solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo

Bologna, Cattedrale

La giornata di oggi ci invita a pensare al papa, ci esorta a ricordarci di lui con affetto e ammirazione per il suo eroico servizio ecclesiale, ci sollecita ad aiutarlo non solo con la nostra preghiera ma anche con la generosità dell’offerta che in questa messa si raccoglie per sostenere il suo ministero e la sua azione di carità. Ed è anche l’occasione di approfondire un punto importante della fede cattolica.

La Chiesa di Bologna fin dai suoi primordi onora san Pietro come suo speciale patrono, tanto da intitolare al suo nome la propria cattedrale. E noi, nella sua festa e in questo tempio a lui dedicato, vogliamo non perdere l’occasione di meditare ancora una volta, con animo nuovo e nuova attenzione, sulla pagina sacra or ora proclamata, che rievoca in modo così suggestivo la personalità e la missione del Principe degli apostoli.

L’episodio, di cui ci ha parlato il Vangelo, avviene fuori del territorio israelitico, nei pressi della città pagana di Cesarea di Filippo. Noi registriamo in esso – ed è un caso raro nella vicenda evangelica – la gioia e l’entusiasmo di Gesù, che arriva a dire all’antico pescatore di Galilea, come singolarmente non ha mai detto a nessun altro: “Beato te! Beato te, Simone figlio di Giona” (cfr. Mt 16,17).

E’ la gioia e l’entusiasmo di chi per la prima volta si sente compreso sino in fondo, di chi gode di essere stato colto nella sua più intima e segreta realtà da parte del discepolo affezionato, che con sicurezza aveva esclamato: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!” (Mt 16,16).
Dalle labbra di Pietro ascoltiamo dunque la prima professione sintetica ed esauriente della fede che ancora oggi noi professiamo; fede che è tutta incentrata e compendiata nel mistero adorabile e salvifico dell’Unigenito del Padre divenuto uno di noi.

E dalle labbra di Gesù – quasi a felice risposta e ad adeguato completamento – ascoltiamo per la prima volta il nome e il prodigio salvifico della Chiesa; di quella Chiesa, madre e maestra, che è la ragione e la garanzia della nostra vittoria sulle implacabili e soverchianti forze del male: “Le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16,18).
Come si vede, a Cesarea di Filippo siamo in presenza di uno dei momenti più alti della Rivelazione di Dio agli uomini; della Rivelazione di Dio e del suo disegno di redenzione.

“La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?” (Mt 16,13). E’ curioso che il Signore comincia la sua inchiesta dagli “altri”, dagli estranei, dalla folla che lo conosce da lontano e perciò lo conosce poco.
Ma forse lo fa proprio prevedendo che la risposta sarebbe stata discorde e deludente. In tal modo voleva probabilmente farci toccare con mano e ammonirci che quando si tratta delle persuasioni fondamentali dell’esistenza, quando si tratta delle cose che contano per la salvezza eterna dell’uomo, quando si tratta degli inevitabili problemi religiosi, è aberrante e inutile mettersi alla scuola degli opinionisti mondani, dei raffinati cultori di ciò che è effimero e frivolo, dei magniloquenti profeti del nulla.

Essi parlano ossessivamente da mille cattedre, ma parlano senza l’autorità di un mandato ricevuto dall’alto e senza intrinseca autorevolezza. Non hanno alcun autentico nutrimento da offrire al nostro spirito, che ha sete di verità non di chiacchiere, che ha fame di misericordia e di sostanziosa consolazione non di scenografie svagate e alienanti.

“Voi chi dite che io sia?” (Mt 16,15), incalza sùbito il Signore: rispondete adesso voi, miei apostoli; voi, che io ho scelto perché diventiate i maestri del mio Vangelo; voi che dovrete essere il sale della terra e la luce del mondo. Toccherà a voi, che sarete posti a guida della comunità dei miei discepoli, rispondere alle interpellanze degli uomini circa la vera strada della salvezza; toccherà a voi ricordare instancabilmente all’intera famiglia umana chi sia l’unico e insostituibile salvatore.

A nome di tutti risponde la sola voce di Pietro – e risponde bene – perché sia subito chiaro che tra i veri credenti in Cristo non si ammettono discordanze di pareri a proposito delle certezze fondamentali e necessarie. Quando prevale la confusione delle lingue, è segno che lì c’è ancora Babele, lì non c’è la Chiesa come il Signore l’ha pensata e voluta; lì non è ancora arrivata la Pentecoste. La “nazione santa”, il “popolo che Dio di è acquistato” (cfr. 1 Pt 2,9) è – ci ammonisce san Paolo – “un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siamo stati chiamati”; possiede “un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” (cfr. Ef 4,4-5).

La Chiesa, fondata da Cristo su Pietro; la Chiesa che è il volto, la voce, il sacramento in terra del Regno dei cieli; la Chiesa che è il dono e il miracolo perenne della inesauribile Pentecoste; la Chiesa che è il capolavovo dello Spirito Santo, uno e unificante, è allergica alle divisioni, alle interne contestazioni, al multiloquio dispersivo e forviante, che rischia di coprire la voce limpida e immutabile dell’unico vero Maestro e di farci perdere di vista la volontà del Padre, che è volontà di concordia nella verità, di pace nel rispetto della giustizia, di comunione delle menti e dei cuori nell’adesione senza riserve all’unico Redentore.

Il Creatore del cielo e della terra continua ancora oggi a parlare agli uomini per bocca di quel Pietro, che Gesù ha posto a fondamento insostituibile della sua Chiesa.
A ogni successore del Capo degli apostoli, che nei secoli parla “ex cathedra” in perfetta consonanza con il millennario magistero della Sede di Roma, conviene sempre la lode pronunciata a Cesarea di Filippo dal Figlio di Dio: “Beato te, che sei Pietro, perché non ti poni in ascolto di ciò che ti dice ‘la carne e il sangue’ (cioè la mentalità del mondo che si chiude alla verità e alla saggezza divina), ma ti fai portavoce forte e coraggioso di ciò che ti ispira dal mio Vangelo il Padre mio che sta nei cieli” (cfr. Mt 16,17).

In questi giorni l’edificio della nostra fede e della giusta vita ecclesiale è insidiato dalle tempeste di inauditi assalti al fatto cristiano, dall’inondazione di ideologie antievangeliche che sembrano tutto travolgere, dai venti infidi di un edonismo senza freni e senza pudori. Ma esso sarà in grado di reggere sino alla fine dei secoli, se noi non cesseremo di affidarci alla “pietra” che il Signore ha collocato proprio perché fosse, nella volubile storia umana, ragione di stabilità e di indefettibilità per la sua Chiesa.

Possiamo allora parafrasare così l’immagine con la quale Gesù conclude il suo grande “Discorso della montagna”: “Chiunque ascolta e non dimentica la mia parola – la parola che a Cesarea di Filippo io ho detto a Pietro – e la mette poi in pratica nella docilità della sua mente e del suo cuore, riuscirà a preservare intatta tra le bufere dei nostri tempi la costruzione mirabile della sua esistenza cristiana”.
“Caddero le piogge, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia” (Mt 7,25).

29/06/2002
condividi su