solennità dei ss. Pietro e Paolo

Bologna, Cattedrale

Oggi abbiamo la gioia di tornare a celebrare le lodi dell’Apostolo Pietro in questa cattedrale, che i nostri Padri hanno a lui dedicata fin dai primordi del cristianesimo bolognese e che noi abbiano amorevolmente restaurata, riportandola al primitivo splendore.
Intitolando a lui questo tempio, centro e cuore della nostra realtà ecclesiale, i nostri antichi fratelli di fede hanno inteso affidare al Principe degli apostoli le sorti e la vitalità di questa città e di questa diocesi. E noi, curandone il totale rinnovamento, abbiamo voluto confermare la loro devozione e la loro fiducia.

Pietro è un santo che sentiamo vicino anche in virtù della sua concreta umanità che, proprio come la nostra, non è stata esente da debolezza e da errori. E anche per questo ci è caro. Del resto, egli è stato vicino e carissimo allo stesso Signore Gesù, che ha fatto di lui quasi l’emblema più alto e perspicuo della sua volontà di misericordia; una volontà che non solo non si arrende di fronte alla colpa, ma addirittura fa della colpa l’occasione e il mezzo per affermare l’amore invincibile che presiede al disegno divino di salvezza e per qualificarlo specificamente come amore che perdona e redime.

Questo pescatore di Galilea, capace di slanci e capace di cedimenti, noi lo sentiamo dunque dei nostri; e non ci intimidisce. Non ci intimidisce nemmeno quando lo contempliamo nella sublimità di un destino che non ha confronti nella storia umana; non ci intimidisce nemmeno quando udiamo la voce del Re dell’universo che gli dichiara: “Tu sei la roccia che sosterrà nei secoli la mia Chiesa; tu sei più potente delle potenze degli inferi; tu puoi disporre del Regno dei cieli” (cf Mt 16,18-19 ). E appunto per questa sua “prossimità” con noi e con le nostre interiori povertà , ci è più facile metterci alla sua scuola e meditare sui suoi insegnamenti.

Abbiamo molto da imparare da lui. Per esempio, dai suoi trascorsi, non tutti encomiabili, apprendiamo a non contare troppo sulle nostre forze; a non confidare in noi stessi, ma solo nella grazia di Dio; a non pronunciare parole che poi ci riesce difficile onorare coi fatti. Noi ricordiamo i suoi detti spavaldi dell’ultima cena: “Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò” (Mc 14,29). “Se anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò” (Lc 14,31). “Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte” (Lc 22,33). E ricordiamo altresì che egli “pacatamente fu rimproverato da Cristo per aver avuto la presunzione di arrogarsi la fermezza, senza tener conto di quanto fosse debole la sua natura” (S. AMBROGIO, In Psalmum 47 9).

L’infortunio di Pietro ci ammonisce sì , ma al tempo stesso non manca di incoraggiarci. “Se Pietro fu tentato, chi potrebbe affermare di non essere soggetto alla tentazione? E senza dubbio Pietro fu tentato a nostro vantaggio, affinchè… in lui imparassimo a vincere l’aculeo della tentazione con le lacrime della nostra resistenza” (ID. De excessu fratis II,27).
Il tradimento di Pietro, però, non dura a lungo: egli pecca, ma non persevera nel peccato. Gli occhi di Gesù, che incontrano i suoi nel cortile del sommo sacerdote, disperdono di colpo le tenebre del suo cuore. “Mentre ancora parlava, un gallo cantò.
Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: ‘Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte’. E uscito, pianse amaramente” (Lc 22,60-62). “Dove c’è lo sguardo del Signore, li c’è la luce: non appena cade su Pietro, lo sguardo del Signore lo illumina” (S. AMBROGIO, Apologia David 68). È una luce impietosa e compassionevole insieme, perchèè la luce della verità: non ci lascia nell’autoinganno e non ci culla nell’illusione che il male non sia male, ma ci dischiude nuovamente l’animo al bene.

I veri pentimenti non sono mai senza qualche tormento interiore; ed è questo tormento interiore a sollecitare la divina pietà. Il Signore “perdonò immediatamente a Pietro, perchÈ subito pianse amarissimamente: Se anche tu verserai lacrime amarissime, Cristo rivolgerà lo sguardo verso di te e la tua colpa svanirà” (ID. De paenitentia II, 92).

Al male – per operare i suoi disastri – basta uno spazio breve di tempo. Il ravvedimento invece deve durare tutta la vita nell’adesione alla volontà del Signore. E tutta la vita Pietro fu fedele alla missione di pastore universale che aveva ricevuto da Gesù: proprio con questa fattiva fedeltà, oltre che col suo pianto, si è totalmente e perfettamente riscattato. “Nutrendo col buon cibo della fede il gregge di Cristo, lavò la colpa del suo errore passato” (ID. De fide V, 1).
L’Apostolo conserverà scolpita per sempre nella memoria la vicenda dolorosa del suo Maestro, alla quale egli era stato così infelicemente associato, e mediterà ogni giorno sulla preziosità di quell’unico sacrificio redentore da cui siamo stati redenti. Nella sua prima lettera rivendica, come sua inalienabile patente di nobiltà, di essere stato costituito “testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della sua gloria” (1 Pt 5,1)
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Quella croce, il cui pensiero una volta gli era sembrato insopportabile, e quel Gesù avvilito e percosso, di cui quella notte si era vergognato, brilleranno poi su tutte le sue fatiche pastorali come le vere ragioni del suo vanto e della sua gioia. Scrive Sant’Ambrogio: “Non fu disonore per Pietro la croce del Signore. Anzi, gli ha conferito una gloria così alta che egli ha voluto in essa onorare Cristo a testa in giù, per non sembrare di voler presuntuosamente aspirare all’identica gloria del Signore se allo stesso modo del Signore fosse stato crocifisso” (In Psalmum 118 21,21).

Sempre da sant’Ambrogio, che ci riferisce la tradizione antica della sua Roma, ascoltiamo quanto sia stata coerente con queste fondamentali persuasioni la fine del Principe degli apostoli: “Pietro, siccome diffondeva tra il popolo i precetti di Dio e insegnava la castità, irritò l’animo dei pagani. E poichè questi gli davano la caccia, i cristiani lo scongiurarono di allontanarsi per un po’ di tempo; e quantunque desiderasse il martirio, tuttavia per riguardo del popolo che lo supplicava egli si lasciò piegare. Lo si pregava infatti di salvare la sua vita per continuare a istruire il popolo e a confermarlo nella fede.
“In breve: di notte si accinse a uscire dalle mura e, vedendo sulla porta Cristo che gli veniva incontro ed entrava in città, gli chiese : “Signore, dove vai?”. Cristo gli rispose: ‘Vengo per essere crocifisso una seconda volta’…Pietro comprese che Cristo voleva essere crocifisso una seconda volta nel suo servo, e perciò spontaneamente ritornò sui suoi passi. Ai cristiani che lo interrogavano riferì la risposta e, subito arrestato con la sua morte glorificò il Signore Gesù” (Ep. 75a,13).

Poichè la Chiesa ha sempre bisogno di avere un fondamento sicuro e il gregge del Signore è ancora in cammino verso il Regno, Pietro vive sempre tra noi nella persona del suo Successore sulla sede romana. Porsi e restare in comunione di mente, di volontà, di affetti con questo centro di unità e di inesauribile carità, che il Signore ci ha lasciato, fa parte della strada di salvezza che è stata tracciata per noi nel disegno del Padre.
“Quale comunione possono avere con te, Signore Gesù, coloro che non accettano le chiavi del Regno?… Non hanno l’eredità di Pietro coloro che non riconoscono la sede di Pietro” (S. AMBROGIO, De paenitentia I, 32.33).

29/06/1997
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