Solenne Te Deum di fine anno

“Noi ti lodiamo, Dio. Tu nascesti dalla Vergine Madre per la salvezza dell’uomo. Tu hai aperto ai credenti il regno dei cieli.  Tu verrai a giudicare il mondo alla fine dei tempi”. E’ venuto e verrà. Viene. Il passare inesorabile del tempo ci invita a riconoscere i segni della sua presenza e a valutare con saggezza i nostri giorni. La memoria ci consiglia la sobrietà, cioè la capacità di tornare all’essenziale liberi dalle apparenze, cercando la semplicità che “permette di fermarci a gustare le piccole cose, di ringraziare delle possibilità che offre la vita senza attaccarci a ciò che abbiamo né rattristarci per ciò che non possediamo”. La sobrietà non è meno vita, anzi, esattamente il contrario. “Si può aver bisogno di poco e vivere molto”. La felicità, che tutti cerchiamo, richiede di limitare alcune necessità che ci stordiscono, scoprendo le vere possibilità che offre la vita. E così capendola di più. Ecco perché oggi ringraziamo, liberi dal vittimismo e dalla lamentele. Prendo in prestito un’immagine del Cardinale Caffarra, che proprio questo anno ci ha lasciato ed è entrato nel tempo senza tempo. “Gli antichi usavano per misurare il tempo la clessidra, la quale è rimasta poi comunque nel nostro immaginario. Ci sono due modi di guardare la clessidra. Guardare i granellini di sabbia che lentamente, ma ininterrottamente, scendono fino vuotare la parte superiore. Oppure guardare la parte inferiore che va gradualmente riempendosi, fino alla pienezza. L’apostolo Paolo questa sera ci invita a “guardare la clessidra” nella parte inferiore: “quando venne la pienezza del tempo” egli ci ha detto “Dio mandò il suo Figlio nato da donna”.
Anche in questo anno ci siamo confrontati con fenomeni epocali, di grandi dimensioni e avvertiamo acuta la nostra piccolezza! In realtà restiamo piccoli proprio quando ci crediamo grandi e così finiamo per litigare tra noi invece di affrontare per davvero le difficili sfide. I grandi vedono la realtà solo in relazione a sé e fanno diventare tutto soggettivo, personalistico tanto che non fanno nulla se non conviene. I piccoli sono quelli che hanno un cuore grande perché ascoltano la Parola e vogliono imitare Gesù, cercano di combattere il nemico e amare i nemici, di costruire qualcosa per gli altri, di sforzarsi sempre di trovare quello che unisce. Siamo chiamati ad essere come Maria, l’umile, che proprio per questo compie, lei, piccola donna di Nazareth, le cose più grandi. Non è questione di capacità. Anzi. Spesso ne abbiamo tante! Maria non ne aveva affatto secondo il mondo. Il problema è come ci pensiamo, cosa facciamo di noi stessi, se usiamo le capacità per vantarci presi dal penoso narcisismo oppure per rendere migliore il prossimo. Ecco, grande davvero è chi supera se stesso per amore, chi si pensa per gli altri e per questo aiuta volentieri; chi cerca quello che conviene a tutti, ad iniziare dai poveri. Un tempo come il nostro ha bisogno di uomini veri, grandi di amore e per questo capaci di grandi sogni.
Contiamo, allora, i nostri giorni, non per amarezza fugace, ma per seria e serena consapevolezza. Non rimandiamo le decisioni, sapendo che l’inizio di ogni cosa è sempre piccolo. Se facciamo crescere una generazione senza aiutarla, senza adottarla o senza dargli diritti come pensiamo di chiedere i doveri? Se non siamo credibili noi, cioè conseguenti alle nostre parole, come aiuteremo gli altri? Se riduciamo tutto al nostro io e non ci sacrifichiamo per nessuno, non costruiamo il futuro per chi viene dopo di noi ma anche per noi. Non rimandiamo. Il futuro inizia da me, da te. Non dire: sono deluso da tutto, perché è proprio la tentazione del male che vuole confonderti e farti credere che non vale la pena, che niente cambia e che tanto tutto torna come prima! Non guardare con fatalismo. Abbiamo la responsabilità di non dissipare quello che abbiamo, di non rincorrere risposte velleitarie che rendono un’appendice inutile l’umanesimo, come fosse ingenuità o poca efficienza, mentre è proprio solo da questo che possiamo partire per affrontare le sfide. Vogliamo guardare avanti con speranza, non certo con oroscopi fantastici o con soluzioni urlate e improbabili. Chi si confronta con la vita che non finisce ama quella finita e la comprende meglio! Davanti al mistero della vita scegliamo di compiere il bene sempre, recuperando il servizio, l’onestà, la solidarietà, possibili a tutti.
Questo anno il Congresso Eucaristico – nel quale ci siamo interrogati sulla domanda della folla e siamo stati coinvolti da Gesù che ci chiede di dare noi tessi da mangiare, spezzando il Pane del suo Corpo e la sua Parola, diventando noi stessi pane per i Poveri – e la visita di Papa Francesco ci hanno aiutato tanto a guardare con occhi rinnovati la città degli uomini, a contemplarla, a capirla con quel reagente che fa vedere il prossimo che è la misericordia. Lodiamo e cerchiamo la capacità di avvicinare ogni persona e cosa con rispetto, a non girarci dall’altra parte, ad amare in maniera gratuita senza secondi fini, a cercare il bene con semplicità e sincerità per contrastare la rassegnazione al degrado ambientale ed etico e per rendere Bologna ancora più bella, crocevia di attese, capace di dare futuro a chi lo cerca. Pratichiamo quell’amicizia sociale che nasce dal Vangelo, che tanto serve e che può rendere bella e sicura la nostra casa comune. La bonomia significa proprio cercare il bene nell’altro e mostrare noi il bene, regalarlo. Mette a proprio agio. E’ la prima accoglienza verso qualcuno. Non è un galateo formale e alla fine ipocrita, ma l’impegno, affidato a ciascuno, di trattare tutti e sempre con rispetto, di non pensarsi indifferenti a quello che ci accade intorno, di crede che in ognuno c’è nascosto un bene da scoprire e dai aiutare a far fiorire. L’accoglienza non è un rischio senza sicurezze, ma un’opportunità che ci chiede di amministrare bene quello che abbiamo, per fare grande il nostro paese e l’Europa, all’altezza della cultura e dell’eredità che ci è stata affidata. Il diritto alla speranza di cui ha parlato il Papa ai giovani è in realtà affidato anche a ciascuno di noi e tutti ne gioveremo. Ha detto che essi hanno diritto “a crescere liberi dalla paura del futuro, a sapere che nella vita esistono realtà belle e durature, per cui vale la pena di mettersi in gioco. È il diritto a credere che l’amore vero non è quello “usa e getta” e che il lavoro non è un miraggio da raggiungere, ma una promessa per ciascuno, che va mantenuta”. Ognuno può diventare artigiano di questa speranza. Il sogno è costruire un’umanità che diventi “sempre più famiglia di tutti e la nostra terra una reale “casa comune”.
Chi siamo in realtà? Dei pellegrini, viandanti verso una meta oltre quel limite ch’è la morte. Un popolo di pellegrini. La nostra visione della vita non è ciclica, non si chiude in sé, ma è quella di un cammino che cerca il suo compimento, la sua pienezza, che è Cristo, prima e ultima lettera della nostra vita. Ricordarci che camminiamo per un tratto più o meno lungo ma sempre limitato ci aiuta a non perdere le occasioni, a migliorare e rendere umana la vita intorno a noi con la nostra umanità, ad aiutarci, a confortarci, sapendo che andiamo tutti verso la stessa direzione, che abbiamo bisogno l’uno dell’altro e tutti ci incontreremo.
San Francesco diceva così: “Sia ringraziato Colui che non sembra pensare ad altri che a noi”. Sì. E noi, forti di questo amore abbiamo la forza per pensare il bene del prossimo.
“Salva il tuo popolo, Signore, guida e proteggi i tuoi figli. Sia sempre con noi la tua misericordia: in te abbiamo sperato”.

31/12/2017
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