Nel cammino che stiamo facendo per prendere coscienza della nostra identità di
catechisti, dopo aver riflettuto sul fatto che il catechista è educatore
e la catechesi un’attività educativa, quest’anno vogliamo
riscoprire una seconda dimensione essenziale dell’identità del
catechista. Il catechista è un testimone e la catechesi una testimonianza.
Prima di iniziare la mia riflessione ritengo necessario sgombrare la vostra
mente da un possibile equivoco o pre-comprensione che potrebbe impedirvi di
entrare profondamente nella tematica.
Sentendo parlare di testimonianza potreste essere immediatamente portati a
pensarla come identica alla coerenza della vita colla dottrina insegnata: testimoni
perché ed in quanto viviamo ciò che trasmettiamo. Definiamo la
testimonianza come una categoria morale. Questa definizione non è falsa
del tutto, ma se si pensa che essa esaurisca il contenuto della testimonianza
che è l’atto catechetico, rischiamo di non cogliere il nucleo
centrale della cosa. Vi chiedo, quindi, di liberarvi per il momento da questa
concezione.
1 [La testimonianza di Gesù e dello Spirito Santo]. L’identità del
catechista come testimone e della catechesi come testimonianza va compresa
alla luce della testimonianza di Cristo e dello Spirito Santo. Cristo è «il
Testimone fedele e verace» [Ap 3,14]; ed è lo Spirito Santo che
renderà testimonianza a Cristo, così che anche i discepoli possano
testimoniare [cfr. Gv 15,26]. è necessario dunque che guardiamo con
occhi semplici e penetranti alla testimonianza di Cristo e dello Spirito Santo.
1,1 [La testimonianza di Cristo]. Il testo chiave per avere una qualche comprensione è Gv
18,37. Gesù rispondendo alla domanda di Pilato circa la sua regalità ,
afferma: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo
sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità . Chiunque è dalla
verità , ascolta la mia voce». Non è il caso di fare un’esegesi
accurata del testo, basta coglierne il significato fondamentale.
La verità di cui parla Gesù è la rivelazione salvifica
che Egli ci dona dall’alto, in favore della quale egli testimonia poiché questa
testimonianza è la ragione stessa della sua presenza fra gli uomini.
Gesù pertanto dirà di se stesso. «Io sono la verità » [Gv
14,6]. La verità dunque è la rivelazione che Egli ci dona, la
quale è Lui stesso. Una grande esegeta del secolo scorso ha scritto: «Ã¨ essenziale … se
non vogliamo fraintendere la vera portata di questa parola di Gesù,
mantenere formalmente i due punti di vista, e unirli sinteticamente: da una
parte – e bisogna partire da qui – la parola «verità » designa
sicuramente la rivelazione come tale…; dall’altra, questa
rivelazione non si riduce semplicemente a delle parole e a una dottrina, neppure
alle opere di Gesù: le sue opere e la sua dottrina conducono alla rivelazione
di ciò che è Egli stesso; pertanto la verità designa di
fatto la rivelazione del mistero di Gesù» [I. de La Potterie, La
verité dans les ecrits joanniques, I, pag. 1004-1005]. La verità di
cui parla Gesù è la rivelazione di se stesso all’uomo,
che costituisce la salvezza offerta a chi crede in Lui.
Egli testimonia la Verità nel senso che è in questo mondo per
far conoscere Se stesso come salvatore ed attirare a sé ogni uomo. Ed
in questo consiste la sua regalità : l’attrazione che Egli, in
quanto Verità ed in quanto “testimone” di questa verità ,
esercita sull’uomo. Il quale può accogliere o rifiutare.
La testimonianza di Gesù, anzi che è Gesù, è lo
splendore che rifulge nella sua parola, nella sua vita, nella sua morte e risurrezione,
e che affascina ogni uomo.
1,2 [La testimonianza dello Spirito Santo]. Partiamo dal testo biblico: «Quando
verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito
di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza;
e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin
dal principio» [Gv 15,26]. Non facciamo nessuna esegesi, ma presupponendola
cerchiamo di cogliere il significato globale del testo.
La testimonianza dello Spirito Santo avviene nel contesto di quel “processo” che è in
corso da parte del mondo contro Gesù [e i suoi discepoli]. Essa consiste
nel fatto che rende i discepoli intimamente convinti della Verità che è Gesù.
Non è cosa facile essere convinti nel proprio cuore che “Gesù ha
ragione”: il Figlio di Dio, che dona se stesso sulla Croce; che si fa
servo fino a lavare i piedi ai suoi discepoli. Ogni volta che una persona umana
crede in Cristo, la testimonianza dello Spirito Santo a favore di Cristo è stata
ritenuta vera [cfr. 1Gv 5,6b-8].
Ma il testo evangelico fa un’aggiunta di straordinaria importanza: «e
anche voi…». La testimonianza dello Spirito Santo attende,
per essere efficace, la cooperazione attiva e l’adesione convinta del
discepolo. E reciprocamente la testimonianza del discepolo si radica e si fonda
nella testimonianza dello Spirito Santo al suo cuore. La testimonianza dello
Spirito Santo e la testimonianza della Chiesa e dei discepoli sono una stessa
testimonianza senza soluzione di continuità [cfr. Lc 24,48; At 1,8.22;
5,32].
La testimonianza dello Spirito Santo è legata a quella dei discepoli
dopo la Pasqua del Signore. La sua [dello Spirito Santo] testimonianza convince
il cuore dei discepoli che Gesù è la Verità ; è un’opera
di convinzione che avviene in un contesto di “processi” intentati
contro Cristo, di persecuzioni contro i discepoli. Questi, intimamente convinti,
rendono all’esterno quella testimonianza a favore di Gesù, che
lo Spirito Santo ha fatto risuonare nel loro cuore. Il discepolo rende testimonianza
a Gesù nello Spirito Santo.
2. [La testimonianza del catechista]. Già le ultime riflessioni parlavano
di noi. In questa seconda parte della mia riflessione voglio entrare nel tema
specifico del nostro incontro odierno.
Partiamo da un’esperienza umana molto semplice. Esistono due tipi di
conoscenze e quindi di verità conosciute. Ci sono conoscenze tese a
verità che conosciute non hanno nessuna rilevanza in ordine all’esercizio
della nostra libertà e quindi al senso di orientamento ultimo della
vita. Un solo esempio: sul pianeta Marte esiste/non esiste qualche forma di
vita? Sia la risposta affermativa che negativa non ha nessuna rilevanza sull’esercizio
della mia libertà , sull’assetto fondamentale della mia vita. Le
chiameremo “verità puramente formali”.
Ci sono però conoscenze tese a verità che conosciute hanno una
grande, perfino decisiva rilevanza circa l’esercizio della nostra libertà .
Un solo esempio: esiste/non esiste una vita dopo la morte? L’assetto
che uno dà alla vita cambia a seconda che risponde negativamente o affermativamente
a questa domanda. Chiameremo queste verità “verità formali-esistenziali”.
Chiediamoci ora se la trasmissione della conoscenza delle verità formali
a chi le ignora ha la stessa natura e logica della trasmissione delle verità formali-esistenziali.
Se facciamo un po’ di attenzione alla nostra vita spirituale, vediamo
che si tratta di due eventi diversi. Partiamo da un esempio.
Se comperate una lavatrice vi danno il libretto delle istruzioni di uso. Di
fronte a queste istruzioni, una persona normale non nuove obiezioni. Le ritiene
vere: dona cioè il proprio assenso. Ma queste istruzioni diventano
guida per l’uso che faccio della lavatrice, solo se effettivamente metto
in movimento la macchina in quanto devo lavare. Questo atto della volontà che
trasforma le istruzioni in guida effettiva del mio agire è il consenso.
Provate e riflettere con attenzione su questo esempio.
è molto più “facile” dare l’assenso che il
consenso: assentire che consentire. Infatti il consenso presuppone certo l’assenso,
ma anche che io abbia un “interesse”. Il consenso pertanto è molto
più esposto alle influenze extra-razionali a causa del coinvolgimento
pratico della persona.
Le verità “formali-esistenziali” sono precisamente quelle
verità che chiedono di diventare principi normativi della libertà della
persona: chiedono non solo il nostro assenso, ma anche il nostro consenso.
Che cosa rende possibile il consenso a queste verità ? Quando la persona
dà ad esse il suo consenso? Che cosa lo impedisce? Tutti i grandi maestri
di spirito hanno cercato di rispondere a queste domande, costruendo una dottrina
molto profonda dell’assenso e del consenso: penso a Platone, ad Agostino,
a Newmann, a Rosmini per fare solo alcuni esempi. Devo però essere breve,
e mi limito a dirvi la cosa che reputo centrale.
La persona è facilitata a dare il suo consenso quando «vede» che
la verità formale-esistenziale è una possibilità reale di
vita: di una vita bella, buona. La verità formale-esistenziale diventa
motivante il consenso della persona quando non solo è colta come prospettiva,
possibilità di vita avente un valore in sé e per sé: di
vita che è buona per la persona umana come tale [= quando è assentita].
Ma quando vedo questa prospettiva, questa possibilità di vita incarnata «testimoniata»,
in una persona in carne ed ossa. Tommaso d’Aquino fa un’affermazione,
come sempre profonda [cfr. in III Sent., d.23,2,2, ad 1]. As-senso e con-senso,
dice, contengono la radice del verbo «sentire», che indica il loro
carattere di adesione alla realtà . Ma nel caso dell’assenso si
ha un’adesione che si riduce alla ragione; nel consenso si ha una adesione
alla realtà in cui è coinvolta tutta la persona. è per
questo che «vedere» realizzata la verità formale-esistenziale
motiva fortemente il consenso.
Ed ora ritorniamo alla dottrina biblica della testimonianza, ma con un approccio
più esistenziale.
Che cosa significano esistenzialmente le parole di Gesù «… per
rendere testimonianza alla verità »? Lo vediamo confrontando due
episodi evangelici: il dialogo fra Gesù e gli apostoli dopo la moltiplicazione
dei pani [cfr. Gv 6,67-70] e l’incontro di Gesù col giovane ricco
[cfr. cfr. Mc 10,17-22]. Pietro ha visto in Cristo l’unica possibilità concreta
di esistenza vera, eterna; il giovane ha confrontato la possibilità prospettata
ed incarnata in Cristo e la possibilità reale offertagli alle
ricchezze. Il primo ha consentito a Cristo; il secondo ha consentito alle ricchezze.
L’evento narrato nel Vangelo accade oggi nella Chiesa; accade anche mediante
e dentro il vostro atto di catechizzare. In che senso e in che modo?
Non dimentichiamo mai che la catechesi è ordinata ad introdurre sempre
più profondamente il bambino, il ragazzo, il giovane nel mistero di
Cristo. Che cosa questo significhi, lo abbiamo lungamente meditato lo scorso
anno riflettendo sul catechista educatore. Come si può aiutare chi è catechizzato
a «consentire» ad essere introdotto nel Mistero di Cristo e non
solo ad «acconsentire» alla dottrina proposta? Rispondendo a questa
domanda, capiremo che cosa significa che il catechista è un testimone
e la catechesi una testimonianza.
Come abbiamo già detto, la Verità che è Cristo è Via
che porta alla Vita: è proposta di vita che implica un cambiamento nel
modo di pensare, di esercitare la propria libertà , di convivere con
gli altri. è proposta di vita che cambia l’assetto fondamentale
dell’esistenza, il senso ultimo dell’orientamento, i contenuti
fondamentali della coscienza di se stessi.
Vale la pena consentirvi oppure è meglio lasciar perdere ed accontentarsi
di un semplice assenso al suo, si dice, “alto insegnamento morale”?
Ciò che motiva, che può muovere la persona a consentirvi è il
vedere una persona in carne ed ossa che ti mostra che “vale la pena” consentire
a questa proposta. Newmann ha scritto pagine notevoli circa il fatto che la
forza attrattiva della verità – noi diciamo nel nostro contesto:
della testimonianza di Gesù – si realizza pienamente grazie al
fascino che emana da coloro che vivono conformemente ad essa e ne fanno vedere
la bellezza [cfr. Personal influence, the Means of propaganting Truth in Fifteen
Sermons preached before the University of Oxford, Notre Dame Un. Press,
Notre Dame 1997, pag. 79].
La persona è intimamente convinta che Gesù ha ragione; che è bene
e bello seguirlo; che lo posso incontrare vivo nella Chiesa. E tutto
questo traspare nella sua persona, nella modalità con cui invita altri
a consentire a questa proposta. In una parola: è un testimone.
Qui avviene qualcosa di molto grande. Ciò che accadeva nell’incontro
fra (la testimonianza di) Gesù e chi lo incontrava, in una qualche misura
accade nel rapporto catechetico. Anche in esso traspare nel catechista la testimonianza
di Gesù che invita a seguirlo. Ciò che rende possibile la presenza
della testimonianza di Gesù nel catechista è la grazia dello
Spirito Santo che lo ha convinto che Gesù ha ragione, sempre e comunque.
Questo non comporta necessariamente una perfetta coerenza fra la fede e la
vita, nel catechista. Riprendiamo una riflessione iniziale. Certamente una
incoerenza grave, estesa, continua rende impossibile la testimonianza. Ma il
punto centrale non è questo. è l’intima convinzione che
solo Gesù ha parole di vita eterna, e la gioia di vivere che genera
questa convinzione. Può essere, anzi è sempre anche la gioia
di un perdono mai negato. Pietro può dire in tutta verità che
ama Cristo, anche se pochi giorni prima lo aveva tradito.
Ora sarebbe necessario vedere la cosa dal punto di vista della persona provocata
a consentire. Non ne abbiamo più il tempo. Mi limito a qualche osservazione.
Anche di fronte al testimone si può rifiutare il consenso. J. Finnis
ha studiato la cosa per quanto riguarda il consenso alle verità morali.
Ma vale anche anzi maggiormente per il consenso di fede. Quattro sono le cause
principali che possono impedire, bloccare la testimonianza di Gesù.
La prima è costituita dal fatto che la “forma mentis” di
chi ascolta, il “paradigma interpretativo” di cui fa uso nel suo
approccio alla realtà , è contrario, non solo diverso, alla testimonianza
di Gesù. Si pensi alla reazione di Pietro di fronte alla predicazione
della passione di Gesù. La seconda è costituita dalla “tentazione
di alleggerire il carico”: troppo duro è questo discorso, dicono
i giudei. Ciò accade spesso quando si presenta il cristianesimo come
un fardello di norme da portare. La terza è costituita dall’orgoglio
che impedisce di ammettere che la vita finora vissuta è sbagliata. La
quarta è dovuta a quella sorta di torpore intellettuale che può giungere
fino alla cecità interiore che impedisce di andare oltre al piacere
e all’utile (Tommaso dice che questo è normalmente conseguenza
del disordine in ambito sessuale) [cfr. J. Finnis, Gli assoluti morali,
ARES ed., Milano 1999, tutto il cap. primo].
Conclusione
La nostra riflessione ci ha fatto scoprire l’identità del catechista
in una dimensione di grande splendore ed attrattiva. In sostanza tutto quanto
ho detto potrebbe essere riassunto nel modo seguente: chi ha incontrato Gesù può testimoniarlo
ed indurre altri a seguirlo. La Verità che è Gesù è ora
affidata alla testimonianza della Chiesa e nella Chiesa ad ogni suo discepolo.