1. «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai
tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate
ai piccoli». Carissimi fedeli, offrendo il divino sacrificio ci uniamo
alla lode e alla benedizione che Cristo fa salire al Padre, perché ha
rivelato «queste cose» a Francesco. Quali cose? Che niente
conta – come ci dice l’Apostolo – se non «l’essere
nuova creatura» in Cristo. Niente conta alla fine se non l’avere
conosciuto Cristo, poiché non ci può essere per l’uomo «altro
vanto che nella Croce del Signore nostro Gesù Cristo».
Questo è stato l’avvenimento centrale della vita di Francesco:
l’essere stato afferrato da Cristo così profondamente da porre
in Lui tutto il senso della sua esistenza, comprendendo tutta la realtà da
questo punto di vista. Nel suo Testamento Francesco descrive questo “capovolgimento
di prospettiva” colle seguenti parole: «ciò che mi sembrava
ripugnante si è mutato in me in dolcezza dell’anima e della carne».
Come era accaduto prima all’apostolo Paolo: «Ma quello che poteva
essere per me un guadagno l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo.
Anzi tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della
conoscenza di Cristo Gesù» [Fil 3,7-8].
è in questa luce, il rapporto di Francesco col suo Signore, che comprendiamo
il vero significato del “capovolgimento di prospettiva” più conosciuto:
quello riguardante la scelta della povertà . Francesco fu veramente povero.
Non cessava mai di raccomandare e chiedere ai suoi frati la povertà .
Nella “Ultima volontà inviata a Santa Chiara” egli scrisse: «Io,
piccolo frate Francesco, voglio seguire la vita e la povertà dell’altissimo
Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre». Ciò che
conquista Francesco non è un qualsiasi ideale o progetto di povertà ;
ancor meno un’utopia sociale. è la «povertà » di
chi è «altissimo Signore»: è l’umiliazione
di Dio nel mistero della sua Incarnazione. Afferrato e conquistato da Cristo,
egli non ha più bisogno di niente. La povertà è il segno
esterno di chi ha fatto una rinuncia ben più radicale, l’unica
assolutamente necessaria: a se stesso per far posto a Cristo per seguirne interamente
la vita. Solo chi si svuota di se stesso può essere riempito della pienezza
della vita che è Cristo.
Tutta questa straordinaria esperienza non avviene fuori o contro la Chiesa.
Per una ragione che Francesco espone nel modo più semplice e più profondo: «niente
in questo mondo io vedo, secondo il corpo, dello stesso altissimo Figlio di
Dio, se non il suo santissimo corpo e il suo santissimo sangue». E a
causa di questa presenza reale di Cristo che Francesco scrive: «e io
voglio temere e amare e onorare loro [: cioè i sacerdoti] e tutti gli
altri come miei signori». L’intuizione è centrale per capire
la fede cristiana: ministero apostolico ed Eucarestia sono strettamente e necessariamente
connessi. Essi sono i sacramenti della presenza di Cristo nella sua Chiesa «e
neppure voglio considerare il loro peccato, perché in loro discerno
il Figlio di Dio, e sono miei signori». Francesco non è un evaso
verso esperienze spiritualistiche. Egli vuole, desidera vedere il Corpo di
Cristo: lo vede nell’Eucarestia donata dal ministero sacerdotale.
Carissimi fedeli, guardiamo a Francesco. Egli ci mostra che il valore della
nostra vita dipende dal nostro rapporto con la persona di Cristo e che questo
rapporto è oggi possibile perché esiste la Chiesa apostolica
ed eucaristica.
2. Ma questa celebrazione ha un carattere particolare. è qui presente
la nostra Regione emiliano-romagnola, rappresentata a tutti i livelli istituzionali.
Saluto con deferenza il Signor Presidente, on. Vasco Errani, con gli Assessori
e Consiglieri; saluto i Presidenti delle Province coi loro Consiglieri e Giunte;
saluto i Sindaci tutti, in particolare dei capoluoghi di Provincia. A voi tutti
assicuriamo in questo momento così solenne la nostra preghiera ed ancora
una volta la nostra collaborazione leale.
Ma la vostra presenza richiama l’attenzione sul fatto che Francesco e
la grande corrente di cui è stato la sorgente, ha anche una forte rilevanza
civile. La storia della nostra Regione lo dimostra incontrovertibilmente. Stupende
opere d’arti, grandi laboratori culturali, soprattutto la capillare presenza
dei figli di Francesco in mezzo al nostro popolo testimoniano che l’ispirazione
francescana è stata uno dei fattori che hanno plasmato l’identità della
nostra comunità regionale.
Se il riconoscimento di questo dato è semplicemente richiesto dalla
nostra obiettività storica, esso deve soprattutto ispirare il nostro
futuro: che cosa oggi Francesco ha da dire a noi Regione Emilia-Romagna? Egli
ha fatto sì che il mistero centrale della fede cristiana, l’incarnazione
del Verbo, diventasse una realtà vissuta nel e dal popolo, nella sua
vita quotidiana: fosse l’orizzonte ultimo entro cui collocare il proprio
vivere.
Qual è l’orizzonte ultimo entro cui oggi vive il nostro popolo?
Quale è il suo senso di orientamento? è solamente l’orizzonte
di un benessere materiale? Stiamo custodendo tutta la consistenza, tutta l’identità del
nostro popolo, che anche dal francescanesimo ha attinto quei caratteri di ricca
umanità , di fattiva solidarietà e di indefessa laboriosità che
lo hanno fatto grande nei secoli? Quale eredità , quali beni stiamo trasmettendo
alle giovani generazioni?
La risposta a queste domande è affidata a ciascuno di noi secondo contenuti,
responsabilità e competenze istituzionalmente propri. Ciò che
tutti e ciascuno dovremmo evitare è di rinunciare a dare risposte sulla
base di una male intesa tolleranza che porta a perdere la memoria di sé.
Ed un popolo senza memoria non ha futuro.
Ma noi, Regione Emilia-Romagna, quest’oggi in questo luogo portiamo alla
tomba di Francesco in un certo senso l’intera nazione italiana, qui presente
nell’on. P.F. Casini, Presidente della Camera dei Deputati e che rispettosamente
saluto.
Che il Signore per l’intercessione di Francesco voglia donare ad essa
la forza di una speranza vera. Così sia.