere di affanni, di sovrapposizioni compulsive che riempiono i vuoti ma rendono tutto uguale e fanno perdere il sapore alle cose. Siamo qui per ringraziare Dio e chiedere per tutti il dono della pace. E anche questo ci fa bene, perché la pace non può essere divisa e se manca a qualcuno manca a tutti. Oggi è con noi chi la cerca disperatamente perché non può vivere senza e ci ricorda quanto è un bene che non possiamo sciupare. Se la guerra è mondiale, divisa in pezzi, la pace anche è mondiale, e dobbiamo cercarla per tutti i pezzi che soffrono. Quando ci confrontiamo con orizzonti grandi, con il limite della nostra vita, con lo scorrere dei giorni e proviamo a scrutare il nostro futuro, avvertiamo la vertigine e la fragilità di fronte ad un’ampiezza che ci umilia, ma, allo stesso tempo, ci aiuta a comprendere a cosa siamo chiamati. Stasera ci presentiamo davanti all’Autore della vita per comprendere, nella nostra debolezza, la sua e la nostra grandezza. Ci domandiamo – e anche questo ci fa bene perché la vita che scorre non è mai solo un problema di agenda e dobbiamo sempre imparare a contare i nostri giorni per essere saggi – come abbiamo vissuto il tempo che Lui ci ha donato. Lo abbiamo sciupato o abbiamo saputo spenderlo per gli altri? Lo abbiamo consumato come tante altre cose pensando che non finisca mai o lo abbiamo investito nell’amore che va oltre di noi, unico modo per conservarlo?
Questa sera, sollecitati dalla presenza della Marcia nazionale organizzata da Pax Christi, Caritas e Azione Cattolica, parleremo di pace. Del resto è un auspicio così legato ai ostri giorni: senza la pace tutto è messo in discussione. Seguiamo il consiglio di Mazzolari che diceva che “quando si parla di pace bisogna parlarne come ne parlano i fanciulli, non pensando a nient’altro, non ne­gando con le mani o col cuore ciò che le labbra dicono”. La pace, infatti, è un bene pieno: sulla pace non si ragiona né si distingue! È una parola che non sopporta aggiun­te e caricature. Quando Paolo VI volle la giornata della pace, è la 50°, la pensò aperta a tutti, perché fosse “augurio e promessa che sia la Pace con il suo giusto e benefico equilibrio a dominare lo svolgimento della storia avvenire”. Nel messaggio di questo anno Papa Francesco ripropone una via che in questi tempi di ipocrita e finto realismo sembra ingenuo: la non violenza. La propone sia nel livello locale e quotidiano, quindi personale, come in quello mondiale, collettivo, dimensioni finalmente non contrapposte. Egli pensa che la non violenza sia lo stile caratteristico “delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, delle nostre azioni, della politica in tutte le sue forme”. Per questo anche sono contento oggi di accogliere qui la Marcia per la pace, in questo luogo che unisce non solo la Chiesa ma tutta la nostra città, casa comune di cui abbiamo tanto bisogno per non sentirci isolati e vivere senza riferimenti. Le tradizioni più antiche della nostra città sono da sempre di accoglienza e di dialogo, riserva di capacità e umanità necessarie per affrontare le sfide complesse che questi cambiamenti epocali ci pongono. Vogliamo farlo con la determinazione che il dolore e la sofferenza del mondo esigono, in nome delle vittime di ieri e di oggi. La guerra, le guerre, dichiarate o non, sono sempre una inutile strage che segna la vita di milioni di persone e condiziona per tutta la vita, perché la guerra non finisce mai con la fine del conflitto! Cinquanta anni fa era chiara la minaccia della guerra e la necessità di impegnarsi per la pace di fronte al “pericolo della sopravvivenza degli egoismi nei rapporti tra le nazioni”; a quello delle violenze, a cui alcune popolazioni possono lasciarsi trascinare per la disperazione nel non vedere riconosciuto e rispettato il loro diritto alla vita e alla dignità umana; al pericolo, oggi tremendamente cresciuto, del ricorso ai terribili armamenti sterminatori, di cui alcune Potenze dispongono, impiegandovi enormi mezzi finanziari, il cui dispendio è motivo di penosa riflessione;  al pericolo di credere che le controversie internazionali non siano risolvibili per le vie della ragione, cioè delle trattative fondate sul diritto, la giustizia, l’equità, ma solo per quelle delle forze deterrenti e micidiali”. E il traffico delle armi, le spese militari sono in aumento costante! Non c’è pace senza disarmo. Non c’è disarmo se non tacciono i cannoni, se non si smontano, oltre alle ram­pe missilistiche, anche gli spiriti, perché “la pace non si regge sull’equilibrio degli armamenti, ma solo sulla vicende­vole fiducia, sul disarmo dei cuori”. (Pacem in Terris, 113). Noi, siamo consapevoli della violenza o ci siamo assuefatti ad essa? Alla guerra sono legati le sue tante sorelle, quelle del terrorismo, della criminalità e di attacchi armati vigliacchi, imprevedibili; ma anche gli abusi subiti dai migranti e dalle vittime della tratta, la devastazione dell’ambiente e la perdita di quel miracolo che è la vita di ogni uomo! Non ci abitueremo mai alla morte dei tanti martiri innocenti come Aylan. Papa Francesco ci offre un’indicazione molto concreta: la non violenza stile di una politica per la pace. Non è solo un impegno fuori di noi, ma dentro; non è una parentesi ma uno stile; non è solo una pur importante buona azione esemplare ma è una politica per la pace. La pace inizia in quel mondo che è il mio cuore, dove passa la linea tra il bene e il male. Non è mai indifferente come vivo, sia nel male ma sia anche nel bene. Siamo spesso così individualisti da credere che tutto inizia e finisca con me. Non aspettiamo la fine della violenza per scegliere di essere non violenti! Significa non arrendersi al male e combatterlo con l’unico muro che protegge per davvero, con l’unica arma efficace e intelligente che può davvero sconfiggerlo, quella che è di Dio e in realtà la più vera dell’uomo: l’amore, con l’intelligenza e la forza che questo significa. Questa è la “rivoluzione cristiana” di cui parlava Papa Benedetto XVI. Richiede scelte impossibili? No. “La pratica della piccola via dell’amore, di non perdere l’opportunità di una parola gentile, di un sorriso, di qualsiasi piccolo gesto che semini pace e amicizia. Una ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo”. Così si costruisce la pace, disarmando i cuori, la lingua dalle parole dure e dai pregiudizi, le mani, dalla violenza fisica e dall’inaccoglienza che ferisce anch’essa. Paolo VI diceva, sempre nel 1968, che “Pace non è pacifismo, non nasconde una concezione vile e pigra della vita, ma proclama i più alti ed universali valori della vita; la verità, la giustizia, la libertà, l’amore”. “Il cristiano è un “uomo di pace”, non un “uomo in pace”, scriveva P. Mazzolari. Vogliamo una politica per la pace, nel senso più alto e nobile di questa parola nella quale non smettiamo di credere. Non si tratta di pie intenzioni o una dimensione intimista, solo esistenziale, ma di una convinzione che ispira scelte e decisioni. Solo la nonviolenza porta le risposte che il mondo cerca. Senza la nonviolenza la pace sarà sempre minacciata dagli interessi. Senza motivazioni alte prevarranno quelle nascoste di interessi economici e dei nazionalismi. Pace significa fare sì che “ogni conflitto sia trasformato in un anello di collegamento di un nuovo processo”. Bandiamo la violenza dal nostro cuore, dalle parole, dai gesti e vedremo le loro spade spezzate, aratri e falci, perché “una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra”, ma quella più divina e più umana che è l’arte della pace. L’unica che darà futuro al mondo. Questo sì che è un anno Buono. Soprattutto per chi verrà dopo. E questa è speranza, pensare a loro. Ne abbiamo un grande bisogno. La pace è possibile. Inizia da me e diventa uno stile che si diffonde.

31/12/2016
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