Solennità di San Petronio
Patrono della Città e della Diocesi

1. «Il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a

portare il lieto annunzio ai poveri…». Queste sante parole sono

rivolte ad un profeta perché diventi portatore di speranza ad un popolo

che, appena tornato dall’esilio, aveva bisogno di ricostruire tutto.

La liturgia le applica al Vescovo Petronio che mediante “il lieto annunzio

ai poveri” ha edificato la Chiesa bolognese e ricostruito la comunità civile,

con una tale profondità da essere riconosciuto come emblema della nostra

tradizione cristiana e civile. Vescovo dal 432 al 450, egli fu «mandato

a portare il lieto annunzio ai poveri» in un momento storico di grave

travaglio culturale ed istituzionale, di transizione epocale.

Da questo punto di vista la solenne memoria che oggi facciamo del nostro Patrono

non può non diventare un’occasione favorevole per riflettere sulla

nostra situazione attuale, che pure mostra i caratteri di una transizione epocale:

dalla modernità alla cosiddetta post-modernità. Transizione,

la nostra, che ripropone in modo nuovo l’eterna domanda dell’uomo

circa l’uomo, a causa dell’imponente potere che le nuove biotecnologie

gli hanno mezzo nelle mani; che ripropone l’eterna domanda dell’uomo

circa la vera natura della società a causa della crisi delle nostre

democrazie. Ed ambedue le domande sembrano radicarsi nella questione riguardante

la nostra libertà ed il suo senso ultimo.

Al riguardo l’insegnamento di S. Paolo ascoltato nella seconda lettura è particolarmente

illuminante. «Come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra

non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti,

siamo un solo corpo in Cristo». Viene qui affermata una profonda verità sull’uomo.

Ogni persona umana è costitutivamente in relazione con le altre persone;

il sociale umano non è effetto esclusivamente della contrattazione sociale,

ma  ogni uomo è nativamente relazionato con ogni uomo. La metafora

del corpo richiama in primo luogo questa fondamentale verità. Una metafora

che – i paragoni non camminano mai con quattro gambe! – ovviamente

non deve portarci a pensare che l’uomo sia solo la parte di un tutto.

La persona respinge da sé, come sua contraria, l’idea di parte.

Petronio ha ricostituito una comunità. Siamo in grado oggi di compiere

una tale opera? Penso che una  – non l’unica certo – delle

condizioni fondamentali sia la riscoperta di una nuova idea di laicità da

parte della coscienza civile del nostro popolo.

Il tessuto connettivo della comunità umana non può essere solamente

la convergenza degli interessi, convergenza sempre provvisoria: degli interessi

dei singoli, delle comunità, dei popoli. Non può essere neppure

solamente il rispetto delle leggi, erroneamente pensate come neutrali nei confronti

di ogni visione della vita. Sia perché non esiste nessuna legge capace

di farmi osservare le leggi; sia perché il desiderio più profondo

dell’uomo non è soddisfatto solo da una vita legalmente giusta,

ma esso domanda soprattutto una vita buona.

Il tessuto connettivo più consistente di ogni comunità umana,

dalla comunità coniugale alla comunità internazionale, è la

condivisione di quei beni umani mediante i quali ogni persona può realizzarsi

compiutamente. A questa condivisione l’uomo giunge attraverso il dialogo

ed il confronto, i quali corrompono la loro alta natura spirituale in scontro

di poteri per produrre il consenso, quando non si ammette che esiste una verità sul

bene della persona, che precede e giudica ogni dialogante.

La vera laicità di tutte le istituzioni pubbliche, dallo Stato al Consiglio

di quartiere, consiste nel riconoscimento e nell’assicurazione che ogni

soggetto possa entrare nella riflessione e nel dialogo, in ordine a generare

quella condivisione di cui parlavo. Che una visione della vita, del matrimonio

e della generazione umana, per fare qualche esempio, sia conseguenza anche

di una fede religiosa, non costituisce titolo di esclusione dal dialogo pubblico,

purché quella visione esibisca argomenti nei quali la ragione, che è patrimonio

di tutti, si riconosca. Da una laicità che si difende, occorre passare

ad una laicità che promuove; anche la presenza pubblica della

religione senza rinchiuderla nel privato delle coscienze.

Solo questo passaggio mette al sicuro due condizioni fondamentali della comunità umana.

Poiché la democrazia non è autosufficiente, ma per vivere ha

bisogno di radicarsi in universi di valore condivisi, la separazione fra il

giusto-legale ed il bene-morale, così come la richiesta a molti cittadini

credenti di separare impegno civile e convinzione religiosa, non appaiono più oggi

le soluzioni migliori per la costruzione di una società libera e giusta.

La seconda condizione è  quindi che ogni soggetto – persona

e/o comunità – non può, non deve lasciar fuori dal dialogo

pubblico ciò che definisce la sua identità propria: l’amore

di sé è secondo il Vangelo e la retta ragione la misura dell’amore

del prossimo. Da una laicità che pretende di azzerare o mettere fra

parentesi le identità occorre passare ad una laicità che ha nel

riconoscimento la sua “cifra”. è il riconoscimento che custodisce

le identità nella relazione e immunizza la relazione dal conflitto identitario.

Nel mosaico si custodisce il colore di ogni tassello e ne viene lo splendore

della figura; nella macchia ogni colore è confuso.

2. Carissimi amici, nella gioia di questa celebrazione possiamo dire, essere

certi che la nostra città, che Bologna può essere laboratorio

di pensiero e pratica paradigmatica di questa idea ed esperienza più ricca

di laicità. Petronio in cui si riconosce e la tradizione cristiana e

la tradizione civile della città non ci dice che tale è la vocazione

di questa città?

Qui, coll’invenzione dell’Università, l’uomo ha imparato

un nuovo modo di coniugare fede e ragione. L’architettura stessa di questa

città è segno della sua volontà e capacità di costruire

rapporti umani veri.

Cinquant’anni orsono il Card. Giacomo Lercaro piantava la Croce là dove

sarebbero sorti i nuovi quartieri, come umilmente ho fatto ancora domenica

scorsa a Villa Pallavicini. L’indimenticabile Pastore con quel gesto

intendeva prefigurare il volto della città che stava rinascendo.

Di questa “missione petroniana” sono responsabili le autorità che

esprimono la sovranità del popolo; sono responsabili i vari soggetti

della società civile, soprattutto penso ai soggetti educativi.

Ma di questa missione si sente pienamente responsabile anche la Chiesa petroniana.

Essa già esercita questa responsabilità attraverso in primo luogo

la presenza quotidiana delle parrocchie in mezzo al popolo petroniano, ed attraverso

i movimenti ed associazioni ecclesiali.

La esercita attraverso il miracolo della carità che quotidianamente

mediante tante istituzioni risponde ad ogni bisogno umano, mostrando nella

gratuità l’esemplificazione più alta di quel riconoscimento

dell’uomo di cui parlavo.

La esercita nel diuturno impegno educativo verso le giovani generazioni: nella

famiglia, mediante l’istituzione scolastica, l’Istituto Veritatis

Splendor, movimenti ed associazioni giovanili.

3. Oggi la Chiesa petroniana inizia solennemente la preparazione al Congresso

eucaristico diocesano. Esso è un evento ecclesiale, anche se non può non

avere una profonda rilevanza civile. è nel mistero eucaristico che si

costruisce la più forte comunione fra le persone; è nella celebrazione

eucaristica che le persone vivono in Cristo quell’unità che le

realizza pienamente. «Pur essendo molti, siamo un corpo solo in Cristo».

è dall’Eucarestia che noi cristiani riceviamo la forza e la passione

costruttiva della comunità cristiana, e quindi il desiderio di contribuire

con umiltà e coerenza alla costruzione di una vita umana buona nella

nostra stupenda città.

 

 

04/10/2005
condividi su